DISCUSSIONI MARXISTE

(REPLICA AL PROF MONDOLFO)

    La cortese risposta del prof. Mondolfo mi obbliga a una replica che costringerò nel più breve spazio possibile. Il punto controverso, se non erro, è costituito dal contrasto fra la tesi della possibilità che un pericolo di crisi sia favorevole alla rivoluzione e quella contraria, sostenuta tempo addietro dal Mondolfo stesso. Il Treves opinava infatti che la formula marxista del divenire rivoluzionario ammette che un regime pervenga alla sua fine per impossibilità di un funzionamento ulteriore; che, in altri termini, essa non lega l'avvento del socialismo al più alto sviluppo capitalistico, ma consente invece che esso nasca dall'arresto o dalla deficienza della produzione e sia figlio della miseria.

    Questo negava recisamente il Mondolfo nella sua lettera al Rabano alla quale mi sono richiamato nell'articolo precedente. Se questa negazione non significa ammettere la possibilità del periodo rivoluzionario esclusivamente nella fase di maggiore abbondanza, io non so; certo si è che significa negarla in periodo di crisi, poiché la crisi altro non può determinare che miseria e le sue caratteristiche essenziali sono costituite proprio chi da un arresto della produzione. Certamente per rivoluzione proletaria non si vuole intendere esclusivamente una azione politica tendendo a modificare la forma di governo. Per rivoluzione proletaria si intende necessariamente tutto l'insieme delle azioni e dei fatti che concorrono a modificare totalmente la struttura sociale. Ma è anche certo che, quando noi ci occupiamo del movimento rivoluzionario, non vogliamo precisare esclusivamente questo insieme, ma vogliamo invece caratterizzare il momento del trapasso del potere politico da una classe all'altra, in quanto esso sia reso non solo possibile, ma necessario, dalle condizioni di sviluppo già raggiunte in seno all'antica società e del bisogno impellente di disciplinarne energicamente le ulteriori manifestazioni per convergerle allo scopo che ci si prefigge.





    Infatti lo sviluppo delle forme produttive sociali non è, e non può essere, contemporaneo; e se è vero che il Marx scriveva nella prefazione alla sua critica dell'Economia politica che "una formazione sociale non tramonta prima che siano sviluppate tutte le forze produttive che essa è capace di dare e nuovi rapporti sociali non si sostituiscono ai vecchi prima che le loro condizioni materiali di esistenza non si siano schiuse precisamente in seno all'antica società", è anche vero che egli soggiungeva immediatamente dopo che "l'umanità non si propone se non quei problemi che essa può risolvere, perché, a considerare le cose d'appresso, si vede che i problemi non sorgono se non quando le condizioni materiali per la loro soluzione ci sono già, o si trovano per lo meno in atto di sviluppo".

    Ora lo sviluppo delle forme di produzione sociale, come dicevo dianzi, è diverso a seconda delle caratteristiche peculiari a ciascuna forma dell'attività capitalistica. Così, p. c., è un fatto che mentre alcune di tali forme hanno ormai raggiunto il loro più alto sviluppo, onde se ne richiede incessantemente e necessariamente la socializzazione, altre possono trovarsi in una fase di sviluppo quasi primordiale.

    Il Mondolfo, ammetterà quanto dico se rileggerà quanto scriveva egli stesso nel suo articolo "Il socialismo e il momento storico presente" (nella IIŠ edizione) a precisamente se rileggerà quanto diceva Bonar Law quando dichiarava di far proprio, nella lettera e nello spirito, il rapporto del giudice Sankey sulla industria mineraria, il quale proclamava che "il presente sistema di proprietà e di lavoro è condannato, e qualche altro sistema deve essergli sostituito, sia la nazionalizzazione sia un sistema di unificazione o di controllo nazionale". Tutto ciò considerato, se è vero che lo sviluppo delle forme di produzione si verifica in modo diverso ed in periodo non contemporaneo, appar chiaro che sarà difficile al rivoluzionario afferrare quel punto critico al quale accenna tanto volentieri il Mondolfo: perché questo punto critico, non producendosi contemporaneamente, sfuggirebbe ad ogni controllo e potrebbe trasformarsi in una Fata Morgana o in un'araba fenice.





