Le fonti della libertà

    È questo il titolo d'un libro apparso negli scorsi giorni. Autore Dino Bonardi, socialista unitario, redattore de La Giustizia. Prefattore Claudio Treves, socialista unitario, direttore de La Giustizia. Editore La Giustizia. Navighiamo dunque nell'unitarismo a vele dispiegate. Il libro può essere pertanto l'indice di un orientamento politico e come tale esso presenta un interesse notevolissimo.

    La posizione assunta da questo libro, e difatti anche dal Partito, di fronte al fascismo, è quella di rivendicatore delle Libertà democratiche, delle leggi violate. Il Fascismo, per questa gente, ha il torto imperdonabile di aver privato gli Italiani delle Libertà (al plurale e con L maiuscola). A costoro non passa neppure per l'anticamera del cervello l'idea che la libertà sia alcunché di interiore all'uomo, che la coscienza umana sia la sola fonte (e non le fonti, caro Bonardi) della libertà (al singolare). Ma basta questo per metterli nell'impossibilità di penetrare la vera essenza della crisi attuale, che è crisi spirituale, risolubile solo in senso idealistico, e, se vogliamo, protestante. Gli Italiani debbono ancora meditare lungamente Hegel e Calvino.

    Bonardi dichiara apertamente, e glie ne va data lode, la sua fede positivistica, la sua viva opposizione all'idealismo. Vero è che qua e là nel suo libro, sopratutto nella non sua Prefazione, riappare il nome o l'accenno di Marx. Ma è l'omaggio recato a un culto che non si sente ed al quale si è obbligati per tradizione di famiglia. Mi fa l'effetto della mozione votata al Congresso di Roma, dopo le note di Basso. Marx non può essere arbitrariamente avulso dall'ambiente hegeliano in cui s'è venuto formando. Un Marx positivista ed ottantanovista è tanto vero quanto il Marx alto e biondo di cui ci narra il Croce.





    Mark aveva infatti visto assai bene come la libertà avesse le sue radici nell'umana coscienza, e non negli astratti principi, fosse interiore e non esterna all'uomo. Egli dice che non ha il diritto di difendere la libertà chi non la sente come un bisogno dell'animo, senza di cui la sua esistenza non sarebbe compiuta, come un insopprimibile esigenza spirituale. Ma questa premessa idealistica, che pure è la chiave di volta per intendere tutto il pensiero di Marx, non può essere accolta dai positivisti che si richiamano all'89. Essi ricercano le fonti della libertà nei principi, da cui deducono con un procedimento meramente cerebrale le libertà individuali e le libertà sociali, e cioè fra le prime la libertà personale, l'inviolabilità del domicilio, ecc., fra le seconde la libertà di riunione e quella d'associazione. È evidente che un tale punto di vista è antitetico a quello del Marx: quando si è affermata la libertà come esigenza spirituale, non si può poi creare tante libertà se non a patto di sezionare e uccidere lo spirito, o, che è lo stesso, la libertà medesima. Questo aveva chiaramente visto Marx, quando scriveva: "Non amiamo in generale "la libertà" che vuol valere solo al plurale". Egli ammetteva che si potesse parlare di libertà di stampa o di libertà di riunione, tutt'al più come di semplici forme traverso cui la libertà umana si realizza, ma affermava sovratutto la coscienza della libertà come l'essenza stessa dell'uomo. "Tosto che si mette in discussione una libertà, egli diceva, si mette in discussione la libertà generale. Se una forma della libertà è rifiutata, è rifiutata la libertà: essa può in generale condurre solo una vita apparente, poiché è un puro accidente che prova come sia la forza dominante. La servitù è la regola, la libertà è un'eccezione del caso e dell'arbitrio. Nulla è più pervertito del pensare che si tratti di una questione particolare quando si tratta di una forma particolare della libertà. È la questione generale entro una sfera particolare. Libertà resta libertà, si esprima colla stampa, o nella coscienza, o in una riunione politica: ma l'amico leale della libertà il cui sentimento d'onore verrebbe offeso se dovesse votare: "Deve esservi o no libertà?" si confonde davanti allo strano materiale nel quale s'incarna la libertà, misconosce il genere nella specie, dimentica nella stampa la libertà, crede di giudicare qualche cosa di straniero e condanna la sua propria essenza".





