COME COMBATTERE IL FASCISMO

    Per combattere il fascismo bisogna sapere che cosa esso sia, rintracciarne la genesi di tra la dovizia delle ciarle. Le definizioni variano a seconda del metodo di investigazione e di interpretazione che al fenomeno in esame si applica. Una spiegazione largamente accettata è: lotta di classe dei ceti medi. Un'altra, meno originale anche se muove su per i declivi della storia antiqua, è quella che si riassume in una parola: restaurazione. Ed ecco che contro quanti di noi hanno cercato di marxisticamente approfondire le ragioni prime, che fecero e fanno essere il fascismo, s'accampa il direttore di questa rivista, affermando che il fascismo non è un momento della dittatura economica dei ceti capitalistici e plutocratici, ma un semplice ritorno a forme e a sistemi medioevali: riaffioramento del Medioevo. Ma questa tesi, alla quale ha pure aderito Pietro Nenni in alcune sue note dell'Avanti!, è viziata in tutte le sue enunciazioni, non fosse altro per la pretesa, che in sé contiene di tessere l'estremo gelido rito su la tomba di quelli che si ritengono gli appiccicaticci della ortodossia marxista.

    È vero. Il fascismo ripete alcuni aspetti e rispecchia alcune caratteristiche di quelle bande armate di cui ragiona, tra gli altri, lo storico Muratori, ma solo, si badi, per ciò che è estetica della sua organizzazione militare e spirito di molti de' suoi associati. Identici o press'a poco possono essere e sono gli ordinamenti per squadra, i moventi psicologici che agiscono su capi e gregari, i motti che sintetizzano la mentalità del movimento. D'accordo: oggi, come nel decennio 1340-1350 (e fui io uno dei primi a scriverne, esistono condizioni di fatto - disoccupazione ineducazione politica, amoralità, ecc. - che danno al moto delle camice nere una fisonomia quasi identica alla banda di ventura medioevale. La disoccupazione, oggi come allora, è una grande produttrice di giovani violenti, che solo nel disordine trovano di che facilmente soddisfare il loro tenore di vita. Nessuno nega che quanti dalla guerra tornarono spostati, con attitudini di vita non realizzabili in pace e con nell'animo fermenti e sedimenti punto rollandiani, abbiano intravisto nel fascismo un modo, l'unico modo di continuare la vita appresa a vivere - o a morire? - nelle trincee. Nessuno smentisce che la boria per cui nereggiavan di bassa minaccia le gote di Bombacci abbia, secondarissimamente e indirettamente, contribuito alla organizzazione fascista. Ma alla base della formazione delle camice nere è un fatto economico, fatto economico che è a sua volta in dipendenza del sistema capitalistico.





    Del resto, chi sappia penetrare e storicamente intendere le cronache, che so, del 1342, avvertirà subito che le famose - le tristamente famose! - società di soldati, in tanto esistevano e fruttuosamente operavano, in quanto permanevano le situazioni disastrose succedute alle guerre veronesi, pisane, ecc. Fenomeno dunque della disorganizzazione medioevale le bande di ventura. Fenomeno - previsto! - della civiltà capitalistica il fascismo.