    Considerando questa innegabile eterogeneità della manifestazioni dell'attività capitalistica, che si dimostra logicamente e sperimentalmente attraverso la maggiore o minore celerità di perfezionamento, possiamo arrivare a spiegarci per antologia le particolari discordanze dello sviluppo capitalistico nelle diverse nazioni. Non in tutti i paesi, infatti, la produzione capitalistica, pur avendo raggiunto un minimum di sviluppo egualitario, è progredita nella stessa misura. L'equilibrio della società capitalistica si è stabilito ad una quota media, alla quale si sono arrestate alcune nazioni mentre altre hanno oltrepassato, nel loro cammino ascensionale, vette superiori a tale quota. La differenza fra lo sviluppo capitalistico dell'Inghilterra e quello della Jugoslavia, p. es., può offrire un giusto parallelo alla differenza che si determina fra lo sviluppo di alcune industrie più progredite e quello di altre rimaste in una fase di maturazione.

    E se la socializzazione delle prime può essere resa necessaria, e non soltanto possibile, dal fatto che ad esse è venuto a mancare ogni possibilità di ulteriore perfezionamento nella direzione primitiva, potrebbe darsi che anche nella rivoluzione proletaria si rendesse possibile la instaurazione di un regime socialista prima in alcuni che in altri paesi, e questo proprio per il fatto che la interdipendenza delle diverse economie nazionali costringerebbe le meno perfezionate a tollerare e magari subire la imposizione di quelle che hanno raggiunto un grado di pienezza delle proprie forme produttive sufficiente per la instaurazione del nuovo regime.

    Non solo ma é opportuno a questo proposito spingere più oltre l'indagine.

    Nell'economia della società umana, come in quelle individuali, gli sviluppi non possono avvenire che attraverso la linea di minor resistenza, poiché nessuna società - come nessun individuo vorrebbe affrontare un maggior dispendio di energie di quello strettamente necessario. Di questa legge assoluta occorre tener conto quando si studiano i fenomeni sociali: e se nel nostro caso intendiamo applicarla con avvedutezza, saremo costretti a trarre la conseguenza che, quando le condizioni ambientali di sviluppo e di pienezza di una civiltà si sono maturate in altissimo grado, le nuove situazioni si stabiliranno logicamente nel punto meno resistente. (Queste considerazioni, come tenterò di dimostrare più oltre, ci potrebbero spiegare il fenomeno russo).





    Ma questo, più che dalla teoria, dovrà trovare conferma sperimentale nei fatti: ed io faccio mio il rifiuto del Mondolfo a giurare a occhi chiusi sui testi.

    Comunque il differente procedere dello sviluppo delle forme di produzione dimostra che la rivoluzione proletaria non può esclusivamente proporsi come compito immediato dell'azione rivoluzionaria del proletariato solo quando tutte indistintamente quelle forme hanno raggiunto un grado di sviluppo alle quali non corrisponde più la capacità della distribuzione capitalistica, ed è per questo che giustamente il Mondolfo riafferma che non è possibile determinare teoricamente in antecedenza in che punto si può verificare tale incompatibilità.

    Ora il Marx nel "Manifesto dei comunisti" intravvedeva già la necessità di affermare che il secondo passo della rivoluzione operaia dovesse consistere nel fatto che il proletariato "profitterà del suo dominio per togliere via via alla borghesia ogni capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione in mano allo Stato, ossia al proletariato stesso organizzato quale classe dominante, e per accrescere il più rapidamente possibile la massa delle forze produttive". E, per meglio chiarire il suo concetto - per meglio far comprendere cioè come egli ritenesse necessario che il proletariato si impadronisse del potere politico, scriveva "naturalmente ciò non può accadere che mediante un dispotico intervento nel diretto di proprietà e nei rapporti della produzione borghese". Questo, dunque, si vuole intendere per rivoluzione possibile in periodo di crisi; e se si ammette, come é costretto ad ammettere anche il Mondolfo, che può accadere che una rivoluzione proletaria insorga anche prima che siano create le condizioni per la socializzazione totale dei mezzi di produzione, si vede che quel grano di sale al quale io accennavo nel mio precedente articolo, non era da usarsi secondo un mio modo tendenziale di vedere, ma doveva proprio aiutare ad interpretare con minor dogmatismo la formola del "sommo sviluppo".

