Il nuovo Reichstag tedesco.

Lotta di classe e partiti politici

    A parte la loro ripercussione nelle urgenti questioni politiche e soprattutto nel problema delle riparazioni, incubo dell'Europa intiera, il voto del popolo tedesco ha una grande importanza sociale, e costituisce un avvenimento che interessa ogni altro popolo d'Europa.

    La situazione geografica della Germania, la sua forte struttura economica e il suo valore spirituale danno all'opinione politica della sua popolazione una importanza, che esige la massima attenzione di tutto il mondo. Infatti il risultato sostanziale delle elezioni del 4 maggio significa essenzialmente che la grande lotta di classe oggi più che mai è nella coscienza del popolo tedesco.

    I piccoli gruppi personali e locali sono dappertutto battuti; tutto il successo lo hanno avuto i vecchi partiti con i loro vecchi programmi. A proposito di ciò si deve osservare che forse in nessun altro paese i partiti hanno un carattere così strettamente di classe come in Germania. Così i tedeschi nazionali rappresentano l'agricoltura, i tedeschi popolari la grande industria, i democratici il capitale liquido, e infine socialisti e comunisti il proletariato.

    Sotto questo punto di vista il crescere degli estremi non è tanto sorprendente quanto nel primo attimo appare. I tedeschi, colla loro tendenza teorizzante, hanno in fondo in fondo ripetuto il voto che avevano dato all'antico Reichstag nel 1920, e, se si vuole, perfino nel 1912. Preferiscono i programmi alla pratica delle necessità quotidiane e hanno votato per i partiti che promettevano loro una linea diritta. Le grandi correnti dell'opinione pubblica, basando sui diversi interessi, sono quindi rimaste intatte e lo spostamento avvenuto esprime solamente un distacco dal programma governativo.





    Il solo partito che rimane un po' fuori da questo carattere di classe benché composto in gran parte di lavoratori, non può cambiare questo quadro generale; poiché la sua solidità non si basa tanto sulla sua opera governativa o sul suo programma d'azione quanto sul suo contegno di fronte alle convinzioni cattoliche circa la chiesa la famiglia, la scuola.

    Più estranea al carattere classistico sembra che sia la nuova Destra dei Deutsch-Voelkischen. Ho già parlato in un articolo anteriore del loro confuso programma. Questi spostati, squilibrati, ambiziosi, detrito delle grandi città, han trovato dei seguaci puramente sentimentali in specie fra i giovanotti e le donne. La maggior partecipazione all'elezioni da parte delle donne è andata per lo più a loro favore. La padrona dei Deutsch-Voelkischen è senza dubbio la Destra agraria e industriale, che ha pagato loro la lotta elettorale, i loro elettori però sono molto spesso dei poveri ideologi, vivamente preoccupati dal disagio personale e generale, che non vedono alcuna via di uscita nelle promesse di una demagogia nebulosa e astratta.

    Il programma elettorale dei tedeschi nazionali benché il loro carattere di partito agrario capitalistico non sia nascosto, era quasi identico a quello dei Deutsch-Voelkischen. Essi pertanto hanno potuto attirare le grandi masse della piccola borghesia, che ha preferito i loro nomi più conosciuti e anche più competenti agli avventurieri dei Voelkischen. E' la piccola borghesia, classe amorfa ideologica e senza interessi chiaramente delineati, che ha più duramente provato l'assalto della miseria del dopo-guerra. Bisogna darsi conto di quanto quella povera gente ha patito nell'ultimo decennio: il crollo dell'Impero che le pareva stabile, secondo la parola di un re prussiano, come un rocher de bronze; la sconfitta di un esercito per il quale sentiva un rispetto e un amore tradizionale; il crollo del marco che era una seconda sconfitta, dopo tanti sacrifizi, più grave di quella militare; infine la stabilizzazione precipitosa della valuta che le faceva soltanto vedere quanto essa fosse impoverita.





    Certamente ha inflitto molto sul voto di questa classe la propaganda dei tedesco nazionali che attaccava sopratutto due decisioni del governo: il mancato riconoscimento dei prestiti di guerra, che non sono rivalutati in oro e di cui nemmeno gli interessi vengono pagati; e il riconoscimento altrettanto mancato delle ipoteche, formanti gran parte della fortuna di quella piccola borghesia, per cui la loro sostanza si è rivalutata per il solo 15 per cento.

    Ma il vero senso del loro voto è più profondo: è il mancato riconoscimento da parte loro della realtà della sconfitta tedesca e della diminuita indipendenza dall'estero causata dalla sconfitta.

    La piccola borghesia non ha capito ancora che la Germania ha perduto la guerra; essa crede che la colpa di una politica priva di iniziativa nazionale sia solamente degli uomini del Governo. Non vuol credere alla propria debolezza, né alla necessità di una riconciliazione, perché non vede nella riconciliazione che la schiavitù, creata dal tradimento e dalla cattiva fede. Aveva votato quattro anni fa il partito popolare, che era allora un partito di destra avente lo stesso programma dei tedeschi nazionali di oggi: domani, se i tedeschi nazionali faranno anche loro quella politica indeclinabile a cui si son rassegnati i tedeschi popolari, voterà il partito di Ludendorff.

    Lo spostamento nel campo borghese è dunque affatto programmatico. Non vi sono né nuove idee né nuovi ideali. Il risultato delle elezioni non è certamente senz'altro una vittoria della Germania antica, poiché la Germania antica è morta e sepolta irremissibilmente e anche coloro che ancor oggi la sognano hanno degli interessi economicamente troppo diversi. Non si deve dimenticare che lo sviluppo alto-capitalista americanizzante, attraverso la crisi dei piccoli tanto favorevole alla concentrazione dei grandi, si è accelerato in Germania in un modo grandioso, ha espropriato ampi strati della popolazione, ha creato nuove classi dirigenti, che per mezzo della loro potenza economica, non sono molto meno influenti degli antichi Juncker ufficiali e cortigiani.





