LA VITA INTERNAZIONALE

L'OMBRA DELLA MONARCHIA
NELLA GERMANIA D'OGGI

    La sconfitta provocò in Germania una crisi politica gravissima, conseguenza diretta della crisi psicologica che formò negli individui un'altra mentalità corrispondente alla certezza che esiste un limite alla "volontà di potenza". Da molto tempo i tedeschi marciando di vittoria in vittoria, celebrando trionfi in tutti i campi dell'attività materiale e spirituale si credevano capaci di sfuggire alla forza dei fatti e non supponevano che i loro sogni non potessero avverarsi. Onde essi persero nella debâcle la fede nella loro invincibilità e tutto il popolo sentì crollare la potenza dello Stato, ritenuto fino allora infallibile.

    Un'atmosfera rivoluzionaria dunque nel 1918 gravava sulla Germania vinta. Ma nel paese dell'organizzazione, la rivoluzione si propose due scopi essenziali: salvare l'unità dell'impero e condurre al potere, o piuttosto ai benefici del governo, nuove classi sociali. Il disordine inevitabile all'interno e il caos della ricostruzione furono normalizzati presto e furono dominati da questi due grandi pensieri, che non si oscurarono mai. Uno provocò il rovesciamento simultaneo di tutte le dinastie, dando luogo alla centralizzazione repubblicana e socialista, l'altro armò Noske e spinse i social-democratici a far fucilare i loro antichi compagni, colpevoli solo di aver elevato al Governo il humpenproletariat o proletariato plebeo.

    Però in breve la disciplina che in verità fu subito restaurata, spinse gli elementi rivoluzionari su un piano più calmo, dove le demolizioni brutali non erano passibili e dove i mutamenti si operavano con metodo sotto la direzione della burocrazia sindacale.

    In sostanza la rivoluzione tedesca fu una rivoluzione di burocrati piuttosto che di teorici, minuziosa e completa in un certo senso, ma priva di slancio e d'entusiasmo, si da interessare le masse che sono sempre avide d'emozioni. Le trasformazioni tutte materiali non furono visibili che nelle cose.

    La statolatria che aveva lasciato una grande parte del suo prestigio nella sconfitta, apparve di nuovo quel che in realtà è in Germania: un fattore d'ordine.





    Se la rivoluzione non aiutava i sentimenti democratici e repubblicani, essa per contro ridestava qualche cosa che, secondo Meinecke, é "la legge nella storia tedesca": il particolarismo. Le dinastie si rovesciarono più al grido di "Los von Berlin!" che al grido di "Viva la libertà". La tirannia era individuata solo nella Prussia e il particolarismo democratico di Kurt Eisner e dei repubblicani della Freie Zeitung, emigrati durante la guerra in Svizzera, esigeva addirittura che la Prussia venisse relegata nelle sue terre primitive e restituisse quelle che aveva conquistato agli altri Stati tedeschi.

    Così aumentavano le autonomie e i destini della Germania unitaria furono nelle mani dello straniero, né alcuno, nella totale confusione, riusciva a scorgere un principio di salvataggio.

    Il caos politico di questa epoca è la conseguenza o meglio il risultato d'uno squilibrio consimile, negli spiriti che rivela, anche cogli individui, la stessa assenza d'idee direttrici, come nello Stato. "La Germania e Berlino in particolare... ha scritto Scheidemann nelle sue Memorie - furono durante le prime settimane che seguirono la catastrofe, una vera casa di matti".

    Ma in sostanza fu un periodo raro e breve di trasformazione nella vita d'un popolo che si rifletteva anche nella cultura, dove l'attivismo simboleggiava a meraviglia il gusto dello smisurato e l'amore del chimerico. Tutta una letteratura rinnegava con violenza il militarismo e il nazionalismo, ma negava in pari tempo le contingenze e, ignorando il mondo reale, si vietava di agire su esso.

    Tali erano i furori tedeschi: senza scopo e senza forza, 'annullavano l'un l'altro.

    Nel 1919 la Germania fu salvata dalla democrazia. Questo secondo periodo è caratterizzate dalla vittoria della Costituzione di Weimar sulle potenze particolari, dal ritorno offensivo di queste potenze e dallo sforzo a perseverare dello Stato novello.

