Momenti del processo capitalistico

    Il regime capitalistico, per le ragioni stesse che sono alla base della sua costituzione, tende alla dittatura, è, anzi, la dittatura in atto. Economica o politica, o politica ed economica insieme. Velata o brutalmente dichiarata. Ma dittatura. In quanto tende a conservare il principio della proprietà privata e a mantenere, a consolidare, meglio, ai fortunati che li detengono, i mezzi tutti di produzione e di scambio, è organicamente negato alla comprensione, alla elargizione di un assetto democratico. La democrazia politica che prescinde dalla necessità marxisticamente proclamata di trasformare gli organismi produttivi e di umanamente e giustamente distribuire i profitti che si sprigionano dal tessuto della produzione, altro non sono che momenti del processo capitalistico, che aspetti del ritmo sociale.

    Il Considérant (1) ha dimostrato, su la scorta di abbondanti citazioni e di una fitta maglia di deduzioni, come la formula fourierista della nuova feudalità applicata alla borghesia non sia una formula gettata là a caso, o tratta dalle fumose alchimie di un barboso bibliotecario misantropo e misogino, ma il risultato di una acuta analisi dei rapporti sociali quali si vennero formando dopo la rivoluzione borghese. Sostanzialmente lo stesso Marshall aderisce a questa definizione quando, in Principles of Economics, riconosce che, pur essendo il movimento verso l'alto di molto accelerato o facilitato dalla introduzione, nei metodi lavorativi, della macchina e di tutte le altre specializzazioni meccaniche e tecniche che dalla macchina derivano, la possibilità di ascesa è però limitata a pochi fortunati od audaci proletari, la grande maggioranza dei lavoratori essendo costretta a logorasi entro le strettoie dell'edificio sociale uscito dalla rivoluzione inglese e completatosi con i risultati di quella francese.





    Una nuova aristocrazia si è sostituita a quella nobiliare e guerriera del tempo feudale. A reggere le sorti dei popoli e a tenerli a freno e proni, è la nuova aristocrazia del capitale e dell'industria. La Germania repubblicana - non discuto qui le responsabilità della socialdemocrazia - fu dominata e vinta dal gruppo Stinnes.

    La scuola socialista quale fu attuata dal filosofo di Treviri, in questo appunto si distingue dalle altre che si applicarono ai fenomeni sociali: nel ritenere che, ferme restando le premesse su le quali poggia la civiltà di oggi, è assurdo pensare che possa essere resa giustizia alla maggioranza degli uomini. La interpretazione paretiana del movimento socialista è esatta solo se riferita, se applicata ai risultati più appariscenti dell'attività dei partiti proletari. Ma poi che non ne intende l'animus e non ne accetta la filosofia, è originariamente errata.

    Le famose gerarchie circolanti che si muovono ed operano, senza trasformarle, su le basi della costruzione capitalistica, possono accordarsi e si accordano di fatti solo con l'annacquato democraticismo politico, appendice della plutocrazia finanziaria. Del socialismo sono la negazione. Il riformismo di Bissolati e di Bonomi, se, nel momento in cui fu espresso, aveva un contenuto e poteva avere una funzione, trova la sua condanna in quello che è il suo merito: di avere cioè elevata questa o quella categoria di salariati, mai facendo leva, unitariamente, su la massa tutta degli sfruttati.





