LETTERE SCOLASTICHE

I.

SCUOLA LIBERA E RIFORMA SCOLASTICA

    Caro Gobetti,
nel numero 16 di "Rivoluzione Liberale" io pubblicavo nel 4-VI-22, una nota intitolata "La scuola normale" in cui esponevo per brevissimi cenni alcune idee mie, che riguardavano, oltre la questione precisa della scuola magistrale, anche il più vasto problema della riforma della nostra scuola media ed elementare.

    Quella noticina sollevava lo stupore di Jean Paul della Nostra Scuola, il quale in uno stelloncino della sua rivista, il 30-VI-22 dichiarava di non capire certi punti della mia nota, o, per lo meno, di non condividere certe idee in quella espresse. Antiguelfo su La Rivoluzione Liberale, io su la Nostra scuola stessa ci argomentammo di dissipare lo stupore di Jean Paul: ma Jean Paul e Antiguelfo, dopo essersi bene bezzicati e speronati, si voltarono il codrione e la lasciarono lì, mentre io, provatomi a ragionare più pacatamente con l'avversario, mi avvidi tosto che la nostra discussione a poco avrebbe approdato, perché insomma di noi due uno ragionando aveva in mente una cosa, l'altro un'altra, anzi, uno parlava una lingua e l'altro un'altra; per cui, sovvenutomi il detto del nostro Alfieri, il quale soleva non disputar mai se non con gente con cui fosse già d'accordo, troncai la schermaglia con Jean Paul; e torno ora a riprender la discussione qui con te, con cui mi trovo già preventivamente d'accordo, e con cui parlo la stessa lingua, il piemontese, la lingua padre.

    Prima cosa ch'io dicevo in quel tale articoletto era questa, se ben ricordo, che, a proposito di riforma della scuola, la norma da seguirsi nella discussione e nella pratica non doveva esser quella di occuparsi di riforma della scuola, ma quella di occuparsi di riforma di una scuola, di una normale, di una tecnica, ecc. e siccome su questo punto era scivolata via l'attenzione del mio contradditore, così nella mia replica su Nostra scuola, il luglio ’22, io ve lo richiamavo sopra espressamente, perché mi pareva che questa fosse quistione non secondaria ma principale, e che procedere non si potesse se non quando questo punto fosse stato posto bene in chiaro. Ma Jean Paul aveva fretta di passar oltre, e, avendomi dato su questo riguardo, sbadatamente, ragione così tanto per accontentarmi, m'invitava a venir ad un altro punto, che a lui, allora, premeva di più.

    Ma io sono ancora fermo là e voglio, prima di muovere un altro passo, ribadir quel chiodo; anzi, io penso, per meglio chiarir la mia idea, di rifarmi più in su e di porre quel punto in rapporto con tutta la questione della riforma della scuola e con l'altra questione della libertà d'insegnamento.

    Da quando io ho cominciato a intendermi e a interessarmi di scuola, come studente prima e poi come insegnante, io ho sempre inteso parlare di riforma della scuola in genere, della scuola media in particolare; ma di questo gran parlare ch'io intesi, l'affermazione che m'è rimasta più in mente e che trovai, quando l'intesi, più ragionevole fu questa: "che tale riforma in Italia era urgente sì ma ancora immatura". Si diceva così circa vent'anni fa, allorquando le discussioni s'eran rinnovate più fervide grazie all'opera della federazione degli insegnanti sorta pur allora e piena di idee e di vigore, e fu gran fortuna che quella sentenza interlocutoria allora prevalesse, perché, non essendosi pur con l'urgenza, nel ventennio, fatto nulla di irreparabile nel campo delle riforme, s'è permesso alla questione di maturare, ai tempi di mutarsi, alle idee di convenientemente chiarirsi.

    E intanto la questione è divenuta un'altra, ossia, è ancora quella ma la si chiama diversamente, non più questione della riforma scolastica, ma sì questione della libertà scolastica.

