Settecento

Controenciclopedia preventiva

    Se sono vere le promesse esposte sin qui, anche il Piemonte ci vuol dare un esempio, assai guardingo e non disposto alle estreme antitesi del settecentesco dissidio tra scienza e fede, critica e dogma, tolleranza e fanatismo, liberalismo e clericalismo. La lotta contro la Chiesa è condotta dalle eresie intellettuali laiche, ma queste, nella tendenza alla riforma, trovano il limite nei principi a cui si devono alleare, i quali si fermano alle riforme e sono interessati all'indipendenza solo per un'arte di governo e per una esigenza tirannica.

    Così son dal '700 si delinea l'equivoco della nostra rivoluzione nazionale. Il liberalismo non può identificarsi con la democrazia per la mancata preparazione religiosa. L'iniziativa liberale spetta ai governi, i soli che abbiano attitudini a mobilitare le forze necessarie per il trionfo delle idee pensate in solitudine dalle nuove aristocrazie laiche. Il popolo (cattolico) rimane estraneo perché la Chiesa si è alleata coll'assolutismo e tutti i tentativi di democrazia cristiana falliscono. La conciliazione neo-guelfa tra liberalismo e democrazia sarebbe l'anacronismo e segnerebbe una rinuncia della coscienza laica. Bisogna attendere il movimento socialista per parlare di rivoluzione religiosa integrale in Italia.

    Intanto nel '700 è logico che le due cause, conservazione politica antiliberale e conservazione ideale anti-illuministica, appaiano identiche alla Chiesa. In Piemonte contro i timidi tentativi di libero pensiero e contro gli atteggiamenti laici del sovrano la cultura cattolica fa il suo esame di coscienza, si organizza secondo le sue tendenze clericali, combatte l'eresia con armi filosofiche e si sforza col più eclettico dei sistemi di guadagnare la ragione alla causa della fede.





    Abbiamo la controenciclopedia preventiva.

    Dal punto di vista delle classi politiche possiamo dare questa diagnosi del fenomeno: il re mira all'indipendenza e si trova a lottare contro il feudalismo nobile ed ecclesiastico. La nuova élite che gli è indispensabile per questa politica si recluta nel modo seguente: 1) una minoranza dell'aristocrazia che abbandona la solidarietà di classe o per devozione tradizionale al sovrano o per istinto politico o per simpatia all'illuminismo; 2) i nuovi dirigenti del ceto umile (non ancora borghese) che si sta elevando. Queste minoranze intellettuali nel secolo seguente prenderanno la mano alla grettezza dei re e continueranno la rivoluzione per conto proprio. La loro tendenza precisa, non sempre fortunata, è di appoggiarsi sulle masse. Le vecchie classi nobili ed ecclesiastiche rimangono sole a difendere le posizioni passate e i privilegi di sovranità particolare.

    Nel cardinale Sigismondo Gerdil (di Samoens, in Savoia) il quale nella sua lunga vita giunse assai vicino al pontificato proprio negli anni in cui la Chiesa doveva far appello a tutte le sue risorse per contrastare la rivoluzione francese, possiamo vedere un esempio di stile e di cultura ecclesiastica perfettamente retriva. Intorno al Gerdil si raccoglie tutto l'ortodossismo non soltanto piemontese, ma addirittura europeo. Il motto è: Malebranche contro Rousseau. Per il metodo ritorna a Cartesio opposto a Locke, benché anche il suo cartesianismo sia assai guardingo. Si direbbe che egli ne accetti le qualità conservatrici e statiche, come la filosofia dell'identità che deriva da fondar l'evidenza sulla percezione chiara e distinta. Dove Cartesio si avventura tra i presupposti del razionalismo, Gerdil si appiglia ai rimedi più ortodossi dell'eclettismo. La tradizione è accettata nel suo valore conservativo.





    Le vere astuzie istintive di Gerdil si possono scorgere nell'indirizzo della sua polemica pratica. Nella sua intransigenza inesorabile egli mostra un tatto singolare. Da buon teologo non disprezza la filosofia, purché si tratti di una filosofia addomesticata e non immodesta. La ragione ha i suoi meriti anche nei regni della teocrazia se serve a convincere del vero quelli che non hanno fede e ad avviare i filosofi alle imprese apologetiche. La speculazione insomma sarebbe un mezzo di controllo non un mezzo di scoperta. L'amore per la verità nel buon teologo è tutto amore per le verità fatte. Le preoccupazioni di chiarezza prevalgono sopra la profondità. L'ottimismo e la fiducia di Gerdil escludono le avventure e concludono nell'addormentare i popoli sulle verità rivelate e sulle autorità costituite. Niente misticismo, niente sentimento o entusiasmo; niente cristianesimo; ma quieto cattolicismo, un'arte del governo delle menti e delle volontà; un culto raffinato e lungimirante dei risultati pratici. Non più santi; la religione ha bisogno di diplomatici.