    Ecco: il fascismo è la manifestazione italiana della dittatura capitalistica, avveratasi in ogni paese a forme produttive individualistiche. Semplicismo orgoglioso? Ma si può fare credere che in Italia - sia pure paese di analfabeti che non seppe o non volle portare a termine la sua rivoluzione spirituale e attirare la sua riforma - sarebbe stato possibile la conquista dello Stato da parte di una organizzazione ingiustificata e ingiustificabile? Il fascismo si è originato, si è svolto, - il pungolo di alcune idealità aiutando - è giunto al potere perché rispondeva alla necessità politica della classe che detiene i mezzi di produzione e di scambio, perché era in funzione della reazione antiproletaria che qua e là si andava pronunciando, perché ha accettato di essere, bon grè mal grè, lo strumento più valido della conservazione, della dominazione capitalistica. Né vale l'obiezione che pretende di essere definitiva: l'Italia è una nazione precapitalista. Non vale: perché le statistiche tutte, a cominciare da quelle offerte dalla cronaca sia pure frettolosa, dimostrano il contrario. Non si deve pretendere che il processo di formazione capitalistica si svolga in modo uniforme in tutti i paesi e sotto tutti i climi. Il capitalismo italiano, nella sua espressione terriera nel meridione e manifatturiera nel settentrione, sarà, è, meno intraprendente, meno intelligente, meno capace di organizzare e di produrre, quantitativamente e qualitativamente, di quello germanico e di quello inglese, manca di energia inventiva, difetta di quella saporosa - si può dire? - saggezza in cui eccellono i grandi organizzatori cari all'etica del Sorel. Ma la sua natura non é diversa da quella del capitalismo interno e diversa da quella del capitalismo internazionale. Nell'uno come nell'altro la produzione è controllata da pochi individui associati. Non c'è bisogno, credo, di fare nomi e di citare fatti. Le ultime polemiche scandalistiche, clamorosamente suscitate da Massimo Rocca, dimostrano come due soli siano i gruppi finanziari che si contendono la dirigenza della economia, e quindi della politica, italiana.





    Ricordiamo. Già verso la fine del 1920, il capitalismo accennava alla controffensiva. Dopo avere dubitato di poter resistere validamente all'assalto portato dagli operai associati al profitto si riorganizzava e dalla difesa passava all'attacco.

    La Revue internationale du Travail, preziosa miniera di informazioni per chi si occupa dei problemi sociali, scriveva nel dicembre 1922: "La tendenza a prolungare la giornata di lavoro si è manifestata con una intensità variabile in tutte le Nazioni industriali del mondo, ma più particolarmente in quelle dell'Europa. La Francia, il Belgio, la Danimarca e la Svezia hanno largamente partecipato al movimento". La previsione di Marx (La fondazione di una giornata normale di lavoro è perciò il prodotto di una lunga guerra civile, più o meno dissimulata, fra la classe lavoratrice e la classe capitalistica) risultò così confermata. La reazione si avverò in senso internazionale, assumendo aspetti nazionali. In America l'industrialismo, per garantire il suo profitto, non ebbe bisogno di ricorrere senz'altro ad organizzazioni armate. Gli bastò lo Stato. Tuttavia, quando lo ritenne necessario, non ebbe difficoltà ad uscire dalla sua legalità per meglio assicurare le sue fortune. Il garysmo la vasta nutrita vivace campagna per l'open shop altro non sono che mezzi tattici della battaglia antioperaia. Le serrate di Inghilterra, di Germania e di Danimarca, le guardie bianche di Ungheria, i somatenes di Spagna sono in derivazione e in funzione della volontà capitalistica di annientare ogni movimento progressista delle classi operaie. L'Italia, sempre geniale, ha partecipato ad generale movimento di reazione con il fascismo: agrario nelle campagne, ma, industriale, amico Gobetti, nelle città, la tua Torino compresa. E però l'equazione fascismo=medioevo non puó avere altro senso ed esprimere altro valore. Prodotti da due diverse, benché assomiglianti, realtà sociali, hanno diverse finalità anche se identiche strutture. Le bande di ventura al servizio del Visconti e di altri si giustificavano storicamente nella disorganizzazione sociale di cui erano uno degli aspetti più appariscenti. I manipoli fascisti al servizio del capitale industriale e commerciale - e più forse di questo che di quello - germinati dalla crisi capitalistica, in essa crisi trovarono la loro ragion d'essere.





    È conosciuto l'aforisma della filosofia vichiana: "ogni società, sorpassando il punto sommo del suo svolgimento, torna, nella sua decadenza, a uno stato di barbarie, simile a quello iniziale, ma assai peggiore". Lo squadrismo trovò nel clima d'Italia il suo clima. Si modellò su l'esempio delle medioevali società di soldati. Non più scioperi fu la parola d'ordine. Ordine e disciplina fu il comandamento. E l'era nuova ebbe inizio legalizzata con le elezioni pagate da industriali, banchieri e agrari. La fazione si identificò colla Nazione. La Monarchia, che ha un intuito storico sviluppatissimo e un fiuto politico di primo ordine, dopo aver lasciato fare, si regolò con il fascismo così come si era regolata con il repubblicanesimo prima e con il socialismo bissolatiano poi: assorbendolo. E il danno e la vergogna ancora dura...