    La Costituzione di Weimar però fu creata più per un'opera nazionale che per un'opera democratica, sostituendo la dominazione effettiva della Prussia, la tirannia delle sue istituzioni e la monarchia federale con la centralizzazione repubblicana.





    Berlino continua a dettar ordini, ma in nome d'un regime astratto, d'un'entità: il Reich, che è al posto del governo concreto e visibile degli Robenzollern. Ai legami dinastici essa ha tentato di sostituire un dogma.

    Così, per i patrioti, per gli stessi bismarkiani, la repubblica poteva giustificarsi con questa opera di consolidamento nazionale.

    Comunque non è meno vero che la democrazia regnasse veramente, benché molto autoritaria e che se i metodi e lo scopo essenziale, restarono presso a poco gli stessi, il persomele amministrativo e di governo fu del tutto diverso. Il Reichstag fu eletto dai cittadini d'ambo i sessi e non fu più limitato dal Bundesrat; la responsabilità del ministero divenne completa, la Chiesa fu separata dallo Stato, i Consigli di guerra furono soppressi.

    Ma sopratutto sul terreno economico la social-democrazia operó le sue conquiste. Essa istituì i "consigli operai" e organizzò un sistema di consigli economici, destinati a controllare la vita industriale del paese ed a preparare la socializzazione dei rami più importanti della produzione nazionale.

    Se non che, trascorso il periodo rivoluzionario e mantenutasi, per virtù dell'azione democratica, l'unità della Germania, la democrazia non riuscì a difendersi e a consolidarsi. Il regime parlamentare funzionò piuttosto male e bisogna riconoscere ai governi di coalizione che sovente sono i più deboli. Incapace di creare e di sostenere un potere forte, la democrazia si rivelò presto inadatta a tener testa al ritorno offensivo dei particolarismi che, associati ad altre difficoltà interne ed esterne, misero una seconda volta l'Impero sul punto di sfasciarsi.

    A partire dal 1920 la forza del regime Weimariano sembra diminuita, perché esso non è riuscito a soddisfare né i democratici unitari, né la classe operaia. Obbligati dal sistema parlamentare a formare governi di compromesso, la democrazia e il socialismo disilludevano le masse popolari, senza rassicurare la borghesia conservatrice.





    Intanto si produceva una nuova distribuzione della ricchezza. I piccoli borghesi che avevano conquistato il potere politico furono spogliati sul terreno economico a profitto degli Schieben (specie di nuovi ricchi) e dei grandi industriali. E questi magnati regnarono effettivamente col ministero Cuno, il quale non poté però evitare la caduta, cosa che dimostrò come l'industria, non poteva da sola pretendere di organizzare l'impero senza il consenso della forza militarista. Lo scacco di questa esperienza rigettava nel caos il paese che aveva conosciuto metodi bismarkiani.

    Ma la causa che pose in pericolo la durata della democrazia weimariana, fu nelle difficoltà che essa incontrò nell'unificare l'impero senza un vero capo. Malgrado tutte le declamazioni, malgrado la frequente evocazione degli avvenimenti del 1848, tentativo vano per creare una tradizione democratica, malgrado l' ultra-nazionalismo dimostrato dai democratici, che rivendicavano pubblicamente il fangoso Deutschland über alles, l'idea un po' chimerica di realizzare il pangermanismo col suffragio universale, urtò in ostacoli insormontabili e innanzi tutto nelle rivalità dei partiti.

    Giacché il movimento autonomista del 1923 non fu come quello del 1918 una rivendicazione locale, ma l'espressione delle lotte politiche che dividevano il paese. La social-democrazia fu attaccata da due parti, secondo una vecchia tradizione, le dottrine s'incantarono in alcuni Stati particolari e la lotta dei partiti prese a poco a poco l'aspetto d'una lotta tra Stati. Fatto questo che rese la crisi ancora una volta pericolosa per l'unità del Reich.

    Lo Stato si abbandonava senza reagire, il deficit cresceva, né si aveva il coraggio di adottare la riforma di Erzberger, i cancellieri presiedevano alla completa liquidazione finanziaria. Si credeva quasi ad un'inesorabile fatalità che rendeva inutile qualunque sforzo per rialzare la nazione. Non essendo più alcuno sicuro del domani ogni attività sembrava inutile. Gli intellettuali, per obliare il presente, s'isolavano nella letteratura espressionista o si astraevano nella contemplazione d'una vita interiore senza contatto con la realtà.