    La questione, ripeto, è la stessa; solamente che mentre vent'anni fa si diceva: "lo stato deve riformar la scuola in genere, la secondaria in particolare, in questo o in quest'altro senso", e, se il senso era diverso per i molti identico per tutti era il concetto che la riforma doveva farla lo Stato, adesso invece si dice: "lo Stato deve dare ai riformatori della scuola libertà di azione": e se perdura tra i riformatori il dissenso circa l'indirizzo e il modo delle riforme; mi par di vedere invece che, adagio adagio si vada formando anche qui l'unanimità circa l'idea di sottrarre all'azione diretta dello Stato l'esperienza e la pratica delle riforme scolastiche.





    E questa appunto è la via buona. Lo Stato, come tale, non deve lui con gli organi suoi impicciarsi di riforme, (e del resto, se si bada bene, non l'ha neanche fatto mai): solamente deve lo Stato permettere che i privati escogitino queste riforme (il che nessuno Stato ha mai potuto vietare) e, di più, deve lo Stato, se è liberale, permettere che i privati liberamente esperimentino codeste riforme, e, magari, favorire quei privati che a lui paran meritevoli della maggior fiducia.

    Messa per questa via la questione della riforma scolastica, ognuno vede come essa in Italia possa venir praticamente risolta. Lo Stato deve semplicemente rinunziare al suo monopolio scolastico, frutto di una politica laica, la quale oramai ha già dato tutti i frutti che poteva dare. Al quale monopolio può rinunziare: l.) smontando la grande macchina della scuola regia, della scuola di Stato (soppressione di scuole governative, abolizione delle regificazioni, semplificazione, fino all'abolizione, dell'amministrazione scolastica provinciale), 2.) abolendo l'istituto della licenza (svalutazione dei titoli, esame di stato come ammissione all'università e alle carriere).

    S'intende così che, instaurato una volta codesto regime di libertà scolastica, lo Stato, e più precisamente, il Ministero della Pubblica Istruzione non deve più occuparsi di riforma della scuola, nel senso di elaborar disegni per la modificazione o il rinnovamento di questo o di quel tipo di scuola; a questo attenderanno i privati (individui, corporazioni, enti locali), i quali, non più costretti a uniformare la propria attività educativa ai paradigmi statali, esperimenteranno liberamente, in concorrenza, riforme, programmi, metodi, con l'unica mira di conquistarsi, non privilegi e facoltà da parte dello Stato, ma favore e frequenza da parte del pubblico.

    Lo Stato penserà a far andar bene, se potrà, le scuole che esso ancora si sarà conservate, e – questo è il punto – se vorrà incaponirsi a sperimentar lui, con i suoi organi, dei nuovi sistemi scolastici, non dovràe non potrà più – allestire disegni di riforme generali, da applicarsi estrinsecamente e per legge, a tutte le scuole di quel tipo esistenti nel regno, ma si dovrà contentare di sperimentare, come un privato qualunque, con i mezzi di cui dispone (uomini, denari), quella riforma, in quella sua scuola, con quegli uomini, che crederà adatti a ciò. Ed anche questa ridotta attività riformatrice lo Stato la dovrebbe esercitare solamente quando e dove alle riforme non attendessero i privati da se', o per manco di capacità o per manco di iniziativa: il che, per ora e per un pezzo, in Italia non dovrebbe succedere più.

    Ma quel che è essenziale è questo, che la questione della riforma della scuola è tutta contenuta nella questione della libertà scolastica, e che quando veramente lo Stato voglia mettersi per questa via deve immediatamente cessare di legiferare genericamente di riforme scolastiche e didattiche, e che quanti sono veramente convinti della necessità della scuola libera devono cessar dall'invocar dalla Stato la riforma di questo o di quel tipo di scuola, e devono rifiutarsi di collaborare con lo Stato, se questo volesse, nella sua inconseguenza, mentre largisce a parole una libertà, violarla nei fatti, coll'imporre, a chi non vi crede, una riforma congegnata dagli organi governativi.

