Illuminismo italiano

L'economista Solera

    Il Piemonte fu il primo con le Costituzioni del 1729: 1°) ad abolire quasi interamente la potestà feudale, non lasciando che alcuni diritti nominali e di mero onore, abolendosi i servigi personali, come le corvate; 2°) a restringere i fidecommessi e le primo-geniture, rendendo molto più libera di prima la circolazione dei beni; 3°) a diminuire la potestà ecclesiastica, e specialmente la facoltà di ereditare e di succedere nelle mani-morte. Queste costituzioni vennero di nuovo rivedute e pubblicate con poche variazioni nel 1770. Si badi bene a non lasciarsi ingannare da questo nome di costituzioni.

    Esse non sono che una compilazione di molte leggi civili e criminali che prima formavano un confuso ed indigesto ammasso. Rifusione utile, tanto desiderata in Francia in quei tempi, ed encomiata forse troppo da certi scrittori francesi (come il signor D'Argenson), perché forse invano desiderata in Francia. Ma con tutto ciò, il Piemonte non aveva una forza e una richezza corispondente alla vastità e fertilità delle provincie, per mancanza di un'amministrazione illuminata e liberale. Le buone leggi e le buone istituzioni arricchiscono, popolano, corroborano uno Stato, molto più che le conquiste. L'Abate Vasco co' suoi opuscoli tentò svegliare l'attenzione del Governo sui molti cambiamenti che si richiedevano. Ma il Governo fu sempre sordo ad ulteriori riforme; si arrestò nell'intrapreso cammino, e si mantenne immobile ed inalterabile, mentre in altre provincia d'Italia si eseguivano utili cambiamenti. Non è la guerra che avesse impedito il Governo di pensare al rifiorimento del paese, perché nel 1784 quando Maurizio Solera scrisse il suo opuscolo, già da 36 anni il Piemonte godeva d'una profonda pace. Non è neppure la situazione geografica, e condizione politica. Alcuni hanno supposto che una monarchia esenzialmente militare, come la piemontese, non possa, senza indebolirsi, alterare i suoi ordini politici, o le antiche massime di amministrazione. Gravissimo errore. L'esempio della monarchia prussiana avrebbe dovuto loro apprendere, che uno Stato angusto può essere militare ed industrioso allo stesso tempo; che la spada e la spola ponno sussistere insieme. Il padre di Federico il Grande credeva che la potenza della sua monarchia consistesse nell'altezza de' granatieri, e nella crudele pedantesca disciplina del bastone. Co' suoi granatieri di sei piedi, e colla sua barbarie militare, non fu che un principotto di Germania. Suo figlio di vasto genio mostrò invece che si può avere un esercito disciplinato e valoroso, e ad un tempo animar l'agricoltura, le manifatture ed istruire il suo popolo. Questo grand'uomo mentre conquistava la Sassonia, caricava delle barche di terra per alimentare per mezzo secolo la sua manifattura di porcellana di Berlino; tentava d'introdurre nelle pianure del Brandeburgo la coltivazione dei gelsi, e istituiva scuole elementari in tutti i villaggi. Così questa monarchia che non era che una gran caserma, divenne la culla dell'industria, e la patria del pensiero. Il Piemonte era posto tra due grandi minacciose masse, tra l'Austria e la Francia, come la Prussia lo era tra la Francia, l'Austria e la Russia. Nello stesso modo che la Prussia si rinforzò coll'industria e col commercio, si sarebbe rinforzato anche il Piemonte senza punto menomare la sua virtù militare. Il voler conservare la ruggine feudale, mentre gli altri sono divenuti opulenti colle arti della civilizzazione, è lo stesso che voler continuare a far la guerra coll'arma bianca, collo scudo e coll'elmo di Don Chisciotte, mentre tutti gli altri hanno adottato le armi da fuoco.





    Nel 1784 quando il Solera immaginò il suo banco d'agricoltura, il Piemonte aveva poche e cattive strade, la sua agricoltura languiva, la sua industria era limitata a poche rozze manifatture, non v'era abbondanza che di vagabondi. "Dans un pays où le gouvernement n'a jamais (dice il Solera) aucune de ces vues grandes qui embrassent l'avantage général de la nation, qui ne s'est jamais occupé de l'établissement de ses manifactures, dans lequelles les mains les plus inexpertes peuvent facilment s'employer à de gros ouvrages, dont la nation tirerait cependant un grand profit; dans un tel pays, que dire à l'homme, qui, après avoir avoué que le vagabondage est forcément son unique pxofession, prie son juge même de vouloir bien lui en procurer une autre?".

