IL LIBERALISMO E LE MASSE II.

    Il rapporto tra liberalismo e democrazia è di quelli che hanno nella storia del secolo XIX la più sicura pierre de touche.

    Ogni movimento liberale si sdoppia in un movimento democratico, che rappresenta isieme il suo sviluppo necessario e la sua antitesi. Infatti:

    1) La rivoluzione liberale (sia quella del 1789, o quella del 1830, o quella del 1848) esordisce per opera del ceto medio, ma si allarga e si propaga in una rivoluzione di masse. I due movimenti procedono insieme fino alla comune vittoria, ma poi si oppongono costantemente l'uno all'altro, perché i loro fini sono contrastanti. I liberali vogliono la sola rivoluzione politica che consolidi e consacri il loro stato sociale; 1e masse democratiche vogliono, per mezzo della rivoluzione politica, giungere alla rivoluzione sociale, cioè allo sconvolgimento di quello stato che gli alleati della vigilia non tollerano che sia messo in questione.





    2) Dal punto di vista della dialettica dei concetti, questo corso si esprime così: posti in moto i principi di eguaglianza e di libertà, in antitesi con ogni sorta di privilegio, è inevitabile – a meno che non si voglia pervertirli a loro volta in una specie di privilegio – la loro propagazione fino negli strati più bassi della società. I liberali hanno fatto ricorso a un ingegnoso diversivo per scongiurare le conseguenze "sovvertitrici" di questa estensione. Essi hanno detto: libertà ed eguaglianza per tutti; ma con la riserva che si tratti di eguaglianza e libertà innanzi alla legge. Essi hanno creato ciò che in Francia, durante la monarchia da luglio, si chiamava: le pays legal. Ma il piccolo borghese e l'operaio hanno sempre trovato abbastanza ironico questo concetto della legalità: che c'importa, essi hanno detto, l'eguaglianza e la libertà innanzi alla legge, se non abbiamo modo di

    migliorare la.nostra sorte? Senza contare che è un'uguaglianza molto discutibile, anche innanzi alla legge, quella del ricco e del povero, dell'operaio isolato e del capitalista. Si potrebbe opportunamente parafrasare, mutatis mutandis, il detto di Pascal: dovrei avere una ragione molto epurata per considerare come un mio eguale Sa Grandeur circondata nel suo superbo serraglio, da 4o.ooo giannizzeri. Ecco perché la democrazia ha logicamente sviluppato il concetto dell'eguaglianza nel suo senso più sostanziale (sociale ed economico), fino a porlo in antitesi col concetto della libertà, da cui pur si originava e che aveva inizialmente suscitato la rivoluzione. Nello sviluppo del suo programma egalitario, la democrazia s'è servita di ciò che il liberalismo le approntava: lo stato.

    3) Anche in rapporto al problema delle attribuzioni statali, non ritroviamo 1a stessa continuità e la stessa antitesi. Il liberalismo ha esordito con tendenze individualistiche e antistatali; ma tutto ciò aveva in gran parte un provvisorio valore polemico, finché si trattava di debellare l'antico regime. Ma una volta divenuto stato, il liberalismo, anche restando fedele ai suoi principi, ha dovuto mutar rotta. La libertà stessa, per non discutere un nome vuoto, doveva essere circondata da una folla di garanzie, di formalità, che implicarono una progressiva estensione delle funzioni statali. La libertà per tutti non poteva esistere che a prezzo di dipendenze e disciplina imposta ai singoli, cioè a prezzo di autorità. Donde la massima, già comune verso il ‘50: "più libertà, più governo" .

    Si aggiunga che questo passaggio dallo stadio polemico allo stadio costruttivo del liberalismo, implica anche un'altra istanza in favore della democrazia: l'uomo infatti non si sente veramente libero se non quando prende parte al governo del suo paese. E che cosa è questa partecipazione se non il principio stesso della democrazia?

    Ma la democrazia, suscitata dal liberalismo, si svolge poi in antitesi con esso, foggiandosi uno Stato–provvidenza, in cui naufragano tutti i classici concetti liberali.

    4) Da un punto di vista economico, lo stesso corso. Il liberalismo rappresenta, economicamente, la fase del passaggio dalla piccola alla grande industria, ma, una volta creata la grande industria, questa si organizza in una democrazia industriale, monopolista, protezionista, imperialista, insomma anti–liberale (sia nel suo aspetto capitalistico, sia nel suo aspetto proletario).

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    La documentazione del principio che ho formulato sui rapporti tra liberalismo e democrazia potrebbe ancora accrescersi; ma mi sembra già sufficiente. Sorge ora la questione: a che ci giova, sul terreno politico, affermare che la democrazia rappresenti insieme lo sviluppo necessario e l'antitesi del liberalismo? E, nel caso particolare che la R.L. invita a risolvere: ha ragione la Stampa col suo liberalismo democratico o il Corriere della Sera col suo liberalismo antidemocratico?

    La verità è che hanno ragione tutti e due, o nessuno dei due; o, anzi, che si fanno ragione l'uno per l'altro. Il terreno pratico dei rapporti tra liberalismo e democrazia è quello dell'unità e insieme della lotta: unità e lotta egualmente feconda, perché la prima impedisce al liberalismo d'irrigidirsi in una posizione storica sorpassata e di convertire la libertà in un privilegio; la seconda impedisce alla democrazia di degenerare nel dispotismo. La mancanza di questo reciproco scambio e controllo tra liberali e democratici ha cagionato tutti gli equivoci della presente situazione politica: ha fatto sì che i liberali prendessero per liberalismo di marca il fascismo, solo perché questo riecheggiava (a parole) il vecchio liberalismo manchesteriano; e che i democratici preparassero la via allo stesso fascismo, con un livellamento generale della vita sociale che doveva spianare il passo alla dittatura.

GUIDO DE RUGGIERO.