I FIANCHEGGIATORI

    La grave crisi politica, insorta a causa della uccisione dell'on. Matteotti, merita un commento, che, prescindendo da tutti gli elementi sentimentali che in questa circostanza hanno agito - elementi che hanno certamente avuto una parte notevole seppure non decisiva - cerchi fissare, l'attuale situazione politica italiana nelle sue grandi linee.

    Ora a chi imprenda ad esaminare un tema di simil genere non deve sfuggire che il fascismo così come si era venuto formando nei suoi ulteriori sviluppi dalla marcia su Roma alle ultime elezioni politiche, aveva gradatamente perduto la compattezza dei primi tempi, quando sotto la illusione di aver operato una vera e propria rivoluzione, mirava a realizzare una concezione giacobina di governo.

    Accanto ai primitivi nuclei che con Rossoni e Grandi parlavano di democrazia nuova, accanto ai corporativisti pratici delle organizzazioni sindacali, e, perciò, subordinati nei loro atteggiamenti da interessi proletari, accanto alla pattuglia schiettamente politica che dirigeva il movimento, si era venuto stratificando il variopinto esercito dei fiancheggiatori e profittatori delle imbottiture coreografiche di ogni governo e dei cavalli di Troia: una schiera sterminata di gente di ogni risma e di ogni sentimento, che dopo avere intuito nel fascismo la mancanza di un vero e proprio programma rivoluzionario, aveva creduto di poter trovare la possibilità d'innesto di azioni strettamente personali. Così sulle originarie forze rivoluzionarie, che si rifiutavano di assolvere il compito di stretta conservazione sociale, cui il Duce si era sobbarcato con la rinunzia alla tendenzialità repubblicana, si era sovrapposta tutta la fungaia del parassitismo finanziario e politico, tutto il giornalismo trasformistico, tutte le organizzazioni pseudo-liberali, pseudo-democratiche, pseudo-socialiste, ed ora pseudo-fasciste, che, battute nell'ottobre 1922, miravano a riconquistare il terreno perduto.





    Si era venuta così lentamente determinando una formazione politica eccezionale, la di cui caratteristica più saliente consisteva nella lotta in sordina tra i varii elementi che la componevano. Così mentre il fascismo giovane teneva ancora fede ai suoi postulati, e, con una cecità politica - che è solo spiegabile quando si consideri in pieno ed obbiettivamente l'immaturità di tutto il popolo italiano - parlava di altre ondate rivoluzionarie, i fiancheggiatori, assodata tale situazione di cose, riponevano più salda fiducia nella loro azione reazionaria. Tale fiducia nell'azione reazionaria poi diveniva tanto più forte quanto più il fascismo appariva privo di un organico ed originale programma di ricostruzione e si vedeva costretto a ripetere situazioni sorpassate nella coscienza pubblica, e a fare ricorso ad istituti giuridici riprovati unanimemente dal migliorato senso morale della Nazione.

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    In tale condizione di cose, mentre alle forze istintivamente rivoluzionarie, che avevano costituito nella prima ora le formazioni di combattimento, non rimaneva altro che ripiegare sul doloroso ma sterile esercizio della violenza per la violenza, in attesa che il messianico spirito della nuova era potesse finalmente partorire dalla capace fronte del Duce il nuovo ordine costituzionale, i fiancheggiatori - e cioè i veri battuti dell'ottobre l922 - toglievano le ultime armi dalle mani degli insorti quando convincevano il Capo del Governo circa la necessità delle elezioni politiche.

    Essi così speravano, da una parte, di continuare il logorio delle forze rivoluzionarie, ancora comprese nella formazione del partito, e, dall'altra, di inchiodare il Governo al metodo ed alla prassi costituzionale, costringendolo così a scegliere, una volta per sempre, tra la violenza giacobina e l'abilità di governo. Si apriva così la più importante crisi di questo periodo storico: lo pseudo-liberalismo di governo, battuto nel 1922 in persona di Facta, dopo aver permeata la formazione fascista di una sterminata rete di cavalli di Troia, dopo di aver impedito volta per volta il bivacco dei manipoli sulle sue istituzioni politiche e finanziarie più solide, ed aver finto la resa a discrezione, accortosi della terribile insufficienza del metodo giacobino di governo, ritornava a grandi giornate sul proprio terreno, scagliando continuamente sul capo dei trionfatori la stessa retorica nazionalistoide che aveva valso loro il trionfo.





