Lassalle e l'unità d'Italia

L'ambiente e l'epoca.

    I nostri padri hanno molto fantasticato sulla figura romanzesca di Ferdinando Lassalle, il dandy ebreo, agitatore e socialista, adoratore e martire dell'eterno femminino.

    Non erano ancora sorti Verlaine e Mallarmé, né i socialisti e gli operai erano ancora in grado di vivere l'austera morale del marxismo; così che i gesti rumorosi erano ancora i più potenti e le figure in piena aria le più belle.

    La camicia rossa aveva ancora un profondo fascino sui popoli, quanto sui letterati l'aveva il ricordo dello scarlatto panciotto di Teofilo Gautier. L'effervescenza dei sentimenti escludeva la calma contemplazione dei concetti: i subiti abbandoni seguivan agli echi delle diane guerresche: i tramonti fulgidi eran seguiti da notti di profonda tenebra: luce ed ombra, chiaro e scuro: il quadro non aveva nuances.

    Il naturalismo non era ancora sorto ed il positivismo era appena agli albori; nonostante il sarcasmo di Heine le romanticherie medievaliste e sataniche erano più che mai di moda: lo stesso Baudelaire, che in fondo rappresenta il momento di trapasso dal romanticismo al decadentismo, vi navigava in mezzo; prima che Zola e prima che i russi, non ancora importati nel continente, colla loro arte ci forzassero al guardare in faccia al mondo e alla realtà, con occhi ben aperti e con cordialità.

    Bisogna una volta tanto render giustizia al positivismo e riconoscere ch'esso fu per noi una scuola di realismo politico e di umanità; alla quale imparammo le prime nozioni dell'insegnamento liberale. Bisogna infine riconoscere che il socialismo ha avuto bisogno di tale esperienza: che, malgrado gli errori a cui ha dato luogo, ha spianato la strada alla comprensione del marxismo.

    Se oggi si può parlare di quest'ultimo con più apertura di mente, qualche po' di merito va pure dato ai vari Ferri internazionali, che non capendo han offerto il modo di far capire.





    In grazia anche a loro noi possiamo oggi ritornare a Lassalle con animo sgombro del tutto da pregiudizi, senza timore che il fascino del romantico agitatore socialista ci prenda. Di fronte a lui possiamo conservare la freddezza che seppe ai suoi tempi avere Marx, con in più un più sviluppato ed ironico senso d'arte.

    Non abbiamo ritegno a confessare che ciò che formava l'ammirazione dei nostri padri, sembrava a noi abbastanza ridicolo; e ciò che a loro sembra bello ed aristocratico a noi sembra alquanto brutto e volgare. Sopratutto le forti tinte a noi dispiacciono: gli estremismi di questo snob che rifuggiva dallo stringere le mani degli operai che elettrizzava nei comizi, mentre non aveva ritegni ad accettare un'annua vistosa pensione da una brutta e vecchia contessa che aveva difeso contro il marito: le intemperanze di questo filisteo che nel tempo istesso che sognava di diventare il dittatore dell'imminente rivoluzione, consigliava al vecchio padre ebreo il più utile investimento del proprio capitale: le debolezze di quest'uomo solo a parole spregiudicato, ma che nel suo intimo era tanto gretto da promettere alla donna per la quale andava a morire di abiurare la propria fede, nella desiderata speranza di poter una buona volta por fine ai suoi diletti rivoluzionari con un matrimonio in piena regola coll'avvenente figlia d'un diplomatico reazionario.

    Non è che noi non comprendiamo la figura di quest'ebreo quasi russo; ma è perché non sappiamo trovarla interessante dal lato del pensiero, la spiegazione del preambolo sin qui protratto. Poiché per noi Lassalle è più un problema del costume e letterario, che un momento della storia dei pensiero socialista: che ha sempre seguito molto a margine inquantoché non lo sentiva e non lo capiva.





    Egli era infatti niente di più che un democratico. Di più: la sua concezione paternalistica dello Stato sovvenzionatore delle cooperative operaie e delle organizzazioni sindacali è appena appena umanitarismo, anche se paludato dei mistici colori della filosofia fichtiana: quanto è umanitarismo la sua famosa "legge bronzea dei salari", che non a torto il Marx fece risalire al suo vero creatore, al Malthus.

    Ma si veda in ciò un'espressione della razza, anche se per caso e per estremi esso umanitarismo può essere agganciato alla concezione "papale" della vita. Chi può dire infatti che non abbiano entrambi origine dalla stessa matrice, e cioè dalla concezione teocratica e monoteista della vita arcana e divina?

    Certo menano entrambi alla schiavitù del singolo, al Moloch collettivo ed allo stato d'animo che da ciò deriva: ragione per cui non è da esprimer meraviglia se ad un dato momento Lassalle è andato incontro a Bismarck; se il demagogo di Breslavia s'è naturalmente trovato sulla stessa strada del Cancelliere imperiale.