    Ecco perché io, mentre fui favorevole alla riforma Anile per il cosidetto Esame di Stato, e mentre collaborai, modestamente, privatamente, gratuitamente, a quella riforma, poi invece mi inalberai quando intesi che Anile voleva sfornare in pari tempo con l'Esame di Stato anche la riforma della Scuola Normale; ed ecco perché anch'io mi stupii quando vidi i redattori de La nostra scuola, convinti assertori, dicevan loro, della libertà scolastica, collaborare ad un atto che aboliva di fatto la libertà scolastica, e difendere una riforma che, senza entrare nel merito, non doveva in regime di libertà scolastica, esser di pertinenza dello Stato, o per lo meno non doveva più essere ne' generale ne' obbligatoria.





    Ma il mio stupore è venuto meno quando ho letto nel N.o. del novembre u. s. di La nostra scuola l'inno che il Casotti levava ai vincitori del 28 novembre, e di questo alleluja specialmente il passo che incomincia con: "Io me ne frego della "Libertà della scuola", ecc.", culmina con "La libertà, ha detto benissimo Mussolini, non è un diritto, è un dovere", e finisce con queste parole:

    "Se in questo momento i fascisti sono disposti a considerare il problema politico, e quindi anche quello scolastico, più sotto l'aspetto della autorità che sotto quello della libertà, niente di male. Se essi, per il momento diffidano della scuola privata e non ne vogliono sentir palare, e desiderano piuttosto occuparsi della scuola pubblica, ancora, niente di male, Anche a noi sta a cuore principalmente la scuola pubblica, o, se preferite chiamarla così, la scuola nazionale".

    Ho capito. Nella migliore delle ipotesi quello che sta a cuore ai "liberali di destra " della Nostra scuola è ancora quello che stava a cuore ai moderati della destra storica, cioè "lo Stato moderno, lo Stato il quale dirige un popolo verso la civiltà, lo Stato il quale non si restringe solamente a distribuire la giustizia e a difendere la società, ma vuole dirigerla per quelle vie che conducono ai fini più alti dell'umanità". E se è così, io mi permetto di ricordare agli scrittori liberali de La nostra scuola che, appunto, questa definizione dello Stato Moderno è contenuta nel discorso che Silvio Spaventa pronunziò alla Camera nel giugno del’76 su "le ferrovie e lo Stato", discorso in cui lo Spaventa sostiene, in contradditorio con gli avversari politici, la tesi della proprietà e dell'esercizio statale delle ferrovie nazionali. "Adoratore dello Stato" si proclamò lo Spaventa in quel discorso, "adoratori dello Stato" si rivelano ancora oggi, nella nostra questione, i tardi nepoti del moderato meridionale. E se questi si accontentano di veder ridotte ora le attribuzioni dello Stato non lo fan mica perché abbian lasciata l'idea dello Stato onnipotente e onnipresente, ma lo fanno solamente per "accorciare la linea " e ripiegare su di un "caposaldo", sotto l'urto del problema finanziario, pronti domani a riprender l'avanzata, a rioccupare quel che han lasciato, anzi, a spingersi ancora più avanti.

    La quale avanzata fatalmente, coma si sa, porta al socialismo di stato: questo è poco ma sicuro, e già ne abbiamo fatta tutti non lieta esperienza. Se è questo che vogliono i liberali di destra, ferocemente, antisocialisti e scalmanatamente filofascisti, si accomodino: noi che siamo antifascisti, e che passiamo magari per filosocialisti, su questo terreno non li seguiremo.

    Però, siccome essi protestano, e si offendono se si mette in dubbio il loro idealismo e dichiarano di esser loro i veri liberali, ebbene noi li prendiamo in parola, noi li impegniamo, e diciamo loro: "qui è Rodi e qui saltate", avete posto il problema della libertà scolastica ora risolvetelo": se avvieranno, sia pure paradossasticamente, a soluzione questo problema, noi ci varremo della libertà conquistata, o poca o molta che sia, per i nostri fini; se invece si tireranno indietro, come qualcuno di loro già mostra di fare, scantoneranno, e in definitiva si dimostreranno curanti non della scuola in genere ma della università in particolare, anzi della cattedra universitaria, allora avremo il diritto di dir loro sul muso tutto quello che si saran meritati. Prima no.

    Io, almeno, voglio aspettare.

    Affettuosamente. Tuo

AUGUSTO MONTI.

    (Al prossimo numero la II lettera).