Unità socialista?

    Un punto nel quale tutti i socialisti non possono non essere d'accordo è questo: la conquista più preziosa, in quanto era la più difficile, la più lenta e la più costosa, che, in trenta e più anni di propaganda e di azione, si sia raggiunta, è la formazione della consapevolezza di classe in un grosso nucleo della popolazione lavoratrice italiana.

    La differenziazione tra proletariato dei campi o delle officine, organizzato nei Sindacati o nei Partiti e quelle qualsiansi varietà democratiche della piccola e media borghesia, è così penetrata nella coscienza, che riverbera la sua influenza anche su quei proletari, non ancora tesserati, viventi ai margini della organizzazione.

    Il prodotto di questo sforzo, in cui si quintessenzia la dottrina marxista in azione, vuol essere gelosamente custodito perché in esso sta, nei riguardi del tempo, tutto l'avvenire del Socialismo. Quanto più si allargherà e irrobusterà il senso di classe nelle masse lavoratrici, tanto più sarà facile attrarre verso il Lavoro anche forze marginali produttive che ora oscillano incerte e diffidenti e che potranno costituire un apporto proficuo di coltura e di esperienza tecnica, e sarà anche più possibile trattare con nuclei e partiti, per contingenti azioni comuni, senza pericolo di deformazioni, sviamenti e obnubilamenti.

    Ma, intanto: rimanere se stessi, partito di classe con fini e metodi ben precisi e chiari.

    Su due punti, invece, vi è, in questo periodo, divergenza di opinioni, nei dirigenti e, in parte, nelle file, secondo l'interpretazione che si dà, non tanto alla dottrina, quanto agli avvenimenti.





    Per ristabilire, si dice all'estrema destra, l'atmosfera di libertà che deve consentire la ripresa della propaganda, dell'attività, dell'azione socialista, non basta, da solo, lo sforzo del proletariato sul terreno elettorale, parlamentare e governativo; occorre utilizzare altre energie che, per ragioni morali, ideali, ed economiche, ripugnano alla plutocrazia che, oggi, sta dietro al fascismo, ed essere preparati e disposti a operare con esse nel paese e al governo per compiere quella funzione di democrazia indispensabile in un periodo di trapasso dal fascismo plutocratico al governo operaio e socialista.

    Ora, d'accordo sulla funzione democratica, come fase di transizione, in cui le istituzioni costituenti la trama del tessuto della società operante non per il profitto individuale ma per i servizi alla comunità, debbono tornare a germogliare, crescere e vigoreggiare; ma tale funzione deve essere compiuta dagli esponenti della classe lavoratrice al governo come tali e con piena autonomia e responsabilità di classe e di partito, non come coadiutori di un governo di democrazia borghese.

    Siamo, è vero, un po' dappertutto, in un periodo di equilibrio instabile, in cui la ideologia del Lavoro va potenzialmente fronteggiando quella del Capitale con vantaggio crescente, seppure ancora non vi corrispondano, nei corpi rappresentativi, le forze adeguate a disporre di una maggioranza netta e sicura, ma essa ha già tale espressione, tale corrispondenza al divenire sociale, che il Partito socialista, il quale la concreta nell'azione, non solo ha potuto dare i condottieri della società, passati all'altro campo, ma dispone delle personalità esperte, abili e degne per governare esse stesse in nome di quell'ideologia, di quella classe e di quel partito. Quindi, alla fase dei Millerand, dei Viviani e dei Briand in Francia, dei Burns, degli Henderson, dei Clynes in Inghilterra, che vanno a governare insieme alla borghesia democratica o liberale, segue la fase in cui il Governo lo costituiscono da soli laburisti o socialisti, con o senza elementi democratici d'accanto, e si hanno i ministeri Branting in Svezia, Mac Donald in Inghilterra, Stauning in Danimarca, oppure, come in Francia ora, si rinuncia all'occasione di una collaborazione momentanea, in attesa di una situazione che permetta una soluzione analoga a quella dei paesi citati.





    Su questo punto, anche in Italia non sembra dubbio che la grande maggioranza dei militanti, specialmente dei giovani, si trovi consenziente. Ma, una parte dei più giovani, all'estrema sinistra, dopo l'esempio russo e su enunciazioni tattiche del Marx, partendo dal presupposto che la società capitalistica è nella sua fase catastrofica, ma che non cederà il potere della sua dittatura all'avversa forza armata del proletariato, se non attraverso un conflitto cruento, escludendo fin d'ora e per sempre ogni altro mezzo e metodo, non vede altra via di riuscita e di salute se non nella violenza armata e nella dittatura del proletariato.