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     Arturo Labriola (2) rifacendosi nel suo ultimo libro alla genesi del capitalismo e alla formazione delle conseguenti superstrutture, à certo inteso di avvalorare questa tesi, sviluppandola e dimostrandola: il capitalismo è la dittatura, contro la quale ben poco possono e il sindacalismo puro alla Sorel e il riformismo sociale alla Mac Donald. Gli elementi del processo che conduce alla dittatura capitalistica, sono contenuti nella stessa composizione sociale della borghesia. Nel primo tempo della sua ascesa, la borghesia è portata a concedere aumenti di salario e diritti civili agli operai, e ciò per migliorarne e affinarne le capacità lavorative e tacitarne il malumore. Ma ad un certo punto, con il diffondersi della cultura e con lo sprigionarsi nelle masse di nuovi bisogni, gli operai sono spinti a reclamare un più ampio posto ai banchetti della vita, sono costretti, dalla dialettica che è nella loro funzione, a domandare, ad esigere una maggior corresponsione della loro fatica, così che la borghesia, messa di contro alla diminuzione, se non proprio alla caduta, del saggio del profitto, ricorre ad un insieme di provvedimenti apparentemente contraddittori che le assicurino la realizzazione totale del plusvalore prodotto dal pluslavoro degli operai. Tali provvedimenti si identificano, via, via, successivamente e contemporaneamente, nel protezionismo doganale, nel sindacalismo industriale, nell'imperialismo, ultima fase, questa, dello sviluppo capitalistico in quanto a questa svolta del suo essere come classe dirigente, la borghesia si identifica, forma tutt'uno con lo Stato (3). La frase di Marx, dunque, lo Stato è il comitato di affari della borghesia, à un innegabile valore attualistico. L'imperialismo, per le forze cui obbedisce e per i bisogni di cui è esponente, conduce alla guerra, ritenuta anche un modo di stornare il pericolo che su i possessori dei mezzi di produzione incombe minaccioso: il pericolo cioè della scomparsa del profitto, nel quale profitto riposa tutta la ragion d'essere della borghesia come classe economica e come organizzazione sociale. Non riuscendo ne' suoi disegni manco con la guerra, per la resistenza che oppongono i lavoratori uniti in sindacati di mestiere, essa rivolge allora la sua lotta contro essi sindacati, prendendo pretesto alla sua offensiva questo o quel concetto politico o morale, ma in realtà mirando a distruggerli unicamente in quanto sindacati di classe e quindi strumenti, forse inconsci, di volontà rivoluzionarie. Questa lotta, per essere vinta, presuppone nella nazione la dittatura della classe che la conduce: dittatura puramente economica negli Stati Uniti, economica e politica in Italia, Spagna, Ungheria. "La fusione -scrive il Labriola - del capitalismo con lo Stato, la plutocratizzazione dello Stato, offre i termini della soluzione capitalistica della dittatura, la forma della nuova situazione nella quale la borghesia tiene direttamente il potere con lo scopo dichiarato di impedire una diversa soluzione di classe del problema politico ed economico, cioè con lo scopo di mantenere, mercé la forza materiale dello Stato, la divisione fondamentale delle classi ed il proprio predominio". La forza armata vigila i sindacati. I più elementari diritti sono abrogati. Le libertà sono di fatto abolite. Gli operai sono forzati a curvare la schiena. Siamo al fascismo. Abbiamo il duce, il padrone, nel quale è principio e fine. Il Pontefice cui tutti debbono inchinarsi, che si incarna, a seconda della convenienza, in questa o quella forma di governo, che esaurisce in sé la funzione dei partiti, rigido e feroce, o sorridente e giolittiano.

    Il dittatore tipo: Hoc solo, sic iubeo, sit pro ratione voluntas.