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    Tutto ciò spiega gli avvenimenti di questi giorni: il fallimento del revisionismo fascista ed il trionfo dei mezzi diretti di azione, l'uccisione dell'on. Matteotti ed il ritorno controffensivo dei fiancheggiatori.

    Infatti la peculiare formazione politica creatasi in conseguenza del lavorio dei roditori filofascisti, aveva già richiamata l'attenzione delle sfere dirigenti del fascismo.

    Ne era nata la polemica sul revisionismo che caratterizzava le due diverse mentalità in lotta nel seno del partito dominante. La corrente revisionista mirava a facilitare la manovra dei fiancheggiatori per raggiungere una formazione di stabilità, su cui le fortune revisioniste potessero tranquillamente assidersi; la corrente intransigente, invece, reagiva energicamente al tentativo di assorbimento, scorgendo in tali manovre un oscuro pericolo per le sue fortune di parte.

    Mentre la prima, sotto apparenza di false teorie politiche, era un'aperta sconfessione delle così dette origini rivoluzionarie del fascismo, ed un esplicito riconoscimento delle necessità trasformistiche dell'ora, la seconda, sotto il rigore giacobino, nascondeva una stupida e volgare difesa di interessi rivelatisi poi addirittura criminali.

    Apertosi il Parlamento la discussione revisionista permeò i motivi sotterranei dell'azione parlamentare, perché, mentre il Capo del Governo non trascurò di tentare di scivolare sul terreno possibilista, gli intransigenti non mancarono di intralciare il corretto funzionamento delle discussioni parlamentari, dapprima con la pattuglia dislocata sui banchi dell'estrema sinistra, poi con le minacce pubbliche e private ai capi dell'opposizione.

    Ma la lotta era incerta, anche perché i giornali filofascisti, pur riprendendo a quando a quando i motivi costituzionali e cercando d'imporli agli organi responsabili del Governo, non riuscivano completamente nel loro giuoco e pervenivano, in definitiva, più a provocare un indiscutibile senso di nervosismo nel Paese che a produrre risultati politici definitivi.

    Vi era in sostanza una specie di equilibrio instabile, un punto morto che nessuna delle parti in lotta riusciva nettamente a superare: ogni sforzo era immediatamente susseguito da un colpo d'arresto, ogni spallata provocava una reazione. L'equilibrio così, veniva prontamente ristabilito.

    L'uccisione dell'on. Matteotti e la commozione pubblica, che l'ha sottolineata, hanno permesso il rapido, decisivo superamento dell'equilibrio instabile, con la prima vittoria dei fiancheggiatori.





    Premuti dall'opinione pubblica, obbligati dal contegno della stampa di opposizione, che ha rapidamente sfruttato la crisi del regime, subordinati dai loro stessi interessi, i circoli fiancheggiatori hanno intuito che era giunta la loro ora per completare la manovra di assorbimento. E si sono cacciati nel giuoco con grande slancio, lieti così di svolgere un'aspra concorrenza demagogica ai giornali di opposizione, come di fiaccare nella crisi politica le superstiti velleità delle sfere fasciste intransigenti. Questa vasta, imponente manovra fiancheggiatrice, culminata nella nomina dell'on. Federzoni a Ministro dell'Interno, ha sanzionato il primo crollo del fascismo come concezione autonoma di governo.

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    Ad accentuare l'importanza della manovra son poi venuti i varii discorsi dell'on. Mussolini, in cui il termine forza è stato abbandonato per il termine consenso, ed in cui il fascismo di Governo, abbandonando il terreno rivoluzionario delle seconde ondate e dei colpi di manganello, si è aggrappato a quel consenso, strappato con le famose elezioni del 6 aprile, che il Temps or non è molto definiva "contestate e contestabili".