    Non poteva non essere tutto ciò dal momento che la logica è il vero fato; e dal momento che non alla volontà individuale erano affidati e il benessere e la libertà, ma allo Stato che doveva distribuirli e moderarli nell'esplicazione delle sue prerogative di moderatore e di pedagogo.

    Si veda pertanto in ciò la riconferma di quanto già il Weininger ebbe a scrivere sulla incapacità ebraica alla vita individuale e libera; e si ravvisi nella concezione paternalistica lassalliana e bismarckiana dello Stato, l'espressione tipica dell'antiliberalismo e dell'antiprotestantesimo, nonché la rivivescenza del missionarismo ebraico nel predicato nazionalismo prussiano-socialista, tanto del Bismarck che del Lassalle mutuato dal Fichte.





    Poiché non va dimenticato che Lassalle era prima di tutto nazionalista e che se per noi ha ancora un po' d'interesse l'ha per ciò. Non poteva del resto non esserlo chi in gioventù scrisse: "Io credo fermamente che il caso o la Provvidenza mi strapperà dall'ufficio per lanciarmi su una scena dove io potrò agire. Confido nel caso e nella ferma volontà di potermi occupare più delle Muse che dei libri mastri e dei brogliazzi, più dell'Ellade e dell'Oriente che dell'indaco e delle barbabietole, più di Talia e dei suoi sacerdoti che dei trafficanti e dei loro commessi".

    Queste parole sono quelle che naturalmente sgorgano dalle labbra di un attore da natura conformato al falso ed al scenografico; tale infatti fu e rimase il Lassalle letterato della politica, socialista per modo di dire e nazionalista, spregiudicato e filisteo, paternalista e repubblicano, romanticamente sognante un regno da donare alla donna del cuore!

    Come tale, cioè, in quanto letterato e romantico, egli amò Garibaldi e l'Italia e s'appassionò al suo riscatto.

Lassalle e Garibaldi.

    La prima espressione di simpatia per la nostra patria egli l'ebbe nel 1859, nei mesi immediatamente anteriori alla nostra entrata in guerra contro l'Austria. L'opuscolo che in quell'occasione scrisse: La guerra dell'Italia e il compito della Prussia: una voce della democrazia, ebbe molto succeso e fu molto discusso negli ambienti politici e rivoluzionari della capitale prussiana.

    Marx ed Engels vi si dichiararono contrari; anzi quest'ultimo pubblicò un opuscolo: Po e Reno, nel quale sosteneva tutto il contrario del L. chiedendo che l'Austria avesse avuta la linea del Mincio per proteggere la Germania, e la Francia quella del Reno per protegger se stessa; ed affermando che l'Italia sarebbe sempre stata dominata militarmente dalla Germania, finché tutta la Svizzera non fosse stata francese.





    Il Lassalle viceversa avrebbe desiderato che l'Italia non avesse chiesto l'aiuto della Francia napoleonica; mentre, nel tempo stesso che non avrebbe voluto che la Prussia avesse mantenuto una neutralità passiva, invocava che fosse spedita sul Reno un'armata di osservazione, e propugnava una guerra della Prussia contro la Danimarca per occupare lo Schleswig-Holstein.

    Anticipando poi la politica bismarckiana del '66 e gli eventi bellici del 1918, reclamava a gran voce la distruzione dell'Austria a favore della Germania una e potente, quale l'avrebbe voluta e saputa fare Federico il Grande.

    Non meravigli dunque più la sua amicizia con Bismarck, che da questo esasperato nazionalismo riceve nuova e più chiara luce.

    Il successo del libro valse a porre ancor di più in luce l'ebreo di Breslavia, ed a far crescere il rumore attorno al suo nome.

    Lassalle era oramai l'uomo più popolare della Germania pre-bismarckiana: l'uomo politico del giorno come s'usa dire ora.

    Benché vano quanto e più d'una donna, il rumore aveva finito per infastidirlo; od almeno il rumore politico. Altro rumore cercava adesso, da aggiungere a quello suscitato dall'uomo più elegante, forte e bello della Germania. Gli allori dovuti agli eroi del pensiero desiderava allorché, mettendosi un po' in disparte dalla lotta politica, si raccolse per dare alla luce il suo saggio giuridico-storico sul Sistema dei diritti acquisiti, pubblicato il quale per riposarsi e per incontrarsi con Garibaldi venne in Italia.

    È utile vedere che il L. non era come il Proudhon e come Marx radicalmente contrario al diritto di successione come tale, ma solo in quanto il detto diritto non aveva i caratteri di volontaria disposizione del defunto conforme alla religione famigliare romana dei Mani e dei Lari: in quanto cioè era una semplice trasmissione di beni.





