IL TIPICO BUON ITALIANO

    Non c'è bisogno che Formiggini asserisca che la sua "Ficozza filosofica del Fascismo", non sarà penosa a leggersi; possiamo anzi dargli conto che il libro è spassoso e pieno di insospettati ammaestramenti, anzi è uno dei capitoli più interessanti dell'apologia del fascismo, dell'esaltazione del fascismo; il ritratto insomma dei quattro quinti dell'Italia di oggi. Gran bell'uomo e gran galantuomo dev'essere costui che, per scrivere un libro di scherno per chi ha fatto del male e di difesa del proprio operato, sente il bisogno di ripetere più volte che scrive per legittima difesa, che non nutre in cuore odio per nessuno, che il suo non è un atto di ribellione, anzi gli dorrebbe che come tale fosse interpretato dall'autorevole capo del Governo e del fascismo, che anzi sarebbe questa una slealtà, perché egli ha sempre trattato con rispetto tutti, anche "l'illustre capo della setta filosofica dell'attualismo, uno dei massimi esponenti della intellettualità italiana". Insomma l'editore, fattosi per l'occasione autore, è l'autore senza fiele, colui cui tutti vogliono bene, il perfetto tipo del buon italiano di oggi, amico di Dio e del diavolo, che non domanda che di essere lasciato in pace, non cittadino dello Stato moderno, ma suddito dello Stato paterno, del buon Governo ducale di Modena, o papale, o borbonico, e lascia volentieri al Governo di governare, nihil de principe, riserbandosi appena il "jus murmurandi".

    Della bega dolorosa della Leonardo, che voleva essere un grande istituto per la propaganda della cultura italiana all'estero, delle illusioni dell'editore, dell'ostilità del ministro filosofo, dell'incomprensione di costui per tutto ciò che non s'inquadra nell'ambito delle sue dottrine e del suo proposito di accomodare la Leonardo, della ridevole assemblea dei soci del 21 febbraio 1923, degna appena di una sgangherata cooperativa di provincia, dell'inchiesta e degli appunti malvagi contro l'ideatore della Leonardo, dei sacrifizi finanziari e morali di lui, del suo sdegno, per cui "un'intera notte" dice "ho pianto come un vitello, non per me, non per la Leonardo, ma per la patria, dove tali mostruosità eran possibili", ognuno che vuole può leggere distesamente e scorrere i documenti della onestà del fondatore e di certi metodi di governo, che ormai non sono più un mistero per nessuno. Insomma, se Formiggini credeva di dimostrarci che egli è galantuomo, se credeva proprio che c'era bisogno di questo, il libro va. Egli può smettere qualsiasi preoccupazione.





    Ma se voleva anche dare agl'italiani un ritratto del buon italiano di oggi, tutto latte e miele, quale il Governo desidera, possiamo anche dargli nota che vi è riuscito anche meglio.

    Vero è che egli pensa al "pericolo d'ordine generale che ci sarebbe stato per la cultura italiana se l'assurdo di una dittatura e di una tirannide dottrinale dovesse farsi piede nel nostro paese". Vero è che ha, qua e là, contro Gentile qualche spunto felice, come quel cants nalionalis asinus universalis di gentiliana creazione, e pensa che "a Roma, secondo l'opinione diffusa, nulla può sorgere di vitale", e che il protezionismo statale in materia di cultura non è da approvare. Ma non c'è troppo da impressionarsi: egli è troppo italiano per essere conseguente, e a buon diritto lo Stato deve aiutare le opere di cultura e il suo cuore d'italiano si crogiola di commozione al pensiero di pubblicare i classici di Roma "dal colle sacro". Sicché ad un uomo che in ogni sua impresa spera d'incontrare soltanto amici e non avversari, non chiedete che prenda posizione contro nessuno o nessuna cosa. Egli non arriverà nemmeno a proclamare il diritto d'infischiarsi di ogni filosofia, il diritto di fare il proprio mestiere di editore, per quale non pare che occorra attualismo o positivismo, peggio, il diritto di regolarsi politicamente a modo suo, facendo magari il crociano e fin il gentiliano in filosofia. No. Per un fenomeno singolare di mimetismo filosofico il F. ci dirà che dalla filosofia ha "imparato soltanto che non vale la pena di addentrarsi negli arzigogoli dei singoli sistemi che via via vengono di moda, visto che tutti li attende la stessa sorte del loro superamento. Ma non chiedete al neo-scrittore che egli abbia delle opinioni politiche, magari altrettanto scettiche sulla transitorietà dei sistemi di governo. Nihil de principe: egli è, come dicevo, l'ottimo italiano di oggi e di sempre, che alla politica, al peso della politica ha rinunziato, perché la politica è opera del Governo. E se è nel sistema di Governo l'unificazione, l'assorbimento, la violenza, egli non ha nulla da replicare; come uomo potrà piangere, come italiano, laudabiliter se subiecit.





    Anzi, ne è contento e ammirato. È proprio il caso di dire, chi si contenta gode. C'erano sinora i raccoglitori dei gesti di energia, di franchezza, di audacia, di magnanimità, di popolarità, ecc., ecc. di Mussolini. Ora abbiamo anche un esaltatore di quello che Mussolini non fa, ma che vorrebbe e dovrebbe fare, che ha intenzione di fare, che egli, malgrado il suo formidabile lavoro, non può riuscire a fare, perché "un capo di Governo non può direttamente occuparsi di tutte le minuscole cose col suo personale ingegno e col suo più alto cuore". Si capisce come egli ammiri il formidabile tentativo di Mussolini di dare all'Italia, ecc., ecc., e se i treni vanno, viva Mussolini! Se le macchine tipografiche vanno, viva Mussolini! Se diverte il Senato, viva Mussolini! Testuale. "Sapevo dell'animo generoso e giusto di lui, ma io l'avevo visto una volta sola. Mi aveva accolto con grande cortesia, ma mi sembrò che mi seguisse poco: forse la cosa non lo aveva persuaso... Un milanese non avrebbe mai commessa la balordaggine di rendere aleatoria e caduca una cosa di tal fatta... Forse Mussolini seguiva un suo ben più alto sogno che io, allora, non potevo nemmeno sospettare, ben lontano come ero dal supporre in lui le prodigiose qualità di pastore di popoli che poi ha rivelato". Proprio così. E qui la citazione da Omero.

    Bisogna convenire che l'immagine è bene scelta; è proprio dei pastori tondere la lana e picchiare.

    Anche il traduttore Faggella pensa che la più bella scena di Omero è quella in cui Ulisse picchia Tersite.

    Dopo ciò andate a parlare dell'incorreggibile malvagità degli uomini secondo Macchiavelli e a dubitare che il fascismo non possa dominare in Italia per altri sessant'anni. Molto dippiù, molto dippiù.

    Non si affligga il buon F. Vedrà, il grande addomesticatore, il buon pastore, un giorno o l'altro lo chiamerà a sé e, battendogli confidenzialmente una mano sulla spalla, gli dirà: "Caro Formècc, qua la mano. Lei è un buon italiano. Non ci pensi più! Si tratta di un filosofo, e basta. Venga a lavorare con me. Per la mia Italia, per la nostra Italia!". E F. ne uscirà guarito, dimenticherà le pene e i soldi spesi e... consentirà anche, se anche questo si vorrà, a ritirare dalla circolazione la sua Ficozza.

ULENSPIEGEL.