    E ritorniamo, dopo la lunga parentesi, alle crisi.





    Scriveva ancora il Marx che la borghesia supera la crisi un pò distruggendo forzatamente molte energie produttive, un po' o conquistando nuovi mercati o sfruttando più radicalmente gli antichi e che da ciò seguiva che essa, in quel modo, prepara crisi più violente e radicali diminuendo i mezzi per rimediarvi. Ora per l'appunto io avevo sostenuto che tanto più è grande lo sviluppo raggiunto dal capitalismo, tanto maggiore diventa, in estensione, il numero degli interessi turbati, dei danni prodotti delle distruzioni arrecate. La il Mondolfo mi obbietta che non tutte le crisi sono crisi di sovrapproduzione e mi cita quelle di esaurimento, forse per una lontana reminiscenza di quello che è avvenuto, alcune migliaia d'anni or sono, in Cina.

    Mi permetta il Mondolfo di dissentire da questa sua suddivisione; e ciò senza venir meno al profondo rispetto che io ho per uno studioso par suo, dal quale ho molto da imparare ed al quale non ho nulla da insegnare. E' vero che, nella storia, si sono prodotte alcune crisi di esaurimento di vecchie civiltà impotenti a resistere al nuovo mondo; ma è anche vero che il capitalismo ha costituito una civiltà sui generis, tale che occorrerebbe molta fantasia per supporre che esso potesse abbandonarsi ad una crisi di questo genere. Non solo; ma tutto lo sviluppo del capitalismo sembra implicare una recisa negazione alla possibilità di una crisi di esaurimento, giacché tali e tante sono le risorse del mondo capitalistico che esso saprebbe impedire a se stesso, a qualunque costo, una tale rovina. E mi pare che anche la crisi alla quale pareva richiamarsi il Mondolfo, la crisi odierna, rientri specificatamente nel ciclo delle uniche crisi che si possono verificare in periodo capitalistico, cioè le crisi di sovraproduzione. Se anche, quindi, il prolungarsi di una crisi potesse far ritenere che questa si sia trasformata in crisi di esaurimento, ciò non toglierebbe nulla al fatto che, il punto di parenza è stato, inevitabilmente, quello di una crisi di sovraproduzione. Mi conforta, del resto, il fatto di non trovarmi in cattiva compagnia poiché anche il Marx, nel "Manifesto dei comunisti" scriveva: "In queste crisi scoppia una epidemia sociale che sarebbe apparsa un controsenso in altre epoche - l'epidemia della sovrapproduzione. La società si trova improvvisamente ricacciata in uno stato di momentanea barbarie, una carestia, una guerra generale di sterminio sembrano averle tolti i mezzi di esistenza: l'industria, il commercio sembrano annientati e perché? Perché essa possiede troppa civiltà, troppi mezzi di esistenza, troppa industria, troppo commercio".





    Io so che il Mondolfo vorrebbe puntare con le sue argomentazioni sulla Russia: ma io potrei giustamente obbiettargli che il capitalismo è una formazione internazionale che supera le barriere e trasforma le nazioni in tanti vasi comunicanti, (l'immagine è adusata ma serve pur sempre a rendere il concetto) attraverso i quali l'equilibrio tenta di stabilirsi alla medesima altezza.

    Se anche quindi lo Stato economico oggettivo di un paese in cui si è verificata quella che era la seconda fase del movimento rivoluzionario proletario, e cioè il passaggio del potere politico da una classe minoritaria alla classe totalitaria, non era tale da giustificare apparentemente la rivoluzione, ciononostante si deve ammettere che le ripercussioni profonde che le manifestazioni del mondo capitalistico dovevano avere in esso erano sufficienti a determinare almeno la creazione delle condizioni soggettive per il verificarsi di tale fenomeno. In altre parole una crisi di soprapproduzione come quella che ha determinato il cozzo violento e antagonistico dei vari capitalismi europei nel 1914 poteva avere risonanze anche in un paese come la Russia che, in qualche modo, a quel cozzo aveva partecipato: ed ecco come, senza ricorrere ad arbitrari tentativi di interpretazione della storia, ma valendoci unicamente di quel metodo al quale noi ci richiamiamo, si può comprendere (intendere è comprendere, direbbe Hegel) la rivoluzione russa e giustificarla.