    Pertanto esistevano ancora delle energie, ma individuali ed anarchiche e mentre una parte della gioventù, si abbandonava al disgusto delle "idee putrefatte" di cui parla Fritz von Unruh, l'altra "si compiaceva di agitare le armi".





    Il terzo periodo è caratterizzato dall'impotenza del socialismo e dal crollo del separatismo. Gli avvenimenti designavano nettamente la necessità della restaurazione dell'autorità tradizionale e l'applicazione d'un metodo unitario che aveva già fatto le sue prove.

    Il fatto che mise in piena luce l'impotenza politica del socialismo e la sua incapacità a "proteggere" l'organizzazione tedesca, fu la repressione che il partito dovette consentire contro il particolarismo sassone. Fu quello un momento decisivo per la storia della Germania e molti si domandarono se fosse stata la repubblica di Weimar a ricondurre alla ragione uno Stato separatista o la Prussia militarista che riconquistava il Reich secondo il metodo di Bismark. Ben presto però l'equivoco fu dissipato. Il militarismo prussiano prese la direzione delle operazioni e oltrepassò persino le istruzioni del governo civile. E la cosa si ripeté ancora in occasione del colpo di Stato bavarese Hitler-Ludendorff.

    S'era troppo creduto alla collaborazione della potenza prussiana e del socialismo, si trovavano fra le due concezioni troppi punti di contatto che non esistevano, laddove anzi in realtà esse si oppongono radicalmente. Il principe di Bülow aveva ragione quando scriveva che "il socialismo è l'antitesi dello Stato prussiano". La dimostrazione dell'impotenza della vecchia organizzazione di Bebel e di Liebknecht, così vigorosa all'opposizione, ebbe conseguenze profonde. Il socialismo aveva ingrossato le sue file per interesse e per disciplina, perché il socialismo in un momento determinato s'era confuso con lo Stato: "Vi si aderiva nel 1918 - ha scritto Gräfe - per nazionalismo".

    Ma Guglielmo I° aveva ben detto: "Chi vuol governare la Germania dovrà conquistarla".

    La social-democrazia non aveva raggiunto questo scopo.

    Così la crisi del 1923 si risolse non per opera della democrazia, ma della dittatura e a quattro anni di distanza si restaurava l'unità germanica, minacciata da procedimenti che erano del tutto differenti.





    Quel che in sostanza crollava, non era la Germania unitaria, ma semplicemente lo Stato weimariano; lo stesso Scheidemann riconobbe questa verità. Ma quale sarà il logico coronamento di questa restaurazione? Bismark ha scritto che "in Germania non si fonda né si conserva una forte vita politica altro che sotto la forma monarchica".

    E un tale evento, che potrà tardare più o meno, secondo le necessità sopratutto della politica estera, ci sembra fatale. Già, per molti indizi, si lavora a questo scopo. L'espressionismo si spegne, anzi sembra addirittura arcaico. La letteratura recentissima ricomincia ad esaltare la patria e i "grandi individui" che dovranno far risorgere la Germania, mentre l'amministrazione dello Stato viene gradatamente epurata dagli ultimi repubblicani testimoni d'una esperienza senza successo. Si accetta di "rivedere la Costituzione secondo principi più tradizionali" e l'ordine "questo divino beneficio" non viene più turbato "da sedizioni piazzaiuole".

    E se Thomas Mann ha potuto esclamare: "Il nostro popolo trascina la democrazia come una palla pesante", Maurenbrecher ha affermato nella "Deutsche Zeitung: "Sí la nazione s'avvede oramai delle condizioni permanenti e necessarie della vita unitaria in Germania. Un giorno dunque, essa vorrà di nuovo le condizioni, tutte le condizioni della sua grandezza".

    Quell'estremista potrebbe aver ragione: non è del tutto improbabile che la monarchia prussiana riottenga presto o tardi un vero plebiscito.

F. PAOLO GIORDANI

    Noi crediamo che la socialdemocrazia tedesca riuscirà invece a trovare nella sua iniziazione protestante, nonostante i vizi che la travagliano la forzo di dare una vita moderna alla Germania. Il quadro della crisi di questi sei anni tracciato dal nostro Giordani resta tuttavia intatto in tutta la sua efficacia di sintesi.





