Inventario di cultura

Pirandello

    Era naturale che, con tali premesse intellettuali e con tali sentimenti il Tilgher sentisse il fascino dell'arte di Luigi Pirandello, e in ispecie del Pirandello drammaturgo, che, in questi ultimi anni, ha interiorizzato ed esasperato fino all'ossessione il motivo artistico della doppia personalità, che già si era affacciato nel fu Mattia Pascal. Il Tilgher trovava nel Pirandello un inaspettato alleato, in campo non di filosofi professionali, per la critica dell'individualismo assoluto e dell'irrazionalismo. Si può affermare, anzi, che il Pirandello sia andato un buon tratto più aventi - quantunque senza intenzione -, nel mettere quelle dottrine a faccia a faccia con gli ultimi dilemmi della ragione umana.

    Il Tilgher diceva fin dal tempo dei suoi Relativisti, che il Pirandello aveva portato sul teatro il dramma della incomunicabilità degli spiriti, che è conseguenza ineluttabile del relativismo assoluto:

    L'uomo crede di essere uno ed invece è insieme uno, nessuno, centomila; ed affacciandosi nello specchio del concetto che gli altri si sono fatti di lui non vi si riconosce, e rabbrividisce di orrore quando gli si dice: - questo sei tu.

    Senonché, a riflettere sull'impresa tentata dal Pirandello, pare quasi che egli si sia proposto di far toccare con mano, per le vie dell'arte, l'esattezza della critica che fa subito dopo il Tilgher, in quel medesimo scritto, in sede filosofica:

    L'insuperabile ostacolo dinanzi al quale questa filosofia s'infrange è quello dell'esistenza contemporanea di più io finiti, di più atti di pensiero... Essa recide dalle radici ogni legame tra gli spiriti finiti, nessuno dei quali ha modo di uscire da sé, dall'atto di pensiero in cui vive e si esaurisce per intero.





    Il Pirandello infatti si è messo a fare la cosa più paradossale di questo mondo: tentare non solo di dissociare gli uomini tra loro, scavando un abisso d'incomprensione tra l'uno e l'altro (La formula finale è nel titolo dell'ultima commedia: Ciascuno a suo modo. Gli uomini non sono i simili, ma i dissimili per eccellenza della creazione, ma portando il processo di disgregazione nell'interno di ciascun individuo, di ciascuno di questi aeroliti e frantumandoli in tanti altri corpuscoli, presentare la coscienza umana come un aggregato di stati d'animo privi di un centro di gravità, ignoti l'uno all'altro, spesso cozzanti tra loro: e tutto questo per mezzo dell'arte teatrale, cioè dell'arte per sua essenza imprescindibile la più sociale, e il cui primo fondamento e la cui prima legge, a cui tutti si assoggettano nell'istante stesso che s'alza il sipario, è la comunione degli spiriti, per la quale si stabilisce come un circuito elettrico tra autore, attori e pubblico (quello che gli antichi chiamavano lo "stato dionisiaco"), e che solo permette di non accorgersi più delle mille convenzioni dell'arte drammatica, e nei momenti di più intensa commozione, fa cadere davanti agli occhi l'ultima barriera luminosa della ribalta, e mette lo spettatore in quello stato insieme di dolce e trepida incertezza tra l'illusione e la realtà.

    Ridotto ad un soffio questo flusso simpatico, ne è risultato un processo di mummificazione dell'arte drammatica:

    Si par di carne, e siamo

    costole e stinchi ritti,

    possono dire gli eroi pirandelliani. Inaridite le fonti, alle quali attinge vita l'umana convivenza, essi si aggirano come macabri fantasmi, nella testa dei quali sia stata posta, da un mago misantropo, una strana macchinetta per svolgere i paradossi secondo le regole della logica formale.





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    Un altro punto dei Relativisti del Tilgher ci conduce ad altre due conseguenze estreme dell'attivismo contemporaneo:

    Come si può porre una differenza di valore fra le varie produzioni e determinazioni dello spirito, quando in ognuna di esse questo è tutto ed intero? E senza differenza di valore com'è possibile lo sviluppo, il progresso della storia? L'atto puro dello spirito si spezza così in infiniti centri di azione, assolutamente equivalenti. L'attivismo assoluto conduce al relativismo, all'individualismo, all'anarchismo assoluti.

