UN CONSERVATORE GALANTUOMO

    Gaetano Mosca ha dovuto aspettare parecchi decenni il giusto riconoscimento dei suoi concittadini. Vilfredo Pareto è morto celebre, salutato maestro da tutta una generazione, cui egli si mostrò forse troppo indulgente, e Mosca, che l'aveva preceduto nelle più clamorose scoperte di scienza politica, rimaneva alla pace della sua scuola di diritto costituzionale a Torino.

    Ora Gaetano Mosca è stato chiamato alla Università di Roma, e non per inventare teorie a giustificazione dei vincitori, ma a dire la sua prolusione sulla libertà. Sembra che la vecchia cattedra di Diritto Pubblico di Orlando si trasformerà per lui, ed egli sarà il primo insegnante, in Università italiana, di scienza politica. Così si corona la battaglia che egli cominciò a ventisei anni (nel 1883) per far riconoscere e quasi fondare una seconda volta, nella patria di Machiavelli, la scienza della politica. Intanto l'editore Bocca ristampa i suoi Elementi di storia politica aggiungendo al testo della prima edizione (1895) integralmente riprodotto, una seconda parte che rappresenta il nuovo pensiero dello scrittore dopo quasi trent'anni di esperienze politiche, scientifiche, scolastiche, giornalistiche. Questo libro diventa il testo e quasi la conclusione della sua vita. C'è tutto l'uomo, pensatore, professore, ministro.

    Il primo senso che si prova di fronte all'opera di Gaetano Mosca è di disagio per la sua freddezza, per la sua impassibilità, per la sua scaltrezza ermetica. La cultura dello scrittore sembra ostile a chi legge, decisa com'è a rimanere astratta, dottrinaria, indipendente dalle novità del giorno e dai riferimenti più palesi. Il tono della narrazione vuole essere arido, senza simpatia e senza commozione. Si mantiene sempre ad una altezza scientifica, non indulge a chiarire o a confrontarsi con sentimenti diffusi, non spiega questioni attuali. Si direbbe che per le sue necessità di osservatore e di filosofo, egli si sia imposta una specie di ascesi dal troppo facile e dal troppo umano. Tutto viene sottoposto a una rigida documentazione storica e dimostrazione scientifica. Lo scrittore non cede alle debolezze umane per le esperienze personali, per gli affetti, per le cose che gli stanno vicino; esemplifica come se fosse un matematico, cerca le prove per il suo assunto nei fatti della storia cinese e babilonese più volentieri che in quelli della civiltà contemporanea.

    Di un mondo che era naturalmente campo delle psicologie più calde dei risentimenti, dell'oratoria egli ha fatto un arido terreno di sperimento, un tema per problemi generalizzati, sacrificando ogni interesse personale.





    Tuttavia sotto questo scetticismo e questa impersonalità apparente l'osservatore a stento potrebbe cercare segni meno evidenti, ma più caratteristici di stile e di carattere, anzi delineare addirittura i lineamenti di una franca psicologia conservatrice, l'amore per l'ordine e la chiarezza, il gusto per le distinzioni perspicue che in lui, schietta natura di siciliano, bastano a smentire tutte le recenti leggende sugli istinti di nebulosità metafisica degli isolani, leggende immaginate sulla scorta di un solo, o certo di pochi esempi. Per cercare nel Mosca un tipo di psicologo di razza basterebbe la sua grande ammirazione per il Manzoni, del quale egli ha fatto un vero maestro di vita, dedicandoci lunghi studi, intesi ad illuminarne le doti di osservatore umano e di creatore di personaggi. Le conferenze manzoniane del Nostro, quando saranno raccolte in volume, costituiranno un esempio curiosissimo di politica applicata all'arte e saranno un bel contributo di un diplomatico alla ricreazione del mondo dei Promessi Sposi.

