IL RE DEI REDUCI

Roma, 25 maggio.

    Col discorso della Corona l'opposizione è definitivamente sconfitta nella sua tattica di lavorare su un immaginario contrasto tra Mussolini e la Monarchia. La camicia nera ha ceduto al frak. A rappresentare la rivoluzione fascista in camicia nera è rimasto solo l'on. Cesare Forni, ma non è detto che non debba finire anche lui per acconciarsi a meno avveniristiche mode. Nell'atto in cui le "medaglie d'oro" Ponzio di San Sebastiano e Rossi Passavanti si accostavano per il baciamano alla berlina della Sovrana la rivoluzione degli spostati trovava il suo ultimo e passatistico "sbocco" nelle consuetudini della Corte e le inquietudini del reduce si risolvevano per sempre nella stanca e beata compitezza del valletto.

    L'importanza del discorso della Corona è data dal suo tono. Lo stile risente, è vero, qua e là, di enfasi dannunziana e di cattivo gusto futurista; ma nell'esposizione dei propositi è crudelmente giolittiano. Gioverebbe far il confronto con i tre discorsi che fece preparare Giolitti, nel 1904, nel 1908, nel 1913. Un fiducioso sguardo all'avvenire, - i problemi operai e della pace in prima linea. Pochissimo accentuato il riconoscimento della rivoluzione fascista, ma in compenso portata la questione fino alla radice nel riconoscimento e nell'esaltazione dei reduci come politici. Tutto questo considerato come normale, pacatamente, mediocremente. Il regime è stabile: nel cuore del Re Mussolini ha preso il posto di Giolitti. Un discorso fascista sarebbe stato meno pericoloso e definitivo: invece Mussolini diventò invincibile facendosi complice ed erede dei metodi della monarchia socialista. La Corona accetta il nuovo Governo accontentandosi della più modesta garanzia ossia conservando la sua sabauda moderazione, diventata ormai, col trascorrere degli anni, mediocrità. Mussolini alla sua volta espone i suoi programmi attraverso la Costituzione.





    C'è una prova indiscutibile di questo perfetto accordo ed è data dal confronto tra il discorso della Corona e le ultime manifestazioni del pensiero del Presidente. La intervista al Times, le dichiarazioni agli operai, le spiegazioni sulla Milizia hanno trovato nelle parole del Sovrano un interprete autorevole, una firma di garanzia. Per questo risultato Mussolini ha dovuto sacrificare le sue invettive contro la libertà, e accontentarsi di deprecare la licenza, ma nel cambio c'è ancora il gioco d'astuzia dell'addomesticatore. Il fatto è che il sovversivismo dei reduci passando accanto alla Corte è diventato conservatore. In questo esperimento di normalizzazione Mussolini è riuscito a impegnare il Sovrano. Il mussolinismo ha sconfitto decisivamente il costituzionalismo. Chi vorrà rimanere antifascista dopo il 24 maggio dovrà cominciare con la pregiudiziale istituzionale.

    La moderazione sabauda dell'ultimo re ha voluto insistere sui problemi del lavoro quasi confermando la coerenza di un programma che fu cominciato con Giolitti venti anni fa. Ma vogliamo far notare il tono con cui si è espressa questa insistenza. E' facile avvertire il candore del piccolo borghese che considera le classi operaie con sentimento di paterna filantropia. Con ingenua soddisfazione si parla dell'ufficio accanto all'officina e vicino alle classi lavoratrici non si dimenticano i tecnici. Le simpatie del regime insomma si volgono appunto verso un sistema di produzione ordinatamente paterna. Così l'accenno alla piccola e alla media proprietà agricola é significativo, come una vera e propria confessione; non tanto per le ragioni economiche a cui si può riconnettere, quando per l'idillico richiamo alla psicologia del possesso famigliare che ne è derivato.





    Certo in queste premesse e in queste lusinghe si deve constatare la più completa inesperienza delle masse operaie e delle moderne lotte democratiche. Se il discorso del Re segna il consolidarsi della parentesi conservatrice inaugurata nel dopoguerra dalla disoccupazione e dalla stanchezza degli ex-combattenti resta tuttavia innegabile che a questo equilibrio le avanguardie dei ceti operai oppongono una resistenza non domandata. E' il mussolinismo che si adatta a questo equilibrio riprendendo una situazione tipicamente giolittiana e il re ne è rimasto così soddisfatto da diventare accondiscendente persino verso la milizia nazionale.

    Comunque Mussolini sia per orientare il suo trasformismo nel futuro gli riuscirà assai difficile nascondere la schietta anima del piccolo borghese e antisocialista che sta sotto le solenni professioni di affetto per il proletariato. Il discorso della Corona è stato abilissimo, ma ha scoperto il gioco. Il presidente troverà consolidato il suo potere. Si rivolgeranno a lui, accanto alle camice nere, anche gli ex combattenti rimasti in attesa, i giovani conservatori desiderosi di ordine e di lavoro, con in fondo all'anima un sottile istinto reazionario e anti-socialista che è quasi il segreto della loro borghese dignità.

    Ma l'esperimento giolittiano ha messo in guardia per sempre il proletariato e le élites delle libere democrazie di domani. Questi sanno che oggi il governo di Mussolini è stabile e che è una pia illusione l'idea di liquidarlo attraverso i meschini dissidi interni del fascismo. Tuttavia restano in riserva, non si piegano. Non collaboreranno perché lavorano per una situazione nuova, futura, di dignità politica e di serietà economica. Questo è il solo antifascismo concreto e realistico - l'antitesi della generazione dei "reduci".

p. g.