Rensi

    E due fenomeni di anarchismo spirituale sono lo scetticismo assoluto del Rensi e il misticismo attivistico del Manacorda. Si aggiunga - per intendere meglio l'ambiente culturale contemporaneo - che tutti e due questi scrittori sono fieri avversari della particolare dottrina filosofica del Gentile, e tuttavia - fenomeno tutt'altro che raro nella storia della cultura - le loro dottrine sono sulla medesima corrente di pensiero e rappresentano l'ala estrema e l'estremo confine dell'individualismo, dell'attualismo e del relativismo. Se si afferrma che l'esistenza è un continuo fluire, si può bene aspettarsi da questa posizione eraclitea il trapasso dialettico allo scetticismo assoluto del Rensi: se il mondo è un continuo divenire, il mondo non è, ed è questa l'unica certezza che si può trarre dalla speculazione. Se non che anche questo genere di certezza puramente dialettica, come l'arte sillogistica del Pirandello, ha la sua condanna nella sua incomunicabilità e sterilità. Essa conclude col suicidio; e infatti l'autore del Rensi è il Leopardi del Bruto minore, del Canto notturno e così via.





Manacorda

    Il Manacorda invece è essenzialmente ottimista; ma perché, più lirico che dialettico, appoggia il pensiero e lo ferma sul lato positivo della dottrina dell'azione, divinizzandolo. Dio è precisamente l'azione assoluta; l'uomo tanto più si avvicina alla perfezione; alla divinità quanto più spinge innanzi le sue energie individuali, depurandosi del fango di Adamo. La più perfetta attività umana è quella compiuta in perfetta libertà, cioè in condizione di anarchia spirituale.

    Tale il Manacorda di Verso una nuova mistica, intorno al quale si è raccolto un gruppo di neo-mistici (lo Zanfrognini, lo Hermet, il Garsia) che fa capo al Giornale di poesia. Il pensiero più organico in mezzo a loro resta per altro quello del Manacorda, quantunque non direi che esso si sia concluso nella Nuova mistica - e per conto mio sarei lieto che ciò non sia. Nel recente libro Anime e paesi - il giornale di viaggio di un intellettuale nel senso migliore della parola - per piccoli segni ci accorgiamo già di essere davanti al risultato di una lenta evoluzione spirituale di chi, avendo teorizzato (Verso una nuova mistica) l'anarchismo puro ed integrale come perfezione di vita morale (e di una vita sociale sui generis), discende gradatamente fino alle più profonde radici della vita sociale, che raggiungono la nostra psiche individuale e bisogni e tendenze primigenie. Avviene così che a faccia a faccia con le solitudini opache e spettrali delle dune di Fiandra come tra gli squallori di sogno dei fiordi norvegesi l'artista vibra fino a toni quasi spasmodici (sono pagine squisite); ma l'uomo, lungi dal sentirsi appagato in un'atmosfera ideale di isolamento, di negazione sociale, prova un senso di soffocazione. Al calare della notte, sulla spiaggia di Blankenberge, i suoi occhi si smarriscono dietro una visione dei Campi flegrei, così miti, così ricchi di voci umane e di voci del passato ("Chi mi ridà l'Arco Felice di Pozzuoli nella notte odorosa di maggio?"); ed alla fine della plumbea peregrinazione pei fiordi norvegesi è un grido quasi infantile di gioia all'arrivo a Trondhejm, così molle e carezzevole, coi suoi giardini ben pettinati, coi suoi ortaggi bene invitanti, coi suoi sorrisi chiari di vita agiata.

    Anche l'uomo del lontano mezzogiorno sente di non essere qui straniero, ma consanguineo, e che la società umana non è quella jungla di belve feroci, che una masnada di folli e malvagi vorrebbe che fosse e riesce purtroppo ad ottenere che sia, ma veramente una grande e buona e viva famiglia.