    Il cardinale Gerdil non si compiace di parole grosse e di professioni di fede intransigente; pur di restare fermo nelle questioni di sostanza egli non è alieno dall'ostentare un cristiano aspetto di tolleranza e di conciliazione. La libertà di pensare, egli concede cordialmente, non è già esclusa, ma regolata dalla religione. Considerate la debolezza del nostro intelletto! Esso ci può far conoscere il soggetto e il predicato: ma come affermare o negare se non c'è un criterio di fede, o diciamo pure un'autorità superiore? Ed ecco che la vera libertà non è licenza, non esclude l'autorità. Argomentazione garbata (cui soltanto lo spirito del libero esame e delle democrazie saprebbe adeguatamente rispondere) che vedemmo ripetersi in tutti i savi e paterni governi dei padroni.





    La scienza progredisce solo nella reverenza alla religione: con la presuntuosa mania di tutto sapere progredirà un'impaziente cultura non la scienza. Bisogna sapersi fermare al momento giusto, tener sospeso il giudizio: la morale del buon cattolico si può fondare sullo spirito della moderazione. Contro Locke e Rousseau si tratta di opporre appunto la tradizione e questo abito mentale di fiducia. Perciò Gerdil non scrive una critica, ma una introduzione allo studio della religione; anche i filosofi antichi sono studiati secondo la loro volontà di giungere al pensiero di Dio mediante la ragione.

    Ma specialmente nell'Anti Emile si vede il carattere essenziale della filosofia di Gerdil, intesa come filosofia e pedagogia del perfetto suddito. Bisogna combattere Rousseau per sostituirgli un pensiero conforme alla pace delle famiglie, alla tranquillità degli Stati, al vantaggio dell'umanità. L'ordine costituito è una necessità e l'obbedire è cosa giusta davanti a Dio. Meglio delle teorie vale per Gerdil il buon senso; ma noi sappiamo bene che il buon senso non è che l'istinto del reazionario e la difesa del conservatore. Il cardinale non si nasconde che il cattolicismo finisce per coincidere coll'utilità; e fonda il diritto della società verso i sudditi sulla stessa base dell'ubbidienza richiesta ai figli verso i padri. La società è implicita nell'idea di Provvidenza. Nel concetto di uomo c'è il concetto di suddito. Risultati di buon senso, senonchè qui l'opporli a Rousseau non è senza un significato tendenzioso. Alla stessa constatazione di un dominante sentimento retrivo giungeremmo se riguardassimo i limiti della cultura di Gerdil: base umanistica per fondare un edificio rigidamente teologico; nessuna larghezza di informazione moderna ed europea; aridità scientifica; e persino in quel suo pacato e pedantesco tono ragionatore un ossequio scolastico al fatto compiuto. Con siffatti modelli ed educatori (a indicare l'autorità del Gerdil valga il fatto che egli non fu solo professore di Università ma ancora maestro di Carlo Emanuele IV) lo spirito di iniziativa si doveva addormentare in Italia per lasciar posto all'acquiescenza degli schiavi.





    Le classi nobili ebbero il loro esortatore alla cattolica moderazione nel conte Benvenuto Robbio di San Raffaele da Chieri, allievo del Gerdil, poeta, uomo pio, nemico fierissimo di Voltaire contro il quale scrisse le Lettere del dottore Trialevo. Nel Robbio ci sono le preoccupazioni del cortigiano, cha ricerca per dilettantismo le più varie cognizioni, dalla musica alla poesia di Camoes e di Pope. È singolare il suo interesse per la storia. Tuttavia egli ci appare misoneista come i contemporanei in quei suoi curiosi scritti antifemministi, e nelle sue preoccupazioni di educare i nobili. Educazione disinteressata, ossia da perdigiorno (senza un interesse centrale); viaggi di piacere; culto della gentilezza e dell'onestà. In quanto alla religione: "La esatta idea della Religione consiste nel non aggiungere, né togliere nemmanco un apice ai misteri e ai precetti ch'ella ci impone di credere e d'osservare: nel non confondere ciò che è mera opinione e cade in contesa, con ciò che è infallibile e non disputatile". Con questa esigenza di ortodossismo non ci stupiremo che il nostro conte finisse per appartarsi modestamente dalle preoccupazioni statali e nazionali, e con la rivoluzione francese dinanzi agli occhi, continuasse ad osservare provincialmente che la divisione d'Italia in vari Governi cospirava a dare splendore alle metropoli.

    In un'Europa tutta liberale clericalismo e feudalismo sognavano un'Italia sotto tutela, docile alle numerose corti, sottomessa al parroco e alla buona morale.

p. g.