Bilancio

    Rivoluzione Liberale si è astenuta dal discutere la condotta dell'Aventino per ragioni ovvie. Le questioni di tattica non si trattano in sede di critica ideale. Nell'impostazione aventiniana noi abbiamo le nostre responsabilità. Non potevamo rinnegarle anche se di volta in volta sentissimo qualche dissenso pratico.

    In sostanza Rivoluzione Liberale proclamò l'Aventino (non collaborare con la critica) nel novembre 1922. Nel momento in cui anche le opposizioni parlamentari accettavano il nostro criterio e si portavano sulla nostra linea di battaglia, noi non dovevamo chiedere loro onestamente se non l'intransigenza. L'Aventino avrà tutti i torti di scarsa azione pratica e di scarsa omogeneità che gli si rimproverano, ma, volenti o no gli stessi suoi componenti singoli, ha ubbidito a questa linea di intransigenza. Nel novembre 1922 c'eravamo soltanto noi a dichiarare che non avremmo patteggiato, che non avremmo collaborato con la critica; tutti gli altri proponevano delle condizioni (scioglimento della milizia, normalizzazione, ecc.), non rifiutavano di discutere. Nel giugno 1924 invece anche i parlamentari accettavano la nostra impostazione integrale. L'Aventino ha avuto almeno per questo una grande ripercussione morale. È una vittoria del carattere degli italiani.

    Impostare così la battaglia voleva dire rinunciar a realizzare per dieci anni: noi lo dichiarammo francamente e continuamente dal novembre 1922 ad oggi. Il 3 gennaio non ci ha sorpreso. Noi sappiamo che Mussolini è il più forte, che la maggioranza degli italiani è con lui. Se l'Aventino nutrì qualche illusione, questo fu suo torto; è possibile che oggi le illusioni siano cadute.





    Il gran risultato dell'Aventino è stato di chiarire le posizioni. Sono scomparse per sempre le situazioni centriste. Oggi le opposizioni dell'aula, le opposizioni dei fascisti onorari, come Bonomi, fanno ridere. Costoro incominciano a pensare sul serio a collaborare, altrimenti che con la critica, senonché Mussolini li avrà sul mercato per poco prezzo: non sono più necessari neanche a lui. Mussolini può tranquillamente far a meno di proporre la nomina di Bonomi a senatore. I ceti dominanti, (plutocrazia, agrari, corte, esercito, burocrazia) hanno trovato in Mussolini e nei suoi compagni gli uomini in cui riporre piena fiducia. Potevano nel passato pensare agli uomini delle opposizioni costituzionali e dell'aula come a una riserva: oggi non più. Le vecchie classi politiche giolittiane e salandrine sono definitivamente liquidate: gli uomini dell'ante guerra sono tutti finiti. Di questo risultato, che il fascismo avrebbe potuto raggiungere più presto senza le sue manovre trasformiste, ma che tuttavia ha ormai raggiunto, noi non siamo meno lieti dei fascisti.

    L'Aventino ha anche contato sulle classi medie. Ma queste per la loro natura equivoca sono sempre col vincitore, anche se ostentavano mesi or sono di leggere il Becco giallo. Sono rimasti alle opposizioni non le classi medie, non gli avvocati, non i professori, ma alcuni individui di queste categorie che per la loro educazione e la loro dignità sentono esigenze di critica e di idee. È confortante che questi individui siano in certo modo numerosi, per esempio, più numerosi di quel che non fossero nel Risorgimento. In questo momento soffrono di un pericoloso disorientamento: hanno bisogno di studi seri, di raccoglimento; ma sono una sicura riserva di carattere e di indipendenza per l'Italia di domani.





    Quei partiti aventiniani che si annunciavano come rappresentanti delle classi medie, come futuri partiti di governo, i partiti di democrazia e in parte i popolari e gli unitari perderanno terreno nel prossimo futuro. Così lo perderanno, l'hanno già perduto, liberali e combattenti: essi mobilitavano dei malcontenti: ma Mussolini è un tattico molto abile nello spostare e convertire malcontenti: oppositori oggi, domani soddisfatti, non si può fare su costoro nessun calcolo politico serio. Le prossime elezioni, che Mussolini saprà preparare con la consueta abilità giolittiana, mostreranno che tutte queste posizioni sono indebolite: anche l'Aventino tornerà decimato alla Camera e ne trarranno vantaggi massimalisti e comunisti. Comunque bisogna essere sicuri sin d'ora che con o senza violenze, la prossima Camera sarà - a collegio uninominale - più fida al Duce che la presente. In compenso le opposizioni avranno guadagnato in qualità, disporranno di pattuglie scelte, scaltrite alla difficile lotta, pronte a tutto.

    L'Aventino ha tutto l'interesse di tornare da una campagna elettorale con un minor numero di deputati: perderà l'attuale pesantezza, potrà combattere con agilità e rapidità.

    Messe così le cose, deve essere acquisito che la sola riserva solida di ogni nuova politica futura è il movimento operaio. Se intorno all'Aventino si è venuta formando un'élite di giovani che capiscono la situazione, che non si fanno illusioni, essi hanno il dovere di smetterla con le inconcludenti polemiche contro i comunisti che minacciano di diventare un inutile diversivo, di non occuparsi di teoria delle classi medie, di non escogitare astuzie di colpi di mano, ma di lavorare con lealtà per il fronte unico operaio, anche se questo lavoro, per le attuali condizioni di depressione delle masse, non è per dare frutti immediati.

p. g.