UN REAZIONARIO IN SPAGNA

    "Fra me e il mondo non può correre altra relazione che quella che Dio pose tra il demonio e la donna: l'inimicizia". Con questo pensiero rispose Donoso Cortés a chi gli chiedeva un'autobiografia. E con questa faccia feroce, con questo cipiglio intrattabile, credo che lo vedesse Domenico Giuliotti quando proponeva modello di Restaurazione integrale agli italiani il più formidabile reazionario cattolico della già cattolica Spagna.

    Ma Juan Francisco Maria de la Salud Donoso Cortés non arrivò all'apologetica per via di misticismo e di esercizi di santità. Lo guidò al suo cattolicismo un noviziato di corte. Letterato, marchese di Valdegamas, impassibile cavaliere di Maria Cristina, egli non fu insensibile ai più sottili motivi della ragion di Stato. Né sarebbero parsi sufficienti nella torrida terra di Spagna i soli argomenti intellettuali. "Il darsi bel tempo è il tratto principale del carattere spagnuolo. La Spagna adora il sole".

    Con perfetta educazione cortigiana crebbe Donoso Cortés.

    "Le visite, la passeggiata, le serate, sono cose a cui non si può mancare impunemente". Se si vuole intendere perché il principe di Metternich, già vecchio, volgesse benigno gli occhi al Saggio sul cattolicismo dello spagnuolo, bisogna pensare a questi precedenti pedagogici, per cui il reazionario non era affatto in guerra col mondo, né in vena di moralismo o di misantropia.

    Cortés cominciò quindi a professarsi monarchico e moderato perché la corte in Spagna viene ad essere una necessità elementare prima ancora che un problema di buon gusto. Persino tra gli straccioni e tra i vagabondi di piazza fu sempre in onore, in Spagna, la regalità: che vi figura come un ideale di pigri: "Dicono che i re se ne vanno; ma ciò non è vero; qui in Spagna abbiamo a nostra disposizione e a disposizione di tutti quindici milioni di re".





    L'ideale della regalità, del dominio tranquillo è rimasto fondamentale in un popolo di colonizzatori, di cercatori d'oro, non alieni dal farla da schiavi nel caso di sventura. Il culto della corrida è un aspetto di questo amore per lo spasso e di questo cattolicismo dello spettacolo e della forma: è naturale che l'enfasi decorativa e teatrale costituiscano l'ideale dello straccione che si dà le arie del signore e che non può seguire né la pedagogia anglosàssone dell'eroismo serio e testardo, né la tradizione francese della finezza. L'ideale spagnolo della signorilità confina con la fannullaggine e perciò include come campo propizio a come simbolo l'idea della corte.

    Fuori di queste storiche esperienze di sfarzo teatrale di colonizzatori, la Spagna non ha saputo produrre altri tipi che l'anarchico scamiciato, il sovversivo sopraffattore a vendicativo. Ora a tali calori africani, è giusto che i buoni moderati pensino di opporre un ideale di ordine di addomesticamento.

    Per Donoso Cortés l'adesione a una monarchia paterna e indulgente verso i sudditi fu la questione pregiudiziale della tranquillità spagnuola, minacciata solo dalle pretese di nascenti classi dirigenti e protestanti: egli é perciò disposto ad allearsi con la democrazia, o, per parlare più esattamente, con la plebe; pur di fiaccare quelle aristocrazie che con lo spirito di iniziativa e l'irrequietezza intellettuale vogliono aprire la via, di coscienza o d'istinto, agli esperimenti di moderna lotta politica. "Il Parlamento spagnuolo non fu che un campo di battaglia in cui il trono, la chiesa, il popolo combatterono per strappare il potere dalle mani dell'aristocrazia; quindi il suo finire coincide con la decadenza del potere aristocratico e quindi con la cessazione della lotta. La monarchia assoluta era democratica e religiosa perciò né il popolo né la chiesa sospettava delle libertà municipali e delle immunità della chiesa".





