Burocrazia

La riforma delle pensioni

    Della riforma della burocrazia da gran tempo si scrive e si parla; oggi poi siamo addirittura ad una "svolta" tragica!

    Non intendiamo affatto occuparci qui dell'ultimo così vivacemente dibattuto progetto sulla burocrazia; vogliamo invece studiare il problema impiegatizio, con tutta serenità, sotto un punto di vista tutto speciale, su cui da anni noi veniamo insistendo e che, a parer nostro, ne agevolerebbe massimamente la soluzione; vogliamo dire: la riforma delle pensioni.

    L'odierno sistema delle pensioni pare a noi la causa fondamentale, o, quanto meno, una delle principali della esistenza del problema burocratico.

    L'ingaggio quarantennale dell'impiegato rimane quasi come una triste forma di schiavitù; come una pesante catena, quando si consideri come, spesso, non sia soltanto lo Stato a volersi liberare, anche per ragioni politiche, come oggidì, dei suoi impiegati. Spesso sono pure gli stessi impiegati che, specie nel ritmo così proteiforme della vita moderna, acquistando cogli anni nuove più proficue attitudini, hanno interesse a mutare ufficio, ma ne sono, i più, trattenuti dalla non lieve considerazione e impedimento dell'abbandono e perdita degli anni trascorsi per la pensione.

    È tempo, oramai, che si cambi il vigente sistema delle pensioni con quello oggidì più logico e conveniente della libera assicurazione; libera, s'intende, nella scelta delle svariate sue forme, ma obbligatoria per ogni persona che entri nei pubblici impieghi. In altri termini ogni pubblico impiegato avrebbe l'obbligo di assicurarsi, almeno per un minimo determinato dallo Stato, ma scegliendosi la formola più gradita e conveniente fra le odierne svariatissime, previdentissime e sotto ogni aspetto complete forme di assicurazioni.





    Col vigente sistema delle pensioni, un impiegato che muoia prima di aver fatto un certo numero di anni di servizio, lascia nella miseria i propri superstiti. E quand'anche muoia dopo aver raggiunta la pensione, questa diventa più che grama nei riguardi della famiglia superstite.

    Non è certo a pensare, specie coi tempi che corrono, che l'impiegato, spesso povero diavolo, possa aggiungere alla previdenza dell'attuale pensione, quella di una libera, volontaria, privata assicurazione, per meglio provvedere ai casi suoi e della propria famiglia.

    Ed altri sarebbero ancora i benefici del sistema qui caldeggiato. Con l'assicurazione l'impiegato potrebbe in ogni momento ampliare e modificare la polizza a suo gradimento, secondo i suoi nuovi bisogni (sempre, s'intende, entro certi limiti da regolarsi dallo Stato). All'occorrenza l'impiegato potrebbe perfino trovare credito presso la sua Società assicuratrice; si combinerebbe così, assai bene, comodamente e facilmente, il beneficio dell'assicurazione con quello del credito; e non solo per "prendere a credito", ma anche per "dare a credito", in quanto l'Istituto assicurativo potrebbe aprire un servizio bancario di operazioni attive e passive con gl'impiegati; è facile pensarne, capirne i dettagli. Infine, dimettendosi l'impiegato dal pubblico ufficio, potrebbe anche risolvere il suo contratto di assicurazione, o continuarlo a suo beneplacito.





    Né per l'assunzione in impiego, sussisterebbe più l'ostacolo dell'età dell'impiegato, ostacolo causato principalmente dal vigente sistema della pensione uniforme di Stato. A qualsiasi età un cittadino, purché capace sotto gli altri riguardi, potrebbe essere assunto al pubblico impiego, sia perché ogni cittadino, pensando alla possibilità di divenire impiegato statale, provvederebbe in tempo a contrarre un'assicurazione (e sarebbe un utile stimolo allo estendersi di questa forma di previdenza) - sia perché, se anche un cittadino non l'avesse contratta, gli sarebbe relativamente possibile, anzi facile di contrarla al momento in cui divenisse, a qualunque età, pubblico impiegato; appunto perché le private Società assicuratrici hanno la maggiore libertà, facilità di provvedere ad ogni più svariata esigenza, e di aggiustar tutto con soddisfazione di tutti.

    Così lo Stato potrebbe anche giovarsi di persone che, talvolta, anche fornite di ottime capacità, non possono divenire impiegati pubblici, solo per avere sorpassato quel fatale limite di età inconciliabile con l'attuale sistema della pensione di Stato. Ed aggiungeremo ancora che, col sistema qui da noi proposto, l'impiegato uscito dal servizio di Stato vi potrebbe sempre ritornare, purché conservasse i requisiti voluti e sottoponendosi, naturalmente, ex novo al relativo concorso con tutti i nuovi aspiranti.

    Dopo quanto ho succintamente esposto, frutto di lungo e sereno studio, non riesco a intravedere obbiezioni serie alla invocata riforma, vantaggiosa per l'impiegato, per lo Stato, per la intiera collettività. Con essa, sono sicuro, si riuscirebbe, dopo tanto, a dare il migliore avviamento alla risoluzione del problema della burocrazia.

GIOVANNI CARANO-DONVITO.