    Il fascismo, generandosi alle radici del tronco capitalistico, non è un movimento sporadico, passeggero, senza alcuna aderenza, dunque. Ha un largo, profondo sostrato economico, si pose e si affermò in rapporto a determinati precisati e precisabili interessi economici e politici. Che, se così non fosse, se la nostra diagnosi peccasse in principio e in fatto, vorrebbe dire che quello che attraversiamo non è - com'io ritengo - un periodo rivoluzionario socialista aperto e iniziato dalla guerra, ma un momento dello sviluppo capitalistico, per cui mancherebbero le condizioni non proprio soggettive, di preparazione e di organizzazione politica, ma altresì oggettive, e, cioè puramente materiali, per un'azione autonoma, intransigente della classe operaia.

    Ciò che assolutamente non è. Guai a illudersi. Se lo squadrismo, se il razzismo fosse un caso di coscienza o una questione di polizia, a quest'ora non se ne parlerebbe più. Il delitto Matteotti non l'avrebbe solamente incrinato, ma distrutto. Oggi è scosso, è moralmente minato. Le fonti ideali cui attingeva, si sono essicate. L'ululo della guerra... al mondo, non ha a sprone che gli alti ideali del ventre. Il capo è discusso. Il mito è a terra. Ma appunto perché non pone una semplice pregiudiziale morale o un provvedimento poliziesco, ma un problema sociale, il fascismo ha resistito e resisterà ancora - pur lasciando alcune delle forme nelle quali si realizza - fino al compiersi di quel processo storico che deve sboccare nel socialismo.





    Problema di forza, si corregge; non sociale. E' inesatto, o, se più piace, incompleto. Comunque, oggi come oggi, un problema di forza presuppone sempre un problema di organizzazione sociale.

    Conscientia e altri periodici hanno fatto eco alle aspre critiche da Rivoluzione liberale mosse al Comitato delle Opposizioni. Si voleva l'attacco, si pretendeva più decisione, si domandava una parola d'ordine con cui vincere o morire... A torto. Il fascismo non deve cessare di essere prima del tempo. La catilinaria del Giornale d'Italia non deve trarre in inganno. I fiancheggiatori o gli ex fiancheggiatori non combattono il fascismo, ma la cosidetta degenerazione del fascismo, l'esuberanza, direbbe Cesarino Rossi. Oppositori costituzionali e critici benigni sono, nell'animo, nella mentalità, fascisti come prima. Del fascismo non combattono, fatte poche eccezioni, la dottrina, il mussolinismo e il... gentilismo, ma il farinaccismo. E' la ricomposizione dell'equilibrio nazionale nel fascismo e con il fascismo e il razzismo più becero che più li interessa. Intendono imprigionare il vasto anelito alla libertà nelle strettoie di quello stesso ordine che rese possibile le vergogne presenti. Le opposizioni non possono prestarsi al gioco, non possono impegnarsi in una aspra guerra di successione a un portafogli che lascierebbe intatto il regime.

    Non si deve poi dimenticare che la forza del Comitato delle Opposizioni consiste proprio nella sua debolezza: nel non poter cioè organizzare i momentanei rapporti di partito in un programma di governo, in un sistema politico, senza aprire profondi dissensi, senza produrre incolmabili differenziazioni di classe. La successione avverrà soltanto allorché il fascismo, in uno con la realtà che l'ha manifestato, si sarà esaurito, soltanto quando avrà percorsa intera la sua parabola, soltanto quando si avvereranno le tre condizioni che Giorgio Sorel distingueva nel materialismo storico: pienezza di produttività, insopportabili fermenti di trasformazione, maturità delle questioni sociali. E sarà una successione socialista.





