ESPERIENZE ELETTORALI

    Le ultime elezioni politiche svoltesi in Italia, Germania e Francia, nel corso di quest'ultimo mese, hanno mostrato due differenti processi di atteggiamento delle masse di cui è interessante ricercare le cause.

    Infatti mentre le elezioni italiane e germaniche hanno messo in luce, attraverso gli acquisti elettorali comunisti e fascisti, uno sviluppo di polarizzazione agli estremi, le elezioni francesi, portando alla vittoria il cartello delle sinistre, hanno segnato un forte arresto nella sconfitta delle formazioni medie.

    Sforziamoci, quindi, di indagare le ragioni di fatti così contrastanti.

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    Basta soltanto riflettere che i fenomeni di polarizzazione sono avvenuti nelle due nazioni (Italia e Germania) in cui lo Stato (senza aggettivo) era più debole, per comprendere che essi sono, quasi esclusivamente, dovuti alla fragilità di formazione dei ceti medi, alla mancanza di possesso da parte dei gruppi dirigenti di idee salde circa la funzione dello Stato, in una parola alla deficienza di ogni tradizione statale ed alla sfiducia borghese circa l'utilità delle libertà politiche e dei congegni giuridici rappresentativi.





    In Italia, infatti, dove lo Stato moderno non è mai sorto, e dove le aspirazioni liberali della generazione del Risorgimento sono rimaste confinate nei libri del Minghetti e dello Spaventa e nelle critiche del Fortunato, durante la crisi post-bellica le classi dirigenti non potevano fare largo affidamento sui meccanismi legali, il di cui funzionamento avrebbe portato alla loro sconfitta, e, perciò, dovettero contribuire esse stesse alla distruzione di quelle garanzie giuridiche, cui ormai la rivoluzione si attaccava.

    Il fascismo di Governo, in sostanza, non ha rappresentato altro che il tentativo di distruzione dello Stato di diritto per impedire che, attraverso il metodo così detto liberale, la dittatura di fatto, in cui l'Italia vive da settant'anni, venisse distrutta, e per scongiurare, attraverso l'impiego della violenza, che le nuove formazioni elaborate dal paese potessere, aderendo allo Stato, impadronirsi delle sue capacità di funzionamento.

    Questo fenomeno di distruzione statale, accennato appena in Italia, è divenuto, invece, interessantissimo in Germania, ove il nuovo Stato si presentava come una barca in braccio ai marosi, agitati, sia dall'azione internazionale degli Alleati, che dai ritorni reazionari delle classi feudali germaniche.





    Mario Grieco ha sintetizzato su questa rivista e sul Mondo la crisi germanica nel tentativo dei ceti plutocratici di sfuggire all'azione dello Stato, per lasciare quest'ultimo solo alle prese con la questione delle riparazioni verso gli Alleati.

    In altri termini i ceti plutocratici tedeschi per impedire che ogni eventuale pagamento di riparazioni da parte dello Stato germanico potesse ricadere sulle loro fortune, per mezzo della potenza della banca moderna e dei contemporanei sistemi di crediti (chèque) che in generale sfuggono all'azione ed alla sorveglianza dell'Ente statale, investendo tutti i loro capitali mobiliari in valuta estera, e continuando a commerciare sempre in valuta straniera, hanno creato quella specie di fallimento dello Stato tedesco, che è culminato nella completa svalutazione del marco.

    Questo gigantesco tentativo economico mirante a riversare tutte le conseguenze della sconfitta sulle classi povere, doveva portare nel campo politico alla progressiva disintegrazione degli interessi plutocratici dallo Stato germanico e dal tentativo di identificare quest'ultimo soltanto con i ceti medi e con le classi proletarie.

    Naturalmente queste classi povere restando legate all'azione statale venivano praticamente a rispondere verso gli Alleati delle riparazioni, ed attraverso lo svalutamento della moneta perdevano continuamente gran parte dei frutti delle loro intraprese e del loro lavoro.

    Infatti basta solo per un momento riflettere a quella nota legge della vischiosità dei prezzi e dei salari, di cui si è largamente parlato in questi tempi di miseria, per comprendere l'impossibilità dei ceti poveri di uniformare la propria azione economica al precipizio del marco e, quindi, le enormi perdite di ricchezza subite da essi durante lunghissimi mesi fino al tentativo di ripresa dello Stato germanico con la creazione del marco-rendita.