    Questi concetti son così ovvii che parrebbe inutile il ripeterli: invece non è stato mai così utile come ai tempi nostri, poiché v'è troppa gente in Italia che ancora non se n'è resa conto, mentre la crisi urge e minaccia di allargarsi. Gli unitari son fra questi, più arretrati ancora di Fourier, che almeno s'era accorto che per l'operaio la libertà borghese è una derisione suprema.

    Essi vivono proprio nell'atmosfera ideale dell'89; il problema è per essi di svolgere gli immortali principi, "perfezionandoli, avvicinandoli cioè all'espressione assoluta nella quale furono formulati" (son parole del Bonardi). Marx dunque non è mai esistito, quel Marx che frustò a sangue gli immortali principi, che definì i droits de l'homme "i diritti del membro della società borghese, cioè dell'uomo egoistico, dell'uomo separato dagli altri uomini e dalla comunità", che definì la liberté "il diritto della separazione dell'uomo dagli uomini, il diritto dell'individuo limitato che si limitò a sé". Non è mai esistito quel Marx che sulle orme di Hegel denunziava nel citoyen un vuoto fantasma separato, con processo d'astrazione, dall'uomo reale: separazione ch'egli criticava teoricamente come effetto della contraddizione esistente nel seno della società borghese e risolveva praticamente superando la contraddizione stessa. Superandola beninteso dialetticamente, cioè negandola in senso rivoluzionario. E questa rivoluzione è per Marx proprio l'affermazione della libertà, come esigenza spirituale, compiuta dal proletariato. È una volontà di palingenesi che si leva contro la società borghese. Gli unitari invece si pongono sul terreno della società borghese, ma, e qui è il loro equivoco, conservano le idealità socialiste. Le quali per essi debbono esser frutto dell'indefinito progresso, di cui fu teorico il Condorcet nell'epoca della Rivoluzione, e ch'essi riprendono confortati dalla teoria dell'evoluzione spenceriana. Donde il principio dell'adattamento, del gradualismo accomodante, e il repudio della lotta di classe come fattore di educazione rivoluzionaria e rigenerazione spirituale. Tolto alla lotta proletaria il suo carattere, schiettamente marxistico, di rivoluzione ideale, resta il semplice conflitto d'interessi, il quale naturalmente giustificherà sempre la tattica che, ad un dato momento, apparirà più conveniente. Un cotale partito potrà ben curare l'immediato tornaconto del proletariato, magari col protezionismo dei Buozzi, contro cui indarno s'appuntano nell'anteguerra gli accorati strali di Salvemini, ma non potrà contribuire mai ad un'opera seriamente ed altamente educativa. Non per nulla i tentativi di revisione idealistica che esso ci ha dato, portan tutti l'impronta d'un vago umanitarismo o d'un astratto sentimentalismo cattolico-positivista.





    Come il lettore si sarà accorto, per via ho dimenticato il libro per attaccarmi al Partito. Tirerò dunque per il partito le conclusioni di questa mia chiacchierata, non senza aver rilevato, per quanto riguarda il libro, che può esser letto assai utilmente, non soltanto per sé, ma anche per il fatto che la sincera ed aperta adesione del Bonardi ai principi dell'89 potrebbe fornire ottima base agli unitari per una discussione revisionista in senso democratico piccolo-borghese, chè solo su tal via il Partito Unitario potrà trovar ragioni di vita.

    Comunque oggi esso non si mostra adatto ad interpretare il disagio morale in cui versa l'Italia. Esso non s'accorge che libertà vuol dire coscienza della libertà, vuol dire amore della libertà (la libertà bisogna averla amata per poterla difendere, diceva Marx), e quel che manca in Italia è appunto questo amore alla libertà. Amore alla libertà che non può nascere se non da una salda educazione spirituale, da un senso della dignità umana che solo la più intransigente lotta di classe può dare al proletariato. Per questo occorre abituarlo al vivo senso del contrasto, all'esasperazione delle antinomie, alla drammaticità della vita. Il Partito Unitario accusa invece il Fascismo di avere spogliato gli Italiani delle Libertà statutarie e sogna di restaurarle. Esso trasforma un problema spirituale in problema di ordinamenti e di Governo. Esso rimpiange forse i bei tempi giolittiani, che salvavano la legalità esteriore e facevano concessioni al proletariato. Esso crede nel democraticismo compromissionistico. Per un tale partito io non vedo posto nell'Italia di domani.

PROMETEO FILODEMO.