Risorgimento

BERCHET

    Giovanni Berchet é l'ispiratore ma sopratutto il poeta della rivolta romantica del '21. Tale definizione può già essere sufficiente a stabilire quale ordine di preoccupazioni gli si svolgono nell'animo come premessa dell'attività artistica e ad affermare aprioristicamente la ineluttabilità del suo fallimento. Il settecento ci offre - è vero - casi di artisti o di scrittori che arrivano a rendere più o meno se stessi. Alfieri e Parini, Vico e Baretti: ecco dei nomi. Per tale compiersi però, si rende necessario il rifugio nella storia o nell'ironia, l'avvicinamento a popoli infinitamente più maturi dell'italiano o l'elaborazione astratta di ideologie tendenti a cogliere il divenire nel generale. Berchet perciò che vuole inserirsi nella vita battagliando contro il classicismo in nome di una superiore libertà, dimostra di obbedire ad esigenze molteplici la cui incapacità di acquistare individuazione e di risolversi nella sintesi balza evidente pensando alla immaturità dello spirito. Egli è il patriota dalla personalità ardente e sensibile, esuberante e immediata che avverte per istinto la impossibilità di aderire alla tirannia. Queste virtù, però, se fanno presentire lo sbocco nel rigorismo intransigente servono pure a svelare deficienze e manchevolezze profonde e senza rimedio. Berchet è l'uomo cui il carattere non consente la severità inflessibile di una discipline di se stessi a se stessi diretta a limitare gli sfoghi, ad approfondire le intuizioni, a svolgere le proprie risorse. Resta quindi un artista fallito in quanto elabora i dati con gli elementi dell'immaginazione e non con quelli della fantasia, un politico e un filosofo mancato poiché, non possiede capacità adeguate e preparazione di studi, il senso del reale, delle sfumature psicologiche, delle proporzioni degli episodii nel quadro dell'epoca. La sua attività si inizia con gli sforzi del teorico nella polemica de Il conciliatore. L'intuizione oscura e confusa della antitesi fra il proprio essere e l'ambiente lo obbliga a risalire verso le fonti, a dare assetto e ordine alle intime sensazioni traducendole in idee, ad opporre sistema a sistema. È una ironia dei tempi che costringono gli spiriti d'avanguardia ad improvvisazioni ed avventure quando si richiede invece una continua ascesi elaborativa e la serietà è il presupposto inderogabile dell'esperienza. Così mentre in Germania quasi per lo stesso ordine di cause esteriori nasce la grandiosa rivoluzione kantiana, in Italia Giovanni Berchet mette in cattedra e scrive la "lettera di Grisostomo" che vorrebbe essere il manifesto del nascente romanticismo e rappresenta, al contrario, una débacle clamorosa. La insufficienza del pensiero qui è palesa. I motivi polemici colti a volo lo mantengono nel tempo dell'astratto e della metafisica. Egli invece di dare l'analisi atta a far comprendere la storicità della reazione e del classicismo ci offre un'altra reazione. Alla formalità aristocratica oppone la popolarità. All'assenteismo cattolico e ateo le sue simpatie verso i paesi protestanti. La costruzione, quindi, rimane minuscola e senza effetti, conserva il tono e lo stile del tempo, deve ricorrere ad espedienti meschini quale la creazione di personaggi fittizii - Grisostomo - per potere avvenire. È il destino delle formazioni precoci portate a perire che si attua inesorabilmente. Berchet difatti in ultimo non sa far di meglio che rimbrottare. Parla agli italiani bonario e semplice come il classico buon padre di famiglia preoccupato delle sorti della prole: "Vincete l'avversità con lo studio, smettete la boria di reputarvi i soli europei che abbiano occhi in testa. Rendetevi coevi al secolo vostro e non ai secoli seppelliti". Il teorico, naufragato qui, cede il posto all'ideologo che non ha saputo e potuto andare innanzi nell'approfondimento ed esaurisce se stesso nel consiglio amichevole. Onde la battaglia rimane episodio solitario e malinconico poiché non è stata capace di scrutare il fondo, di toccare il vivo delle piaghe, di svegliare coscienze. L'unica strada per potere proseguire nella lotta appare al nostro per tali ragioni la poesia.





    Abbandonati i conati della ribellione spirituale, il calore della personalità e l'esperienza della vita svegliano nel suo essere un certo fondo di umanità. La solitudine nello spirito di lui, veemente e impulsivo, diventa allora collera e passione torbida. Tutta la disperazione della passate sconfitte e dell'esilio attende gli estri della fantasia e sfoga nella lirica. La compostezza classica della forma si traduce, perciò, in quella che Francesco De Sanctis chiama "linea sinuosa". E anche in questo caso, da un estremo si arriva all'opposto e si precipita nella retorica e nell'enfasi, si ritorna al Medioevo. L'Italia così partorisce un nuovo figurino: il tipo dell'esule e del cospiratore che accenderà in seguito l'entusiasmo e i pruriti dei giovani patrioti idealisti. Dà origine ad un nuovo genere di poesia nella quale è una sarabanda di mostri e di streghe, di gnomi e di folletti. Si osservi per precisare e giungere al concreto una fra le più compiute poesie di Berchet: L'Esule. Il motivo fondamentale per svilupparsi e formarsi ha inderogabile bisogno di richiami all'ambiente. E la solitudine spirituale, la repulsione verso il mondo antico fanno uscire questo ambiente dalla immaginazione accesa; lo pongono nei piani dell'irreale, gli dànno tonalità orride e selvagge. Sfilano valli, monti e pianure, si rinnova la leggenda dell'ebreo errante e si centuplica nella anormalità della situazione l'intransigenza. Come il naufrago che più si aggrappa allo scoglio quanto più le onde lo investono e lo flagellano, così Berchet rimane afferrato a tale salvezza. Ma la rinnovata forza non deve trarre in inganno. Essa è fittizia poiché non poggia sul pessimismo maturato lungamente, sulla tragedia che permane costante in qualsivoglia situazione negatrice. Essendo invece frutto di entusiasmi solitarii e di vampate improvvise, ha già nella sua veemenza segnato il suo destino che è quello di un abbassamento repentino, mutate le circostanze.





    L'esule Berchet, per questo, tornato in Italia, finisce deputato al Parlamento Subalpino, fallendo per la terza volta. Come letterato, come poeta e come politico egli non sapendo sottrarsi al vizio fondamentale del carattere e dare equilibrio ed armonia alle forze interiori, non riesce a raggiungere risultati di sorta e rimane semplicemente un caso senza ripercussione, privo di possibilità di insegnamenti. Oggi noi non sentiamo di accettarlo nemmeno come maestro di vita. La nostra solitudine è diversa dalla sua popolata di fantasmi e di visioni d'Apocalissi. Ci contentiamo così della spiegazione della tragedia e di assolverlo come vittima di essa. Il nostro messianismo non nutre speranze di palingenesi e l'intimo dramma rifiuta la creazione di larve e di fantasie.

CARMELO PUGLIONISI.