    Fu la devozione alla dinastia che fece intravvedere a Cortés l'ultima salvezza dell'equilibrio costituito e dello Stato spagnuolo nel cattolicismo integrale. Per il popolo spagnuolo qualunque democrazia che non fosse state la democrazia di Pio IX doveva riuscire impropria. Invece contro Proudhon, Montalambert poteva servire eccellentemente alla più cattolica fra le cattoliche dinastie.

    Per giustificare Cortés in questa sua contrapposizione, si può ricordare che nella penisola Proudhon era l'autore degli anarchici, ossia di quegli incendiari che egli aveva sperimentati a Badajoz e a Caceres al tempo del governo di Mendejabal. E a lui repugnava per natura l'estremismo, come la modernità. Nel socialismo, che nasceva appunto negli ultimi anni della sua vita, sentiva una teologia satanica. Nel 1848, l'anno decisivo per il chiarimento del suo moderatismo in reazionario integrale, capì che i germi della libera critica e dell'iniziativa delle masse stavano per mettere a soqquadro tutto l'ordine costituito. Da siffatte inquietudini anche le Monarchie sarebbero state travolte.

    Bisognava dunque appellarsi all'estrema riserva di discipline e di autorità. L'ordine è la legge suprema, su cui si reggono e per cui si governano tutte le cose create. Ora è "il cattolicismo che ha messo l'ordine e l'armonia in tutte le cose umane". "Per cattolicismo sono state santificate autorità a ubbidienza, e per sempre condannate la tirannia e le rivoluzioni". Voi vedete che anche qui nel reazionario parla il moderato. L'ideale sottinteso è ancora la sua spagnuola dinastia. Perciò condanna Caligola, "mostro orrendo a ignominioso in forma umana con insensati ardori e appetiti bestiali" Marat "tiranno cinico e sanguinario"; Robespierre "suprema incarnazione dell'umana vanità coi suoi istinti inesorabili e feroci".





    La difesa contro le intemperanze, contro la radice di tutti gli errori deve essere metafisica. La chiesa, da un lato professa che la verità esiste senza bisogno di cercarla e, dall'altra, che l'errore nasce senza diritti e che la verità è in possesso del diritto assoluto".

    L'equilibrio del mondo può fondarsi soltanto con questa premessa di moderazione e di obbedienza. Ogni idea di progresso deve essere bandita. "Il dogma filosofico della infinita perfezione è così lungi dal vero, che la società umana per non finire barbara, ha bisogno di tornare indietro per non giungere agli estremi limiti della civiltà. La discussione frutto della civiltà, sotto la spinta della stampa periodica, raggiunge l'estremo limite, uccide i libri e lancia le intelligenze nelle regioni del dubbio che è più terribile dell'ignoranza".

    Lo stile di Cortés, l'ideale pacifico dei conservatori sono incompatibili con queste storie tutte moderne di autonomia e di iniziativa. Per il politico che vuole ognuno al suo posto, contento del suo ufficio e del suo piacere, codeste ossessioni di verità e di indipendenza possono essere oggetto di riso, sono una deformità dell'organismo sociale.

    "Dal razionalismo sono usciti lo spinozismo, il volterianismo, il kantismo, l'hegelianismo, il cousinismo, tutte dottrine di perdizione che nell'ordine politico, religioso, sociale, sono per l'Europa ciò che nell'ordine fisico è pel celeste impero l'oppio degli inglesi".

    Cortés voleva salvare dall'oppio i suoi pacifici spagnuoli; temeva che lo spirito di discussione li avrebbe portati a discutere per prima casa dei loro legittimi sovrani. Cortés non capì mai che la virtù della dinastia era esaurita, tanto che si incominciava a parlare di legittimismo, come succede a tutte le decadenze. La civiltà internazionale si divertiva a seppellire le sue scarne costruzioni di nazionalismo provinciale. Il suo sogno di reazione integrale, il disprezzo in cui egli teneva il popolo, ci sembrano confessioni di tramonto. Né dal tramonto i popoli immaturi alla libertà si possono salvare con delle prediche di oscurantismo.

p. g.