    Il Governo, non che animare le sorgenti della prosperità pubblica, giaceva inattivo sotto il peso di centoventi milioni di debito. Tutto era stagnante per mancanza di lumi e d'energia nel Governo, non che per mancanza di numerario. La massa circolante non era che di 62 milioni, compresi 20 milioni di carta monetata, mentre la somma annuale dei valori, attribuendosi 200 lire per testa, doveva essere di 600 milioni. Come adunque senza l'opera del Governo, e con tanta scarsa quantità di numerario, si potevano migliorare i conduttori della ricchezza pubblica, e facilitare la circolazioni mediante buone strade, ponti, incanalamenti di torrenti, di fiumi, asciugamento di paludi, in una parola, infondere una nuova vita, un calore e un moto universale? Il Solera credette di aver trovato la soluzione di questo problema, il talismano di questo cambiamento di scena. Partendo dai due principi: 1° che l'abbondanza dei metalli monetati, e pur anche i segni che li rappresentano, servono sempre di un potente mezzo per accelerare i progressi del lavoro e dell'industria, e quindi esercita un'influenza sopra la ricchezza delle nazioni; 2° che i capitali a basso interesse sono un vantaggio maggiore dei bassi salari o della sussistenza a buon mercato, propose un banco di agricoltura, per cui si aumenterebbe la quantità del numerario con una carta di un credito solido e sicuro, si fornirebbe al Governo un fondo per opere pubbliche, e si fornirebbero ai proprietari delle sovvenzioni al basso interesse del due per cento che col frutto dei miglioramenti agricoli, potrebbero estinguere nello spazio di cinque o sei anni. Ecco il suo piano. Proponeva che tutte le terre dei proprietari fossero inscritte in un catasto con tutti i pesi, debiti ed ipoteche. Sopra il valore approssimativo depurato di ogni peso, il proprietaria doveva avere il diritto di emettere dei biglietti del quinto soltanto del valore netto e non più. Di questa somma egli doveva pagare l'interesse del due per cento. Il Governo doveva nominare dei direttori in ogni luogo di qualche importanza, i quali dovevano agire di concerto cogli amministratori locali. I biglietti dovevano portare la firma dei direttori, degli amministratori del possidente. Essi dovevano essere ricevuti dal Governo in pagamento delle imposte, e dovevano avere una scadenza fissa. Se alla scadenza il detentore del biglietto non fosse pagato in denaro dal proprietario, riceverebbe in pagamento un equivalente in terre. Il termine del pagamento dei biglietti doveva essere di 12 anni, colla divisione in tre epoche: un terzo dopo i 6 anni, un altro terzo dopo 9, e l'altro terzo ai 12 anni.





    Alcuni amici dell'autore gustarono talmente questo suo progetto, che ne parlarono con elogio in Corte, come della scoperta della pietra filosofale. Il re stesso ne fu informato, e ne chiese all'autore una copia nel libro. In seguito glie ne fece chiedere un'altra per comunicarla ai suoi ministri. Il re n'era talmente invaghito, che ingiunse al Solera di prepararne l'editto per l'esecuzione, e steso che fu, gli assegnò un giorno di udienza, onde stabilire definitivamente alcuni articoli. Ma quando appunto tutto sembrava disposto per l'adempimento, nacque uno di quegli accidenti che nelle Corti dei re assoluti accadono sovente. L'autore fu presentato al re che stava con il suo ministro di finanze. "Celui-ci, dice l'autore, avec un ton de gravité et d'importance, qui à la cour, come ailleurs, masque souvent la nullité, débuta par l'éloge de ce qu'il appellait mes talents, et fini par une improbation si entière, si absolue de mon ouvrage, que Victor, incapable d'ovoir une opinion à lui, se rangeant docuement à celle de son ministre, m'en défendit sévèrement l'impression".

    Ecco il solito naufragio delle opere patriottiche. Può ben essere che il progetto dell'autore non fosse adattato per la pratica, primieramente perché una carta monetata che non ha la morale certezza d'essere alla sua scadenza convertita in oro ed argento, non potrà mai godere di un solido credito, e in secondo luogo, perché l'oggetto dell'emissione di simil carta sarebbe più spesso quello della dissipazione, del capriccio e di folli speculazioni, che d'una savia e lucrosa intrapresa. Finora infatti simili banchi di agricoltura non vennero approvati né dal voto degli scrittori, né dall'esempio di alcun Governo, quantunque, a dir vero, sia seducente l'idea di rendere col loro mezzo circolanti i valori immobili. Ma furono questi i motivi che indussero il ministro piemontese a disapprovarla? Perché poi proibirne la stampa? Non è questa piuttosto una prova dell'invidia ministeriale, che del sapere e della sagacità? Che non fosse il rifiuto l'effetto della sagacità, ne sono testimoni i tanti errori che in seguito commise quel Governo, "qui ballottait sans cesse le public entre l'ordre, et le conte-ordre, en le portant au mépres de l'autorité", come lo stesso Solera osservò.

    Quest'opuscolo, scritto in francese, e che ha per titolo Essai sur les valeurs, di circa 116 pagine in grande ottavo, rimase sepolto sino al 1798, in cui sotto gli auspici di una effimera libertà che il Piemonte aveva acquistato per le vittorie di Bonaparte, poté comparire alla luce. Quand'anche il progetto dell'autore fosse da giudicarsi ineseguibile, nondimeno vi si trovano qua e là delle lampeggianti verità, delle riflessioni acute e nuove, che non solo la sua lettura riescirà sempre utile ed istruttiva ai piemontesi che si interessano al benessere della loro patria, ma pur anco a coloro che sanno che talvolta un opuscolo contiene più intrinseco valore, che un cattedratico volume in foglio.

GIUSEPPE PECCHIO.