    Così, una ipotesi che si è verificata in condizioni affatto particolari, come controreazione omologa al secolare regime zarista oligarchico, poliziesco e corrotto, quale non si può escludersi possa ripetersi anche altrove in situazioni dipendenti dal sistema politico ed economico della plutocrazia borghese, è presa come un modello assoluto, immanente ed uniforme per tutti i luoghi e, fin d'ora, per l'eternità.

    Escludere tale ipotesi sarebbe un errore, ma informare ad esso, ed esclusivamente, ogni azione presente è un altro errore.

    Ripetiamolo ancora una volta: nel processo storico non vi è una tecnica assoluta ed uniforme delle trasformazioni politiche ed economiche; in ogni paese giuocano forze molteplici - fattori geografici, predisposizione etnica, sviluppo della tecnica, tradizione - ognuna in funzione dell'altra, e risultanti a mutamenti e a riassetti che sono tanto meno suscettibili di reazioni in quanto ognuna di quelle forze abbia operato nella pienezza della sua potenzialità.





    La società capitalista è sì nella fase del suo sviluppo che ne prelude e prepara la fine perché il suo involucro politico e giuridico diventa un ostacolo all'espansione delle forze economiche, ponendo essa dei limiti alla produzione dei beni occorrenti alla comunità per assicurare il maggior profitto ad una oligarchia sempre più ristretta; ma né quel processo di sviluppo è pervenuto a maturazione - ché, anzi, gli stadi di esso sono nei diversi paesi differentissimi, per cui i modi di resistenza e di difesa del capitalismo sono pure diversissimi dall'uno all'altro - né il suo becchino, il proletariato, è ancora pervenuto a quel grado di maturità interiore ed esteriore che possa assicurargli la successione senza ritorni e senza riprese dell'avversario.

    Forse, alla stregua di quel che insegna la storia della borghesia nella sua lotta secolare contro le oligarchie feudali, nobiliari e chiesastiche, le vittorie e le sconfitte del proletariato, la presa di possesso del governo e il suo spossessamento si alterneranno chi sa quante volte nei diversi paesi, in azioni e reazioni continue.

    Ma da ciò rampolla l'insegnamento che la rivoluzione non può cristallizzarsi in un unico metodo, in un'unica tecnica, sia il 1372 fiorentino, o il 1789 francese, sia il 1917 russo, o il 1923 inglese.

    Quello che occorre, ed è l'altro punto sul quale pure sembra che la grande maggioranza dei militanti socialisti debbano trovarsi d'accordo, si è di preparare le masse lavoratrici al loro compito come classe.

    Nulla va mai perduto nel campo che ha ricevuto una buona semina, dalla scuola dei cooperatori alle lezioni delle istituzioni di cultura proletaria, dalle trattative delle commissioni interne di fabbrica all'accorta azione tattica in Parlamento.





    Come, nel 1905, per la Francia, vale, oggi, per l'Italia, questo inciso di un ordine del giorno di Jaurès votato dal Consiglio nazionale alla vigilia del Congresso dell'unificazione: "Il Consiglio nazionale è convinto che l'unità socialista sinceramente preparata e praticata aggiungerà molto non soltanto alla potenza di organizzazione del proletariato, ma anche all'efficacia dell'azione riformatrice del Partito in Parlamento".

    Ma, oggi, ben più che tanti anni fa, l'educazione del proletariato e dei dirigenti, che venne fatta prima d'ora per stare all'opposizione, deve essere diretta al fine di saper stare al governo dell'industria, degli Enti locali, dello Stato. Questi organismi e i problemi che sono a loro connessi vogliono essere veduti e studiati, nota il Kautsky, non, come si fece finora, teoricamente, dal di fuori, ma dal di dentro.

    Controllo della fabbrica, municipalizzazioni e socializzazioni, debbono essere osservati non in astratto e in assoluto, ma entro i limiti della possibile realtà, per adunare gli sforzi dove e in ciò che è, a volta a volta, praticabile, in relazione alle condizioni di sviluppo degli ordinamenti economici esistenti.

    La conoscenza di tali limiti è la più sicura condizione di riuscita senza pericoli di delusioni, di controreazioni e di riprese offensive e distruttrici di quel che si è costruito.

    Quanti lavoratori italiani, socialisti militanti, tesserati o non ancora tesserati, rinunciando agli aggettivi appiccicati al sostantivo: unitari, massimalisti, terzinternazionalisti, e agli esclusivismi che ad essi, per le naturali, umane amplificazioni e presunzioni di possedere ciascuno, essi soli, la verità, sono connessi, pur ammettendo come inevitabili in una stessa classe e in uno stesso partito la coesistenza delle due visioni e preoccupazioni del reale e dell'ideale confondentisi nell'azione, riconoscono che vi è materia, in quanto si è venuto esponendo, per ristabilire le basi di una unità del proletariato?

Ottobre 1925
ALESSANDRO SCHIAVI.