CROAZIA E FEDERAZIONE BALCANICA

    Il movimento repubblicano contadino di Croazia comprende tutto il popolo croato, ossia quasi quattro milioni di contadini, cento mila operai, altrettanti piccoli borghesi e dieci mila intellettuali. Inoltre prendono parte, direttamente o indirettamente a questo movimento cinquecentomila Croati del Canadà e degli Stati Uniti, centocinquantamila Croati dell'America del Sud specialmente in Cile, Argentina, Brasile) infine cinquanta mila in Nuova Zelanda, Australia e Africa del Sud. La maggior parte del popolo sloveno e le minoranze nazionali dell'attuale Jugoslavia appartengono pure a questo movimento.

    Ma più che dal numero degli aderenti il significato di questo movimento può risultare dalla profondità con cui si afferma nelle provincie di confine, di fronte alla dominazione di popoli vicini in Mediomuria (al confine ungherese) nell'isola di Veglia e in Dalmazia (al confine italiano) nei territori dell'antica repubblica di Ragusa e nel contado di Sriem che si estende nella Croazia più orientale sino a Belgrado.

    La provincia di Mediomuria è una grande pianura tra i fiumi Drava e Mur; storicamente, geograficamente ed etnograficamente croata, ma dopo il 1868 dominata dall'aristocrazia ungherese. Nel decennio precedente la guerra mondiale, il partito cattolico ungherese (partito popolare) aveva saputo prendere all'amo della fede cattolica tutte le popolazioni non ungheresi e costringerle così a servizio della nazione ungherese. Dopo la distruzione dell'antica Ungheria, tornata dalla Croazia la Mediomuria, i preti cattolici ivi stabiliti cominciarono immediatamente con frenesia a lavorare per il partito cattolico sloveno del dr. Koroschez, mentre i professori e gli altri intellettuali lavoravano per i fascisti di Belgrado sotto la condotta di Pribicevic. Se qualche contadino croato parlava di repubblica era battuto a morte, imprigionato, condannato ad ammende e perseguitato come una bestia selvaggia.





    I paesi croati della Mediomuria sono economicamente progrediti, con pochissimi analfabeti, ma il sistema aristocratico e la corruzione ungherese avevano tolto ai contadini ogni fede nella giustizia e fu davvero un miracolo che essi abbiano accettato concordemente il programma del Partito repubblicano contadino croato e specialmente il principio fondamentale che in un popolo e in uno Stato di contadini i contadini debbono essere il principale fattore politico e debbono perciò organizzarsi di un loro proprio partito, indipendente da ogni partito borghese. I primi a diffondere questo programma nel paese furono i contadini di Mediomuria che lavoravano come semplici operai in Croazia, specialmente a Zagabria, nelle ferrovie. A dieci chilometri dalla frontiera poi si trova il distretto contadino di Ludbreg, esclusivamente croato, che sin dalla fondazione del partito è considerato come il Port-Arthur dei contadini croati. Così alla costituente jugoslava dei 28 novembre 1920 la Mediomuria mandò due deputati contadini repubblicani e diede al Partito l'80 per cento dei voti. Nelle ultime elezioni del 18 marzo 1923 il partiti contadino ebbe il 90 % dei voti, e nelle elezioni comunali il 100 %.

    Il movimento si è esso al di là del Mur, in Pretromuria (appartenente alla Slovenia) e anche là i due deputati eletti furono contadini repubblicani croati di Mediomuria: sono forti di 100.000 contadini mentre i contadini ungheresi del posto si riducono a 10.000.

    L'isola di Veglia (Krk) ha 20.000 abitanti tutti croati. I serbi vi spadroneggiano applicando carcere, esilio e maltrattamenti per chiunque gridi "Viva la repubblica"; tuttavia i partiti borghesi croati e serbi non contano più di cento aderenti.





    Cinquecentomila croati abitano la Dalmazia ossia l' 83% di tutta la popolazione, ma i despoti di Belgrado considerarono la terra come unicamente serba e vi instaurarono il dominio dei preti cattolici, degli impiegati e della borghesia. Nelle elezioni del 1920 il terrore in Dalmazia fu grave come in Macedonia e in Montenegro: il partito contadino croato non poté presentare candidati perché tutti i dirigenti e 20.000 iscritti erano in carcere. Invece nelle elezioni del 1923 il partito ebbe 70.000 voti su 100.000 e 9 mandati su 15. Nelle prossime elezioni avrà 90.000 voti e 13 o 14 mandati. Tutti gli uomini politici serbi assennati ne sono convinti; il presidente Davidovic riconosceva nel suo viaggio attraverso la Dalmazia, nel giugno scorso, che la Dalmazia è terra croata; e Marincovic, ministro degli esteri, proclamava che a suo parere in nessuna terra la coscienza politica e nazionale del popolo croato è così forte come in Dalmazia.

