SEM BENELLI

    Domani, se la storia d'Italia si svolgerà secondo le premesse che ora si pongono, l'on. Benelli sarà oggetto di violenti attacchi o di oscure minacce e forse meglio di altri più maturi avversari vittima del sacro sdegno onde sono morse le schiene fasciste al cospetto degli imprevisti accusatori.

    Possiamo dunque rispettare in lui questa sua conscia o inconscia marcia al sacrificio. Rispettarla, perché qualunque sia lo stimolo e la mira che li muove, i volontari delle responsabilità, correndo tutti i rischi, possono pure ottenere d'imparare, di migliorare, di purificarsi. Quando si fosse testimoni di un Sem Benelli restio alle seduzioni, capace di tener fede a qualche cosa concreta oltre la sua retorica e di umilmente accettare le nozioni della vita politica che sembrano sfuggirgli fra le vacue frasi de suoi appelli, si dovrebbe riconoscergli un singolare merito di gioventù e, per un momento, smettere le riserve.

    Ma molte ragioni fanno dubbiose tutte le persone che rammentano. La serietà del poeta adriatico è anche un arnese retorico. Il cipiglio, la pelle scura, gli occhi intenti, una cert'aria ispirata nell'atteggiamento che si fa sonorità opaca e quasi torva quando declama i suoi versi gli stendono intorno un'ombra spessa, lugubre che potrebb'essere il senso d'una grande amarezza e l'espressione d'una meditata sfiducia. Gli sta di contro, segnacolo irraggiungibile, l'olimpica chiarezza metallica delle sillabe proferite senza tono dal suo amato-odiato maestro. A sentirli parlare, fra D'Annunzio e Benelli si fa subito il paragone; e dal suono della voce si sente qual'è il poeta vero.





    Sebbene le aspirazioni di Sem Benelli hanno sempre avuto un che di vago, e è sua questa frase: "sento che se avessi studiato musica sarei un gran musicista"; non sarebbe cavalleresco volerlo giudicare fuori del suo campo di poeta. Il vate che si fa guidatore d'uomini, Tirtèo che dalla cetra non leva solo il sacro vigore della pugna, ma la. più dimessa, la più difficile scienza della cosa pubblica, lo attendiamo. Pur troppo abbiamo davanti gli occhi e negli orecchi gli antecedenti testi delle sue virtù.

    Non si tratta ora di tentare una critica; per poco che si voglia ricordare, siamo pieni di quei fantasmi e di quei suoni; tante cose però sono passate dagli anni della sua fama più fresca che ce ne saremmo scordati volentieri se gli episodi della cronaca nera di questi tempi non ci facessero tornare a mente le fazioni, le violenze, le beffe e le vigliaccherie di cui, nel suor gusto storico e teatrale, si compiacque.

    È dunque degno della tessera fascista ad honorem colui che, sui fogli di carta, ha voluto far rivivere e dal palcoscenico ha reso familiare al pubblico la violenza "estetica" che si contorna di passione declamatoria e si assolve e si risolve nei gesti. I suoi eroi, quasi sempre, sarebbero vuote e ridondanti marionette; se non fosse vero che su simili o poco più brutali argomenti tanti italiani puntano e scommettono la vita, se la bolsa retorica non si facesse così spesso per gli animi servili i sangui ardenti e i cervelli deboli, realtà:

    Ma non è degno di chiamare a raccolta i puri e di proclamarsi restauratore del popolo scisso e sperduto il deputato eletto dalla proposta di due assassini e dal supremo assenso di chi quel popolo disprezza.

U. M. DI L.