    Mussolini, dunque, ha raccolto la passarella che gli hanno gettato le forze costituzionali, incapsulate nella maggioranza, e tenta sfociare nell'ampio fiume della tradizione parlamentare.

    Questo proposito era già chiaro da qualche mese, però nessuno avrebbe potuto sostenere che il Capo del Fascismo fosse in errore quando riteneva di avere parecchio tempo innanzi a sé per eseguire la sua manovra.

    Ma l'assassinio dell'on. Matteotti e la ferocia con cui i fiancheggiatori hanno assalito il Ministero per ragioni demagogiche hanno ridotto il termine per eseguire la manovra ad appena due settimane, e così l'on. Mussolini ha dovuto presentarsi, assai prima di quanto si supponeva, alla rappresentanza del Paese in veste di domatore di rivoluzionari ed eccitatore di giustizia.

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    Del resto a determinare questa radicale inversione di termini ha anche contribuito lo stesso contegno della maggioranza, che, sorta come una specie di Consiglio di amministrazione del Fascismo, è stata spinta dalla stessa gravità degli avvenimenti ad acquistare qualche funzione politica.





    Per quanto la sua origine sia contestata, per quanto la maggior parte dei suoi uomini con elezioni politiche liberamente svolte non tornerebbe più in Parlamento, per quanto la situazione politica generale è così obbligante da schiacciare sotto le stesse responsabilità i buoni ed i cattivi, i furbi e gli ingenui, la maggioranza parlamentare, come ogni accolta di uomini aventi pretesa di fare della politica, non poteva non sentire la pressione della pubblica opinione, ed, attraverso ad un atteggiamento di tentata autonomia, si sforza di porsi all'unisono con il nuovo stato d'animo del Paese.

    D'altronde le origini della maggioranza parlamentare sono in grandissima parte tutt'altro che rivoluzionarie, anzi sono addirittura trasformistiche, e ben si spiega la stessa tendenza di molti deputati a prospettarsi come solutori di una situazione, che d'altro verso è per loro senza uscita.

    Essi sperano di salvarsi personalmente e temono che un irrigidirsi della situazione possa travolgerli in un crollo senza ritorno. Perciò hanno premuto e premono sul Governo per obbligarlo ad aderire alla realtà del momento, nella speranza di avere il tempo di risolvere ciascuno la propria posizione personale secondo l'andamento della situazione generale del Paese, e più ancora, secondo la situazione dei rispettivi collegi.

    È soltanto così che la maggioranza parlamentare, partorita come organo del Fascismo, si è per un istante illusa di poter divenire organo della Nazione; nata morta e vivente di vita riflessa, ha presunto di poter acquistare vita autonoma.

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    Veramente vi sono alcuni che non credono a queste fredde disamine ed attribuiscono all'onorevole Mussolini disegni machiavellici e propositi di vendetta, contenuti oggi per l'enorme pressione dell'opinione pubblica.

    Ma questi scettici evidentemente non considerano che lo stesso fatto di ammettere l'idea della coazione rappresenta il riconoscimento delle enormi limitazioni che l'attuale situazione politica impone al giuoco mussoliniano: limitazioni che sono destinate ad aumentare, piuttosto che a diminuire, a mano a mano che il capo del Fascismo avrà sempre più bisogno di identificarsi col regime sopravvissuto integralmente alla marcia su Roma.





    Se non ci fossero altri sintomi basterebbe questo, che mentre fin'oggi gli uomini degli altri partiti erano costretti ad uscire dal Ministero dinanzi all'intransigenza fascista, oggi è l'onorevole Mussolini che deve procedere al rimpasto per tentare di assorbire forze nuove.

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    Di fronte a questa complessa situazione l'atteggiamento delle opposizioni si mantiene in una linea di fiera intransigenza, che costituisce indubbiamente una prova di notevole maturità politica.