    Prima di giungere in Italia s'incontrò a Lugano con Carlo Cattaneo. Il vecchio repubblicano federalista gettò molta acqua sui caldi entusiasmi del Lassalle dipingendogli l'Italia e Garibaldi coi crudi colori della realtà. Ciò non ostante volle ugualmente recarsi a Caprera per esporre al Generale il suo piano d'invasione della Dalmazia e conseguente smembramento dell'Austria che doveva essere il segnale e la conseguenza del moto rivoluzionario che il Lassalle sperava d'iniziare per propagare alla Germania e determinarvi l'unità e la repubblica alla presidenza della quale si era già figurato.

    Il diniego di Garibaldi fece sbollire le velleità dittatoriali dell'ebreo di Breslavia. Disilluso ritornò a Berlino, e inconsciamente si mise ai servigi di Bismarck, mediante le sue prediche filosofiche sul Fichte e sul Lessing.

    Questa della filosofia era una malattia di ritorno, avendo avuta la sua prima manifestazione coll'Eraclito: un saggio che fu molto discusso e criticato quale un'interessante applicazione della dialettica hegeliana, fatta sboccare, dapprima nel Logos universale che fu dal Lassalle identificato e col Fuoco e col divenire!

    Miracoli dell'anima ebraica che si compiace di vagolare nell'indeterminato!

L'agitatore socialista
e il pensatore politico.

    Non sfuggendo ad una "fatale" esperienza letteraria vera e propria colla tragedia Francesco di Sickingen, un aborto che morì non ancora nato, al Lassalle non restava ormai che tentare di lasciare un'impronta nell'economia politica e nella storia: le discipline allora fiorenti: dopo che gli operai tedeschi l'avevano proclamato Presidente della loro associazione.





    Per essi stese il Programma operaio, il documento politico forse più importante dell'agitatore tedesco, inquantoché in esso ha fissati i termini programmatici del suo socialismo di Stato.

    Sull'esempio del Fichte e in concordanza con quanto il Gioberti chiedeva dopo il 1850, il Lassalle avrebbe voluto che lo Stato avesse protetto le cooperative operaie mediante finanziamenti e sovvenzioni, in obbedienza ai suoi caratteri educativi ed etici.

    L'astiosa polemica collo Schultze-Delitzsch forzò il Lassalle a chiarire ancor meglio il suo pensiero che risultò sempre più un misto di panteismo idealistico e di paternalismo, mirabilmente inquadrantesi nella concezione autoritaria bismarckiana e nella sua sfera di azione, alla quale doppiamente serviva, in quanto non solo col suo messianismo assopiva la resistenza operaia, ma colla sua lotta contro i progressisti (i liberali) aiutava il Cancelliere a gettare il discredito sulle istituzioni costituzionali.

    Vari sono gli scritti - tutti brevi - di questo periodo. I più importanti sono: la Risposta agli operai del 1862 ed il suo discorso sulla Filosofia della storia, poiché nel primo enunciò la sua legge bronzea dei salari, e nel secondo stabilì, partendo dal medioevo, le epoche traverso le quali è dovuta passare e dovrà continuare a passare l'umanità per arrivare alla sua completa redenzione.





    È noto che la prima legge la quale dall'autore è stata enunciata in questo: "Il salario non deve abbassarsi al disotto di ciò che è necessario alla sussistenza dell'operaio e della sua famiglia", non è che la parafrasi del pensiero malthusiano, com'ebbe a scrivergli lo stesso Marx; mentre lo schema della sua conferenza sulla Filosofia della storia non è che un rimpasto dell'analoga filosofia dello Hegel con quella che il Marx e l'Engels avevano da non molto messo nel loro Manifesto dei Comunisti. Di notevole e di diverso non c'è che un gradualismo ignoto agli autori del Manifesto quanto naturale al riformista (paternalista) Lassalle.

    Qui si può dire che finisca la sua azione politica, poiché quel che avvenne dopo, cioè la sua tragica morte in duello per una donna, si riferisce del tutto alla sua complessa psicologia, per spiegare la quale abbiamo scritto le righe introduttive di quest'articolo.

    A conclusione noi potremmo dire che Lassalle non fu soltanto un caso di psicologia, ma fu l'espressione crepuscolare del dramma di una generazione e di un'epoca ancora impossibilitata a trovare il proprio equilibrio in un sistema di pensiero e di vita consentaneo al suo intimo desiderio; se proprio non vogliamo col Weininger vedere nel Lassalle il dramma d'una razza negata alla pienezza vitale ed alla virile libertà.

    Invero tutta la psicologia del Lassalle è femminea, quanto il suo pensiero è nell'intimo ebraico genuino: il caso potrebbe servire d'esempio, bisogna convenirne, a chi volesse alla lettera accettare le conclusioni del filosofo viennese. Per conto nostro non ci pronunciamo per lasciare al lettore la più ampia libertà di giudizio.

ARMANDO CAVALLI.