    Se bene che gli sviluppi della rivoluzione russa possono autorizzare illazioni di ogni genere ed interpretazioni contraddittorie. L'ultima disposizione sul capitale privato e quelle precedenti sulla "NEP", corrispondono a rettifiche di tiro così razionali da indurre in dubbio non il Mondolfo soltanto: e, ad ogni modo dimostrano chiaramente le grandi difficoltà che si oppongono alla trasformazione radicale della struttura giuridico-economica della società. Tutto questo aveva preveduto anche Marx, fin dal 1848, quando aveva affermato che, in un primo tempo, le riforme che il proletariato adotterà potranno apparire economicamente insignificanti e raggiungere lo scopo. Ma tuttociò non autorizza ancora né a proclamare e conclamare il fallimento della rivoluzione russa, né a polarizzare intorno ad essa le speranze della incredula borghesia che vorrebbe trarne la dimostrazione proebeliana della vanità dei nostri ideali.

    Il grandioso esperimento russo, che si sviluppa attraverso graduali ripiegamenti ed avanzate strategiche di maggiore o minore intensità, non può essere giudicato, ex cathedra, fin da oggi. Ma noi possiamo riconoscere che la sua possibilità si è maturata, oltreché per ragioni particolari al paese, anche e sopratutto come conseguenza della crisi mondiale odierna.





    Certamente riesce difficile - non impossibile - spiegare come e perché la rivoluzione si sia prodotta in Russia prima che altrove, ma è un fatto che la difficoltà di assestamento della vecchia Europa capitalistica dimostra come perduri in seno ad essa, profondo e non latente, un insieme di condizioni rivoluzionarie che nessuna reazione sembra sufficiente a soffocare ed annullare.

    Se anche, quindi, come dice giustamente il Mondolfo, la prima condizione per l'esito finale di una rivoluzione affermatasi prima che tutte le forme di produzione abbiano raggiunto il loro pieno sviluppo, è quella che le vecchie forze non abbiano la capacità di riprendere il sopravvento e di rinnovare il loro dominio, oggi é prematuro supporre che questo sia il caso della Russia. Bisognerebbe, perché ciò si verificasse, che prima fossero esaurite tutte le condizioni rivoluzionarie odierne nei vecchi Stati capitalistici e che questi avessero recuperato la sanità e la loro vecchia energia. Non siamo ancora, né, mi pare, non lo intravvediamo ancora, malgrado qualche apparente risveglio sporadico dei commerci e delle industrie, a questo punto. Si può dire, anzi, che la reazione violenta instauratasi nei diversi paesi non abbia ancora raggiunto alcun effetto economico di sicura individualizzazione. Né miglioramenti di valute, né aumenti tangibili di produzione, né perfezionamenti visibili di rapporti giuridici fra le diverse classi e fra le diverse manifestazioni dell'attività umana.

    E allora non sembra che questa borghesia reazionaria rassomigli maledettamente all'ormai famigerato naufrago che tenta di abbrancare violentemente la tavola della propria salvezza, senza sapere se le sue forze saranno sufficienti a fargli raggiungere la méta troppo lontana?

    Tutto questo il Mondolfo non lo aveva ammesso nella sua lettera al Treves ed è per questo che io avevo citato la sua frase "io dichiaro di dimettermi da uomo pensante...". Non perché non ne avessi compreso il significato scherzoso: ma perché, qualunque fossero le intenzioni con le quali era stata scritta, qualche valore essa doveva al avere, in appoggio alle proprie argomentazioni, egli aveva ritenuto opportuno scriverla.

    Del resto tutta questa polemica qualche risultato ha raggiunto:

    1°) Egli ammette con me la possibilità che la rivoluzione si attui in periodo di crisi;

    2°) Egli ammette la possibilità che una rivoluzione proletaria insorga prima che le condizioni per la socializzazione totale dei mezzi di produzione siano state create, e se questo risultato ho potuto raggiungere, mi permetta il Mondolfo di dichiararmi soddisfatto di averlo provocato.

ERMANNO BARTELLINI