    Bisogna aggiungere che la Dalmazia non è soltanto croata, ma essenzialmente croata e contadina. Questo movimento dovette essere ben potente profondo e forte se la Dalmazia ha potuto vincere il clericalismo romeno, l'imperialismo italiano e il centralismo serbo.

    Il comitato di Sriem, nei confini più orientali della Croazia, tra Sava e Danubio, assomiglia assai alla Dobrugia bulgara che i Romeni strapparono alla Bulgaria come i signori di Belgrado strapparono Sriem alla Croazia. Di 480.000 abitanti appena 180.000 sono a Sriem i serbi, rifugiativisi nel 1699 sotto la condotta del patriarca Ciarnoievic. Vi sono poi 120.000 croati indigeni, 70.000 tedeschi venuti dalla Ungheria meridionale, che parlano croato, 30.000; ungheresi, 20.000 slovacchi e 12.000 ucraini. I serbi sono agricoltori radicali e fascisti. I croati e le altre minoranze nazionali sono organizzati nel partito repubblicano contadino croato. Nelle elezioni del 1923 i radicali serbi di Pasic hanno avuto 25.000 voti e 4 mandati, il partito repubblicano contadino croato 35.000 voti e 5 mandati; i fascisti serbi 3.000 voti e nessun mandato. Il fascismo è interamente sconfitto, il radicalismo centrista serbo è in decadenza.

    La Federazione Balcanica comprende tre ripartizioni: adriatica, continentale, danubiana.

    La Federazione adriatica corrisponde a Slovenia, Croazia, Dalmazia, Montenegro, Albania; è politicamente la più matura e alla prima occasione diventerà una realtà anche formale e giuridica.





    La continentale comprende Bosnia, Serbia, Macedonia e Bulgaria meridionale ma è rovinata dalla politica imperialista serba che ha respinto per sempre Bosnia e Macedonia. Neppure si può pur parlare di una grande Serbia centrale che potrebbe essere il principale fattore della Federazione balcanica. Se la Serbia fosse restata contadina, o fosse diventata repubblicana, questo sarebbe stato possibile e la Federazione balcanica avrebbe così acquistati la sua colonna vertebrale serba. I serbi di Pasich hanno distrutto essi stessi questa colonna vertebrale. La Bosnia è definitivamente volta verso la Croazia e la Macedonia si sviluppa indipendentemente nella sua unità di Stato. La Bulgaria meridionale non ha più una forza di attrazione. Il suo destino è connesso ormai con quello della Bulgaria settentrionale.

    La Bulgaria rappresenta con la Dalmazia il fattore danubiano principale della vita balcanica come la Croazia è il principale attore adriatico. L'intesa della Bulgaria danubiana e della Croazia adriatica risolve il problema della Federazione balcanica: questa intesa naturalmente sarà amichevole verso i serbi, non verso gli sciabolatori e i conquistatori, ma verso i contadini e i repubblicani serbi.

    La Federazione balcanica può essere soltanto contadina e repubblicana. Non può serbar traccia del feudalesimo romano e ungherese e non può essere una copia del bolscevismo russo. Inizialmente e forse per molto tempo non potrà comprendere né la Rumania né la Grecia.

    La Bulgaria ha già avuto, per quattro anni. un governo di contadini. L' intesa dei contadini bulgari organizzati con gli operai e gli intellettuali socialmente progrediti crea in Bulgaria quello che il movimento repubblicano contadino ha creato in Croazia.

    Lo sviluppo è parimenti forte in Macedonia, e s'inizia in Serbia. E' probabile che lo spirito repubblicano contadino si impadronisca dei 15 milioni di Slavi del Sud e la Federazione balcanica nella sua forma jugoslava sarà cosa fatta.

    I contadini organizzati della penisola in intima unione con gli operai organizzati e con gli intellettuali risolveranno uno dei difficili problemi europei, ispirandosi al principio che ha accettato anche il governo di Davidovic: i Balcani ai popoli balcanici.

S. RADIC