    Tutto ciò mentre le classi plutocratiche assicuravano le loro fortune con gli investimenti esteri, garantivano i loro guadagni commerciando in sterline o in dollari (cioè praticamente entrando a far parte dei sistemi monetari di altri paesi) e sfuggivano quasi del tutto all'azione del Fisco germanico per la pratica impossibilità di commisurare continuamente le imposte al valore calante della moneta.

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    In verità questo tentativo dei ceti plutocratici di sfuggire, per quanto è possibile, alle conseguenze economiche della guerra e di riversarne gli oneri sulle classi meno abbienti non è caratteristico soltanto della Germania, ma è comune a tutti gli Stati, vinti e vincitori.

    Però mentre negli altri paesi le classi plutocratiche si sono sforzate di organizzare il loro tentativo, attraverso l'azione statale, e, quindi, hanno dovuto impadronirsi del Governo a mezzo di varie formazioni politiche, in Germania, per effetto delle conseguenze della sconfitta, non avendo potuto scegliere la prima via su cui ergeva le sue fortune politiche la social-democrazia, hanno dovuto ricorrere addirittura al tentativo di distruggere lo Stato, che era diventato l'organo di coazione delle altre classi.

    Il fenomeno è, perciò, assurto ad un interesse palpitante.

    Naturalmente questo tentativo di disintegrazione statale non ha raggiunto la stessa intensità in ogni Stato della Federazione tedesca, perché, come è noto, diverse sono le condizioni economiche e sociali delle singole parti del Reich.

    Nella Ruhr, per esempio, ove si condensa la massima industria germanica, ha raggiunto proporzioni romanzesche, anche perché qui l'azione plutocratica veniva complicata dall'occupazione francese.





    Infatti le autorità civili francesi dei territori renani compresero quasi subito il tentativo di disintegrazione statale e naturalmente lo agevolarono, sforzandosi d'incanalarlo nella forma tradizionale del separatismo.

    Sorse così l'idea di quella repubblica renana che, sottraendo quei territori alla Germania, assicurava il grande trust del carbone e dell'acciaio guidato da Ugo Stinnes da ogni ritorno offensivo dello Stato socialdemocratico.

    Così i francesi, agevolando il processo di disintegrazione statale, miravano a trarne quelle conseguenze di politica estera cui costantemente mirano: lo sbloccamento dell'unità germanica. Senonchè conducendo quest'azione a conseguenze politiche opposte a quelle che in politica interna l'avevano suggerita (e cioè conducendo ad un indebitamento del Reich assai più grave di quello che avrebbe potuto derivare dal pagamento delle riparazioni) non poteva arrivare alle sue estreme conseguenze, e, perciò, è stata arrestata su nuove posizioni, che non é possibile oggi dire quanta solidità abbiano.

    Ad ogni modo, in linea di prima approssimazione, lo sviluppo è quello da noi tratteggiato, e basta a spiegare tutte le altre ripercussioni politiche.

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    Infatti indebolita l'azione coattiva dello Stato, e svuotato quest'ultimo degli apparati formali e delle finzioni giuridiche, nessuna forza umana poteva impedire alle classi umili di porre le loro rivendicazioni in forma integrale.

    Ecco perché alla violenza politica dei plutocrati veniva immediatamente contrapposta la violenza dal basso.





    La debolezza dello Stato, e della sua funzione coattiva, la mancanza di un organo foss'anche imperfetto di mediazione politica ed economica non poteva portare ad altre conseguenze.

    Distruggendo le formazioni mediane e lo Stato che su di esse si poggiava i ceti plutocratici tedeschi obbligavano essi stessi le classi proletarie a polarizzarsi verso il comunismo.

    Così la lotta economico-politica veniva ad assumere una rettilineità di antitesi mai conosciuta nella storia, di cui i risultati elettorali hanno dato un quadro abbastanza esatto.

    Infatti laddove le classi mediane hanno conservato una certa forza, ivi la polarizzazione é stata minima ed il tentativo di difendere lo Stato social-democratico (che è, per definizione, lo Stato delle classi medie) è riuscito, ma nella Rühr, ove l'azione plutocratica si era spinta così oltre nel concetto della disintegrazione statale da raggiungere le soglie del separatismo, la polarizzazione è stata massima e la sconfitta della social-democrazia definitiva.

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    La Francia è, invece, la patria delle istituzioni rappresentative, e perciò, lo Stato, sorto da due rivoluzioni, ha una maggiore rispondenza negli interessi delle classi medie. Essa ha in precedenza scontato gli effetti delle tendenze legittimiste ed imperiali, e, perciò, le sue classi dirigenti non hanno bisogno di apprendere le tristi conseguenze cui può andare incontro la borghesia in seguito all'abbandono della legalità, che essa stessa ha creato. Ciò spiega perché Poincarè ebbe fieri accenti di protesta contro i camelots du roi non appena accennarono ad imitare i metodi diretti dei fascisti italiani, e perché intorno all'azione statale hanno sempre aderito le masse, quasi del tutto, convinte di dover esercitare la loro azione politica entro le forme giuridiche prestabilite dalla costituzione.