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    La tesi dei vari momenti del processo capitalistico qui schematicamente enunciata, è certamente, nelle sue linee generali e teoriche, giusta. Abbisognerebbe però, di una più sicura documentazione e di una più solida argomentazione. Il Labriola à abbozzato, invece. E non tutte le incertezze e non tutti i fondatissimi dubbi che sorgono ai margini della sua logica, sono alla fine negati. Comunque, arrivati a questo punto, si desidera sapere come vincere la dittatura borghese, poi che da essa dipenderebbero tutti i mali di cui soffre la società e segna l'inizio della rapida decadenza della civiltà. Nella diagnosi del male tutti possono anche concordare, ma è nel rimedio, ma è nello stabilire la cura che sorgono le contestazioni. Il Labriola, per conto suo, non fiata, sembra che tema di compromettersi. Eppure il problema che è di pregiudiziale a tutte la altre trattazioni, che tormenta e assilla tutti gli spiriti liberi, si pone in modo perentorio: come uscire dalla situazione? Come scompaginare, come sommergere la dittatura che tutti avvilisce e i più abbrutisce? Che essa debba finire, siamo tutti d'accordo. Che occorra ripercorrere, in un certo senso, in Italia, il cammino che in Francia fu speditamente camminato prima del 1830, può anche, ò detto: anche, ammettersi. Che si debba dare agli italiani una coscienza politica, nessuno nega. Che il regime paternalistico con quanto à di più odioso debba crollare in un domani non lontano, è evidente. Ma è sul come e il quando che variano e diversificano le opinioni. C'è chi crede che sarà la stessa borghesia industriale, e per sue necessità e per il cessare della presente depressione economica, ad imporre una modificazione nei modi del reggimento politico. C'è chi spera nei combattenti e negli studenti. C'è chi si affida al proletariato. E c'è infine chi reputa che la salute verrà dal bisogno di assestamento delle nuove generazioni. Non certo è che il Labriola non risponde ad una sola di queste domande che pur debbono essersi affollate al suo spirito. Egli parla, e non di proposito, ma di sfuggita, incidentalmente, del compito affidato al proletariato di riconquistare all'Italia le libertà civili e, quindi di ridarle un regime liberale democratico ma non specifica e non indica il mezzo o i mezzi di questa attuazione programmatica. "Il ritorno alle istituzioni della libertà - argomenta il Labriola a pagina 325 - per opera della classe lavoratrice organizzata, diviene inevitabile. Le conseguenze si comprendono. Il maggiore ostacolo che alla libertà umana si oppone, è il possesso privato di mezzi di produzione, fatto necessario ed utile in una fase della storia, ma che da un certo punto in poi sequestra in una classe tutti i vantaggi del progresso sociale, ed obbliga questo a fermarsi là dove lo stesso possesso privato di mezzi di produzione può essere intaccato. Perciò la restituzione della libertà umana coincide con la socializzazione dei mezzi di produzione. La classe lavoratrice non opera questa socializzazione istantaneamente, né per mezzo di una sua dittatura, che sarebbe forse meno nociva di quella della borghesia, ma pur sempre nociva. Dal momento in cui l'amministrazione dello Stato e degli Enti locali passa nelle mani dei suoi rappresentanti, essa opera un insieme di processi che conducono gradualmente alla coincidenza del prodotto con la rimunerazione e rendono possibile la massima e più razionale utilizzazione delle forze produttive".





    E va bene. Ma come l'Amministrazione dello Stato passa nelle mani della classe operaia? Con il metodo laburista o con quello comunista? Con la tattica complessa suggerita dalla dottrina liberale la quale considera il socialismo come un momento del liberalismo, o con quella prettamente insurrezionale? Con le elezioni o con la rivolta armata? O con l'uno e l'altro istrumento insieme, senza a priori nulla rifiutare? Si deve poi aspettare ad agire - e comunque si agisca - che il processo produttivo accrescendo in uno con la possibilità di soddisfarli, più ampi bisogni nelle classi lavoratrici, generi da sé la propria continuità sino al famoso punto critico della previsione marxistica nel quale il proletariato, posto nella posizione di rappresentante dell'interesse generale, venga irresistibilmente e rivoluzionariamente a cozzare con la classe capitalistica la quale, sempre al punto critico, da strumento di propulsione e di sviluppo si trasforma in grave ostacolo delle forze produttive? Ma, allora, bisognerebbe dare opera alla ricostruzione capitalistica perché conduca alla maturità delle condizioni che sarebbero di premessa alla socializzazione e quindi alla libertà, e così incominciare da capo, aggirarci cioè in un circolo vizioso, permettere al capitalismo un bis in idem nel senso di ripetere i momenti del suo processo sin qui esaminati...

    Mah! Arturo Labriola non risponde. Dopo avere fatto il processo alla concezione riformista, di essa concezione mostra di accettare i dettami, tanto che, se bene ó capito, tra le righe si ribella anche alla definizione chiarificatrice che il Bauer, (4) à dato della formula marxistica della momentanea dittatura proletaria: dittatura dell'idea del proletariato.

    Ma del modo di uscire dalla crisi, se ci sarà concesso, vedremo di parlare noi, modestamente, nei prossimi numeri.

GUIDO MAZZALI




(3) K. Renner: Marxismus, pag. 130-140.

    Discuteremo volentieri le conclusioni del Mazzali a mano a mano che egli ce le esporrà. Qui ci accontentiamo di notare che il torto della concezione del Labriola è di prendere tanto sul serio il fascismo da elevarlo a dignità di reazione capitalistica. Come sarà lecito classificare in una stessa serie la reazione capitalistica americana e il fascismo? Per noi qui comincia l'errore: e si finisce per non intendere che il fascismo è un fenomeno italiano, di immaturità storica ed economica, un riaffiorare di medioevo. In questo senso tra noi "il processo capitalistico" è ancora di là da venire.