    Perché in questo periodo, gravido di dubbi e di pericoli, rimanga o non rimanga l'on. Mussolini, si costituzionalizzi o pur no il fascismo, sia necessario un Gabinetto d'affari oppure la maggioranza riesca ad esprimere un Gabinetto vivo e vitale, una sola cosa dovrebbe stare a cuore di tutti gli italiani, che, al di sopra delle divisioni politiche, amano il loro Paese: l'impossibilità di ritorni trasformistici, di cui il fascismo è stato, insieme a tanti altri guai, il più imponente ed istruttivo esperimento.

    Ora questa intransigenza, in cui perdurano lodevolmente le opposizioni, mentre assicura che nessuna interferenza verrà a modificare il processo di svolgimento della crisi fascista, promette che un'eventuale successione del partito dominante sia per essere assunta da partiti, fatti esperti dall'esperienza altrui e consci dei propri limiti e delle proprie finalità: in altri termini promette che ogni partito ed ogni gruppo politico abbia una fisionomia così distinta, che non siano più possibili confusioni a carattere demagogico o concorrenze a scopo parlamentare.

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    Solo così la crisi politica italiana potrà avere il suo sbocco giuridico in una nuova situazione istituzionale, rispondente alle unanimi aspirazioni della maggioranza del Paese.

    Tutto ciò naturalmente chiarisce che il trionfo dei fiancheggiatori è puramente temporaneo, e che quei giolittiani, che sognano di riportare al Viminale il vecchio di Dronero, non hanno alcuna sensazione della gravità dell'ora.





    Col fascismo è crollato appunto il regime, così come Giolitti, in massima parte, l'aveva fabbricato: il regime cioè della violenza e del trasformismo, della dittatura personale e del ricatto legale. Se il fascismo non fosse stato l'arma rivoluzionaria di difesa del giolittismo non sarebbe entrato in Roma ed i fiancheggiatori non lo avrebbero assistito.

    Ma il temperamento dell'on. Mussolini ha tradito il giolittismo ed il fascismo insieme, ed i ritorni dei fiancheggiatori appaiono già inutili.

    La crisi, nascosta dal terrore bianco, si riapre profondissima ed il regime s'inganna radicalmente se pretende salvarsi attraverso le manovre dei fiancheggiatori.

    La stessa corona è in pericolo se non intende le necessità dei tempi nuovi, e, comunque, si accingerà ad ostacolarle.

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    In tali condizioni di cose la crisi si sposta sul terreno delle opposizioni.

    È in questo campo che deve identificarsi il futuro epicentro del terremoto politico italiano, è su questo terreno che si appuntano le speranze degli italiani coscienti.

    Se le opposizioni, attraverso il travaglio passato, presente e futuro, riusciranno a compiere intere le iniziate revisioni programmatiche e saranno rette, nell'ora del trionfo, da uomini assolutamente intransigenti, ci saranno evitati altri fascismi: ma se le opposizioni non anelano ad altro che a cacciare Mussolini per piazzare i loro uomini, la crisi non potrà non riprodursi più grave di prima, così come è avvenuto per il fascismo.

    Quindi il compito più grave che in questo delicato momento storico spetta a noi di Rivoluzione Liberale è il controllo teorico e pratico alle opposizioni.

GUIDO DORSO




NOTA

    Alle considerazioni del nostro Dorso per la parte in cui egli ci sembra troppo ottimista risponde l'articolo precedente. Le due valutazioni tuttavia non sono contrastanti poiché alla base dell'una e dell'altra sta una concezione di intransigenza preoccupata di salvare la serietà della lotta politica futura. In particolare a noi non sembra che la vittoria dei fiancheggiatori possa ritenersi altrimenti che come un gioco di Mussolini. Certo egli la saprà sfruttare e l'antitesi che Dorso prospetta ci attende soltanto per un futuro non prossimo.

    Si tratta di lavorare appunto perché quando daremo battaglia il trasformismo sia schiacciato per sempre. Ma la battaglia sarà lunga, violenta, difficile e ha bisogno di combattenti che oggi dobbiamo preparare.