Buonaiuti

    Gli scrittori dei quali ho discorso fin qui sono, in forme svariatissime, gli estremisti dell'attivismo e dell'individualismo, i quali, pel fatto stesso di aver spinto quelle teorie alla esasperazione, ne hanno svelato, con maggiore o minore coscienza di ciò che facevano, il male organico. Ad un'ala opposta sono gli scrittori sui quali mi fermerò ora, e che raggrupperò sotto la denominazione approssimativa di reazionari - non nel senso politico che si dà comunemente alla parola, ma in quello di rappresentanti di un movimento, che muove da premesse dottrinali antitetiche all'immanentismo, all'individualismo ed al relativismo.

    Veramente qualche contatto col relativismo - attraverso lo studio appassionato dell'Azione del Blondel, e da questa al pragmatismo - ebbe il Buonaiuti nella prima fase della sua vita di pensiero, e questi influssi giovanili si riaffacciano di tanto in tanto anche ora in maniera visibile. Ma se vogliamo considerare - com'è necessario - nel suo complesso e nel periodo di maturità un'attività letteraria incessante e travagliata, come quella dei Buonaiuti, due elementi riconosceremo oggi predominanti nel suo pensiero: l'anti-razionalismo e l'anti-individualismo.

    Nel razionalismo egli vede una delle deficienze più profonde della cultura moderna, e ne proclama il fallimento senza esitazioni. In nome del neo-tomismo? Si può dire che il pensiero del Buonaiuti non solo non abbia risentito una influenza particolare dalla scuola di Lovanio; ma si sia anzi discostato sempre più irresistibilmente da essa, considerandola una manifestazione diversa, ma correlativa, di spirito razionalistico. E' questa anzi la radice profonda ed inestirpabile dell'annoso ed oggi acutissimo dissenso con gli alti poteri ecclesiastici, dissenso che comunque possa appianarsi ancora una volta esteriormente - quantunque anche questo mi paia ora difficile - resterà immutato nello spirito.





    Il pensiero del Buonaiuti si rifugia invece più indietro dell'esperienza religiosa tomistica, più indietro anche di Sant'Agostino, nelle comunità cristiane ancore pervase dello spirito apostolico. Il Buonaiuti come il Tilgher della Crisi mondiale ha avuto, dopo la guerra, la viva impressione che l'Europa contemporanea discendeva versa l'abisso in forme non molti dissimili dall'Impero romano. Il Prezzolini, parlando di lui nella Cultura italiana, riferisce con esattezza il suo pensiero, specialmente tra il 1920 e il '21:

    Egli dice apertamente che in una possibile catastrofe del mondo moderno, fondato sopra una civiltà usuraia e grossolana, il Cristianesimo riprenderà il suo pieno valore e sarà l'unico che potrà salvare gli uomini dalla disperazione; e vorrebbe che fin da ora nascesse il senso di questa necessità e di questa unica salvezza, almeno in piccoli gruppi.

    I problemi di storia appaiono più che mai problemi di vita cristiana, nella società moderna, e questa rivive e si rinnova continuamente alle fonti della dottrina cristiana. Un primo aspetto fondamentale del pensiero del Buonaiuti è appunto in questo senso chiaro e preciso della modernità, dei risultati della civiltà degli ultimi secoli - dai quali non si può prescindere -, eppure percorso da un soffio messianico, che getta quasi sul viso alla progredita civiltà tecnica i massimi problemi della vita dello spirito invano presi di assalto dal razionalismo filosofico.

    Lo studio di S. Paolo è stato il raggiungimento del "possesso mistico", che è stato per lui la soluzione del suo problema individuale di fede. Lo stadio, in cui si può dire che trovi riposo il pensiero del Buonaiuti è negli studi paolini. Egli trova in San Paolo insieme la sua guida spirituale, la più possente giustificazione del suo ideale di "misticismo attivo"; l'apostolo, che dette al Messaggio quell'impulso universalistico, di cui il Buonaiuti sente tutte le esigenze storiche.

MARIO VINCIGUERRA