    L'accortezza, perciò, dei dirigenti francesi (accortezza volontaria o coatta poco conta) ha resa possibile la continuazione del mito democratico, e la immissione di numerose forze piccoli-borghesi e proletarie entro gli schemi delle opposizioni di sinistra. Così la crisi istituzionale che lampeggiava in tutto il continente è stata galvanizzata e Briand torna ad essere l'uomo delle folle.

    Forse ciò sarà stato passibile perché la Francia, essendo una Nazione seriamente vincitrice, ha potuto nel momento dello smarrimento post-bellico riversare nell'azione statale tutti i fumi della esaltazione patriottica, prospettando l'azione repubblicana in forte e vittoriosa concorrenza con il nazionalismo reazionario della estrema destra monarchica, ma indubbiamente il fenomeno esiste ed in unione al governo finora fortunato del laburismo britannico, conferma la tesi che nelle nazioni dove la funzione capistalistica è divenuta più eccelsa le classi dirigenti lungi dal sognare ritorni reazionari, tentano affermarsi in quel metodo democratico, ove di volta in volta stagnano gli sforzi rivoluzionari del proletariato.





    Quest'ossequio alle libertà cioè alla forma della lotta politica, se da una parte svela nella borghesia francese la mancanza di quella esasperazione sovvertitrice, che è stata caratteristica peculiare del nazionalismo nostrano, dimostra dall'altra che lo sviluppo del capitalismo francese procede in maniera così perfetta da rendere possibile il conseguimento di quelle forme di organizzazioni politiche, che sono le più tipiche nell'attuale civiltà borghese.

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    Perché ciò che è caratteristico della civiltà borghese è il fatto che il liberalismo politico non è che sviluppo e garanzia del liberismo economico.

    Esso è il sistema politico che può, infatti, realizzare meglio gli sforzi economici della borghesia.

    La parità di tutti i venditori sul mercato, che è il contenuto del liberismo economico, deve essere integrata da altre libertà, che impediscano a gruppi concorrenti o parassitari di sopprimere, attraverso le organizzazioni statali, la parità legale di condizioni di lotta per i gruppi più forti.





    Si comprende, quindi, che là dove il capitalismo esiste, non come conseguenza dell'azione statale, ma come risultante di forze economiche autonome, le istituzioni cosidette democratiche, rispondendo agli stessi interessi dei ceti dominanti, abbiano maggior forza di resistenza, mentre, invece, là dove - come in Italia - ci si trovi ancora nella fase di sviluppo precapitalistico, le classi dirigenti, non avendo interessi affermati, attraverso la lotta liberistica, ma in gran parte generati o dall'immaturità dello sviluppo economico del paese o dai riflessi dell'azione statale, non mostrino eccessiva fiducia nei metodi rappresentativi; e siano propense a distruggerli ogni qualvolta, attraverso essi, altri interessi sociali comincino ad affermarsi.

    Ora il quesito che si poneva anche nei riguardi della Francia, e cui le elezioni rispondono oggi, era proprio quello di vedere se la borghesia francese continuava ad esercitare la sua funzione economica e politica attraverso le formazioni mediane, o se anch'essa voleva seguire le altre Nazioni europee nei ritorni reazionari; come del pari se le classi minimo-borghesi ed il proletariato avessero voluto seguire la critica comunista che, identificando il liberalismo politico col liberismo economico, e costituendoli insieme come istrumenti del dominio borghese, mira a distruggerli entrambi - oppure sarebbero ricadute in quella peculiare forma di organizzazione politica che i comunisti deridono con l'appellativo di social-patriottica.

    La risposta é venuta ed è un arresto secco e preciso del fenomeno di polarizzazione, cui nazionalismo e comunismo (simpatizzanti non a caso fra loro) sono interessati.

    Riusciranno, attraverso tale pausa, le borghesie occidentali a risolvere il problema delle riparazioni ed a rassodare il loro dominio, imponendo anche alle altre nazioni europee il loro sistema economico e politico; o saranno travolte anche esse nel cozzo degli opposti?

    È quello che gli avvenimenti prossimi ci diranno, e che noi in altri articoli tenderemo di discutere.

GUIDO DORSO