L'avvenire marinaro della Sicilia

    La rigenerazione economica della Sicilia è un problema che sin'oggi è stato generalmente veduto solo dal punto di vista dell'agricoltura. Sui giornali e sulle riviste si è ripetuto le mille volte che il latifondo è la ragione prima dei malanni siciliani; che nel sistema latifondista debbono ricercarsi le cause della caratteristica delinquenza isolana, che la colonizzazione agricola e una sufficiente istruzione agraria potranno sollevare le condizioni economiche della Regione. Anche noi, ritenendo esiziale l'attuale organizzazione fondiaria, abbiamo portato la nostra voce in quel gran mare di idee; ma non potremmo fermarci solo a questo, perché a chi guardi non la prima storia della Sicilia, ma quella dei popoli orientali, che dal mare e dalla loro attività marinara trassero la fama di popoli fiorentissimi; a chi guardi la forza commerciale dell'Inghilterra, che fino al 1905 aveva una flotta mercantile di 11.040 navi, più che un terzo delle navi di tutto il mondo (1), viene spontaneo il domandarci come mai la Sicilia, circondata da ogni parte dal mare, non abbia conservato e sviluppato le sue tradizioni marinare.

    Le condizioni in cui l'Isola ha vissuto durante il servaggio politico di molti secoli rispondono esaurientemente. Oggi, però, si vive sotto un libero regime; oggi, per quanto si cerchi spesso di soffocarla con forme strane e dannosissime di monopolio statale, l'attività economica si afferma sempre più libera da ogni specie di consorteria; oggi, dunque, la Sicilia dovrebbe con tutte le sue forze promuovere l'industria marinara, la quale potrà mirabilmente integrare quel movimento di rigenerazione che molti credono debba solamente partire dal migliore assetto fondiario della regione.

    In questi ultimi anni, merito dell'organizzazione delle popolazioni rurali di parecchie provincie siciliane, la produzione agraria isolana è effettivamente cresciuta; essa però non ha avuto uno sbocco immediato nei mercati esteri e continua piuttosto ad alimentare il commercio interno del continente, donde partono per linee dirette i carichi numerosi verso le lontane Americhe e ogni altra porta del mondo (2).





    Ma il commercio interno, basandosi sulle tariffe delle ferrovie, aumenta di tanto il costo di produzione dei prodotti, da non far loro sostenere e vincere nei mercati esteri la concorrenza di altri prodotti simili. Se invece al movimento agrario si fosse reso correlativo il movimento marinaro, i prodotti agrari si potrebbero portare direttamente sui mercati esteri determinando così verso la Sicilia un flusso di capitali che ne migliorerebbe maggiormente la situazione agraria e quindi ancora il commercio marittimo e aiutando, con danaro dato a saggio minimo per la sua abbondanza, il sorgere di Società Siciliane che si facessero promotrici di quelle affittanze collettive da cui è lecito sperar molto pel miglioramento della produzione agraria.

    È logico che tutto ciò non possa ottenersi in pochissimo tempo; ma sarà sempre bene che si cominci a svolgere un programma ispirato a queste verità, onde nel giro di pochi anni si possa risentirne i primi effetti.

    La rigenerazione economica della Sicilia, come ogni altro problema del genere, non dev'essere studiata e auspicata unilateralmente, perché la vita sociale, sia pure quella di un'isola, che è pur sempre parte del mondo, è un fenomeno complesso. Le varie manifestazioni della vita sociale sono così intimamente collegate, che non si può fermarne artificialmente alcuna senza arrestare il movimento delle altre, e cioè senza provocare una crisi; come d'altra parte non si può accelerare il movimento di una senza avere preordinato analoghi movimenti delle altre, perché anche in questo caso avremmo, altrimenti, una crisi. E proprio questo avverrebbe in Sicilia se si continuasse a procurare sia pure in modeste proporzioni l'incremento della piccola proprietà senza dare uno sbocco proporzionato alla cresciuta produzione che ne deriva (3). Ora per la Sicilia, che può realmente dominare tutto il Mediterraneo, la via più naturale allo sbocco delle merci è il mare, che rende assai piccole le distanze da un capo all'altro del mondo.





    F. RATZEL (4) diceva che l'importanza sociale e politica del mare è così grande come la sua importanza fisica e che dalla ristretta baia del Trave, da Lubecca, si può dominare il Mar Baltico, come dal fondo del mare Adriatico, da Venezia, il Mediterraneo. Perché non si dovrebbe dunque dalla Sicilia, la quale ha un'importanza geografica ben maggiore che non la breve costa di Lubecca o il lido di Venezia, dominare il mare circostante, che conduce meravigliosamente al traffico più facile con tutto il mondo?

    S'è detto che manca in Sicilia la forza di sviluppare un'attività che così grande influenza benefica avrebbe sulla vita nazionale: mancano le foreste che diano materiale da costruzione; mancano le miniere.