    Ora è evidente che a questa soluzione non possono aderire popolari e amendoliani. Esigere quindi dalle opposizioni ritiratesi su l'Aventino un immediato attualistico programma di rinnovazione nazionale, è assurdo: la comunanza della negazione non significa affatto comunanza di fini e di volontà costruttive. Si può forse pensare di sostituire Salandra a Mussolini?

    La funzione delle opposizioni non può dunque essere, nella contingenza, che di critica e di demolizione. Funzione utile - momentaneamente utile, si capisce! - in quanto guidando ad una attività oppositrice quelle categorie e quei ceti che economicamente e storicamente sono, finiscono per essere alleati alle masse operaie, incoraggia gli operai e i contadini, ai quali favorisce il ritorno nei sindacati di mestiere e nei partiti che di essi sindacati sono la espressione politica, a riprendere fiducia in se stessi, a fidare esclusivamente nelle proprie forze, a ricondurre con più ardore e più intelligenza la lotta di classe, dalla quale sola può scaturire un organamento umano che, per essere veramente antifascista, non può che essere socialista.

    Perché, è detto in Misére de la philosophie, "soltanto quando sia attuato un ordine di cose in cui non vi siano più né classi, né contrasti di classi, le evoluzioni sociali cesseranno di essere rivoluzioni politiche. Insino a quel momento, alla vigilia di ogni novella formazione della società, la parola d'ordine della Scienza sociale sarà sempre: guerra o morte; lotta sanguinosa o il nulla: così la questione è inesorabilmente posta".

    Anche, naturalmente, per i gruppi di Rivoluzione Liberale.

GUIDO MAZZALI




    La diagnosi del fascismo dell'amico Mazzali svolge elementi in gran parte analoghi a quelli fissati in tre anni di battaglie da Rivoluzione Liberale. Il problema per i Gruppi di Rivoluzione Liberale è quindi di discutere la connessione posta dal Mazzali tra profezia marxistica e liquidazione del fascismo,

    Altrove abbiamo detto che questa è l'ora di Marx. Ma s'intende che noi pensiamo ad un Marx vitale in una situazione caratteristicamente italiana. In questo senso la tattica che propone Rivoluzione Liberale contro il fascismo è la seguente:

    Nessuna illusione di liquidare il fascismo coi giochetti parlamentari, con le combinazioni della maggioranza, con lo Stato Maggiore, con la rivolta dei vari Delcroix e simili aborti morali. Il problema italiano è di liquidare lo spirito e le forme del trasformismo, dell'accomodantismo, della corruzione oligarchica che fu rappresentato dai vecchi ceti sedicenti democratici e che il fascismo portò alle estreme misure di impudicizia e di trafficantismo. Crediamo al movimento operaio come alla sola forza - che per le riserve di spirito combattivo di cui dispone, per la sua volontà di redenzione - potrà opporre alle vecchie cricche, pronte sempre a patteggiare, la sua inesorabile intransigenza. Le esperienze passate ci insegnano che il movimento operaio alla resa dei conti avrà bisogno di una classe dirigente sicura e moderna, dotata di spirito di sacrificio e di maturità storica. Comunque si liquidi la questione del ministero Mussolini (noi non abbiamo alcuna sollecitudine per le azioni di Salandra, di Giolitti, di Caviglia o di Di Giorgio!) la situazione da cui è nato il fascismo si liquiderà soltanto con la ripresa del movimento operaio. Questa è connessa con il miglioramento della nostra classe capitalistica, con le attitudini della nostra economia a vivere nel commercio mondiale non semplicemente da parassita. La recente campagna di Einaudi ha questo senso profondo.

    Per secondare la ripresa operaia contro il fascismo perciò non bisogna invocare profezie o proporre schemi di nuove società (se in Italia dovessimo aspettare le tre condizioni di Sorel, la questione sarebbe piuttosto allungata!) ma aiutare i partiti seri e moderni a liberarsi dai costumi giolittiani, a migliorare i loro quadri nella lotta senza quartiere e senza lusinghe, a preparare le condizioni in cui le moderne democrazie non saranno più schiave di nessuna oligarchia. La guerra al fascismo è questione di maturità storica, politica, economica della nostra economia, delle nostre classi dirigenti, dei ceti operai e industriali.

p. g.