    E' la triste verità che viceversa i partiti repubblicani non sono stati finora in grado di dare una nuova idealità. Non si può dire per mancanza di idee, ma perché la loro opera era assorbita interamente dalla politica estera, di cui la politica interna proprio nei problemi più grandi non era che l'antitesi. La socialdemocrazia per esempio faceva una lunga lotta per la Erfassung der Sachwerte, un'ipoteca nazionale sulle fabbriche e terreni, che era pensata come un principio della socializzazione, mentre d'altra parte l'industria pesante coll'appoggio dei popolari cercava di impadronirsi delle ferrovie statali. Ora il memorandum dei periti decide ambedue le cose ma però a favore dell'intesa. Punti importantissimi dei programmi politici si verificheranno quindi non attraverso sacrifici coscienti del popolo ma a cagione di un'imposizione che non lascia spazio a nessun atto volontario. I partiti medi hanno dovuto assumersi la odiosità di far l'esecutore dell'estero, l'hanno assunta naturalmente senza entusiasmo e senza intima convinzione. E la piccola borghesia non ha visto che il giogo senza capire chi l'abbia veramente costrutto. Così i partiti medi, compresa la socialdemocrazia, sono in un certo senso le vittime della loro coscienza di responsabilità nella politica estera.

    Nel campo proletario la situazione non è molto diversa che alla Destra. Il marxismo è rimasto saldo in gambe ed ha conservato quasi tutti i suoi elettori. Il cambiamento è avvenuto fra socialisti e comunisti e, bene guardando, neanche fra di loro.

    La social-democrazia aveva pure nell'ex Reichstag 177 deputati, però solamente 100 erano eletti col programma presentato quest'anno. Il resto erano indipendenti (massimalisti), che al Congresso di Norimberga, si fondevano coi maggioritari almeno pel 99 per cento delle loro organizzazioni, giornali, deputati; però il partito unito non si è dimostrato capace di conservare questi lavoratori più rivoluzionari che riformisti. La politica dei socialisti tedeschi, dal famoso primo agosto 1914, in poi, si può raccoglier in una parola: il timore. Per timore delle organizzazioni non osavano contrapporsi energicamente al Governo tedesco, per timore che gli indipendenti prendessero parte della rivoluzione: timore della reazione era tutta la politica che seguivano. Dicevano sempre che poteva andar peggio e perdevano così una posizione dopo l'altra. Essi permettevano perfino allo Streseman, nel cui primo Gabinetto erano seduti, di fare il colpo governativo contro il governo socialista-comunista di Sassonia, cosa, che era ben simile a un colpo di Stato; e quando avevano lasciato il Governo non osavano neanche prendere una posizione chiara e decisiva perché temevano che potesse crollare tutta la Repubblica rovesciata da quegli oscuri manipoli che comparivano in quei giorni nei dintorni di Berlino.





    Il partito socialista soffriva forse più di ogni altro partito la mancanza di denaro in questa lotta elettorale. Erano in ciò molto inferiore particolarmente ai comunisti, che spendevano in abbondanza; infatti non facevano che una scarsa comparsa nella propaganda generale. Però la disgrazia infinitamente più grave fu che nemmeno nelle elezioni sapevano ben decidersi sul contegno da tenere di fronte al Governo. Vero che eran loro che avevano sforzato le elezioni, negando al Governo la conversione dei decreti-legge, ma in verità facevan le elezioni in favore del medesimo governo per l'accettazione del memorandum dei periti. Ora dopo il grave insuccesso di questa politica timorosa, il partito sta molto probabilmente innanzi a una grave crisi interna. L'ala radicale è rappresentata solamente da un terzo fra i deputati, pertanto il prossimo congresso avrà una grande maggioranza dei radicali che forse deciderà un completo spostamento delle persone e delle direttive politiche. Poiché il vero battuto si deve cercare nelle altissime sfere del partito, nel presidente Ebert stesso, iniziatore e consigliere della politica troppo opportunista del partito stesso.

    I comunisti i quali hanno potuto pigliare quasi tutti lavoratori educati nel socialismo rivoluzionario antibellico e poi fra gli indipendenti sono i veri vincitori della giornata. La loro vittoria è tanto più grande in quanto dovevano lavorare presso a poco senza stampa, e spesso clandestinamente, mentre i Voelkischen hanno avuto l'appoggio di due Governi territoriali, di molti funzionari, nonché della loro grande e ricca stampa.

    Però i comunisti anche nel nuovo Reichstag non avranno una grande importanza. La situazione in Germania attualmente non è affatto rivoluzionaria, l'incremento degli estremi non è più che una chiarificazione delle posizioni programmatiche; una nuova coscienza e una lotta immediatamente imminente non c'è, ed anche se i comunisti lo desiderassero e fossero disposti a dar un certo aiuto ad un governo di centro, governo del resto non probabile per il rafforzamento della tendenza radicale nella social democrazia, la chiave della situazione è in mano dei tedeschi nazionali.

    Perché il problema urgente resta il memorandum dei periti, e siccome in caso della sua accettazione sarebbe necessario un cambiamento della costituzione, si deve sempre contare sui tedesco nazionali. La costituzione dispone pure che per ogni mutamento di un suo articolo occorre una maggioranza di due terzi, in presenza di due terzi dei deputati.

    Tocca dunque alla Destra.

    Berlino, maggio.

PROCOPIO.