    Ma tutto ciò non basta a giustificarne l'inerzia. Il rimboschimento dei monti siciliani non comincia ancora a sembrare un problema in via di soluzione, però molti se ne preoccupano - ed è già qualche cosa (5); il trasporto dei metalli e dei macchinari potrebbe poco per volta costituire un dispendio sempre minore, man mano che l'industria marinara fosse maggiormente sviluppata e stabilisse linee dirette fra i centri di produzione metallurgica e i cantieri siciliani avvenire. E poi, non è detto che tutte le navi dovrebbero essere costruite in Sicilia. Basterebbero qui anzi solo dei bacini di carenaggio per eventuali riparazioni. L'essenziale sarebbe, in sostanza, che l'industria marinara fosse esercitata in Sicilia da armatori o società interessate all'economia agraria dell'isola.

    Ma resterebbe un'altra questione assai più grave da risolvere: quella dei porti.

    Il Governo non ha saputo vedere nelle lotte che si fanno da vari comuni dell'Isola perché si mettano i porti in condizioni di più facili approdi per ogni tipo di nave, un movimento che ha un significato sociale di grande importanza, poiché il problema dei porti e delle comunicazioni è uno dei coefficienti decisivi della vita economica siciliana.

    D'altra parte però è bene che gli isolani non si attendano tutto dallo Stato; ci sono dei porti in Sicilia, come quelli di Augusta e di Siracusa, che, malgrado la loro vastità e la loro sicurezza, sono sempre deserti come una spiaggia dell'Africa equatoriale. Questo dice che le popolazioni sono anche un po' inerti e sonnolente, malgrado il turbinio assai rumoroso della vita moderna.

    È necessario dunque che tutte le forze unite della Sicilia, con la integrazione che può venire da un Governo cosciente della missione cui è preposto, e non vago di facili popolarità, sempre dannose alla vita economica della nazione e quindi alla sua vita politica internazionale, cooperino a promuovere l'attività marinara, che in Sicilia può dirsi veramente quasi sconosciuta e che sarà certo feconda di benessere sociale.

G. NAVARRA CRIMI




(2) Ad agevolare tale commercio fu recentemente istituito e poco di poi sospeso un servizio statale ferroviario-marittimo (il ferroviario sta ad indicare che la gestione era tenuta dalle Ferrovie di Stato) Genova-Livorno-Napoli-Palermo-Messina-Catania e viceversa, che aveva principalmente lo scopo di decongestionare il servizio che si fa coi ferry-boats attraverso lo stretto di Messina. "Il nuovo servizio" - diceva il Bollettino Commerciale delle Ferrovie dello Stato (1921, N. 1) - "renderà possibile di dare sfogo ad un maggiore quantitativo di trasporti dal continente alla Sicilia e viceversa, ed essendo accordata alle spedizioni per le quali sarà richiesto il percorso ferroviario marittimo la precedenza nella fornitura del materiale nei limiti di disponibilità delle stive, rispetto a quelle che percorrono esclusivamente la via ferrata, l'istituendo servizio offre pertanto anche una maggiore rapidità nei trasporti. Particolari disposizioni assicurano l'immediato proseguimento delle derrate provenienti dalla Sicilia e dirette all'interno e all'estero, venendo appoggiati a Livorno-porto tutti quei trasporti che possono essere inoltrati coi treni derrate diretti ai transiti internazionali". Buoni propositi sebbene insufficienti ad assicurare alla Sicilia e sopratutto a procurarle il suo migliore avvenire economico, con semplici propositi perché nel brevissimo tempo in cui il servizio ebbe vita non ci furono neppure i termini di un esperimento.
(3) Senza star qui a trattare della dottrina generale delle crisi, che sarebbe un fuor di luogo, è opportuno però avvertire che si avrebbe in simile eventualità, non una surproduzione generale (di tutti i prodotti di qualsiasi specie) ma un eccesso specifico sulla produzione delle derrate. In quanto noi diciamo non vi ha dunque richiamo alcuno alla teorica ormai superata del Malthus ed a quella del Sismondi che è poi una edizione riveduta e corretta della teorica malthusiana. E d'altra parte qui la crisi di surproduzione sarebbe caratterizzata non già da una quantità di merce che rimane invenduta per difetto di domanda, sibbene da una quantità di derrate che non trova sbocco per mancanza di mezzi idonei a farla giungere in tempo e nelle condizioni volute nel luogo in cui potrebbe essere utilmente consumata. Si potrebbe osservare che essendo in genere le produzioni agrarie di facile deperimento e di volume troppo grande in confronto del suo valore di scambio, basterebbe ad eliminare l'eventualità di simili crisi che i prodotti si trasformassero sul luogo stesso di produzione in altri meno deperibili, come ad esempio le conserve, o in altri di minor volume come le farine. Ma questa bella massima che ha tanta importanza nell'economia rurale, specie per quel che riguarda i foraggi, fa sorridere i conoscitori dell'economia siciliana. Che, se questo fosse possibile, il problema siciliano sarebbe già risolto. In Sicilia manca appunto l'industrializzazione dei prodotti agricoli ed è anche a questo che si vuole arrivare attraverso il rinnovamento integrale dell'economia fondiaria e allo sviluppo della marineria mercantile.