    Queste virtù psicologiche ci attestano in Mosca una schietta latinità di istinto che non si è mai venuta attenuando neanche nelle opere più europee e internazionali dello scienziato. Certo ai giovani contemporanei può venire talvolta la tentazione di ripetere per Mosca le obbiezioni che si fanno alla sociologia sperimentale; ma ubbidire alla tentazione non sarebbe di buon gusto perché Mosca ha sempre avuto il singolare coraggio di correggere le sue premesse teoriche con la sua cultura storica. E la cultura storica di Mosca non è quella di certo deteriore idealismo che si serve di illustri nomi antichi per proporre i proprii schemi e le proprie idee. Si tratta invece della storia in senso tradizionale, e per lui storia è maestra di vita. E' il passato guardato da uomo pratico, da uomo di prudenza. E trovi nelle sue attitudini di osservatore le caratteristiche di chi sa di conoscere il cuore dell'uomo, ed è navigato in tutte le circostanze, e per giudicare un uomo vuol fondarsi su massime certe, e misurarlo con calcoli precisi. Qui ci sono i pregi e limiti della cultura di Mosca, e mentre il suo istinto sarebbe di dubitare, il dubbio poi è così poco artistico e così inadatto a tener conto di tutte le contraddizioni e di tutte le sfumature, che si risolve in una fiducia fatale dello scrittore nella propria furberia. E hai gli spunti più personali dello stile di Mosca, la sua ostinazione a smascherare le idee, scoprendoci sotto gli istinti e le marachelle dell'uomo, e le sue ironie contro i falsi idealismi.





    Perciò se i pregiudizi di Mosca si potrebbero definire di natura positivista, c'è d'altra parte in lui una duttilità di spirito, una ricchezza di svolgimenti e di osservazioni empiriche che lo allontanano dalle monotonie di qualunque scuola. E basterebbe per assolverlo dalle obbiezioni più filosofiche la genialità del suo canone metodologico: "Coi fatti passati spiegare gli attuali, cogli attuali i passati". Altro che positivismo! In un'epoca di eruditi e di cervelli scientifici questo era davvero un santificare i valori della storia, come storia di uomini, con la passione di un vichiano che non ha letto Vico!

    Ma il fatto più stupefacente, in Italia, nel 1884, era di vedere un giovane di ventisei anni che si mette a scrivere Sulla teoria dei governi e sul governo parlamentare. Mentre il paese era travagliato da una crisi di istituzioni e di coscienze, Mosca si metteva coraggiosamente da un punto di vista europeo e si serviva degli elementi che a Villari e a Turiello offrivano l'occasione di monografie regionali e di proteste attuali, per fare opera di scienza. Certo questo si deve in gran parte allo studio dei politici stranieri, di Fischel, di Bluntschli, di Stuart Mill, di Taine. Ma anche per questo aspetto egli é uno dei primi che ringiovanisca sul serio la coltura italiana.

    I suoi risultati non sono pedissequi, la sua impostazione non è mai generica. La Sicilia, i mali della vita locale, gli rimanevano in cuore anche quando egli faceva le sue deduzioni metafisiche. Perciò l'opera sua si può concretamente intendere come il grande sforzo di un meridionale per pensare la politica italiana senza compromettere il problema dell'unità, anzi lavorando come se Nord e Sud fossero veramente un solo Stato.





    La prima esperienza politica di Mosca gli è stata data dall'osservazione della piccola borghesia travagliata dalle cricche locali. Il deputato maestro di corruzione. La vita parlamentare complice degli accaparramenti dei magnati delle provincie. Il governo demagogico pronto a vendere le sue concessioni per crearsi dei partigiani. Per effetto di queste lusinghe: tutti ministeriali. I partiti maschera di interessi particolari, di rivalità personali. La nazione era immatura: della democrazia si vivevano tutti gli equivoci, ma non si trovavano i vantaggi per l'assenza delle premesse obbiettive ed economiche. In queste condizioni la questione di essere conservatori era questione di essere galantuomini. Anche Mosca ha la nostalgia per l'ancien régime, perché "quei regimi avevano un non so che di paterno, e l'antica bonarietà del carattere nazionale, ora purtroppo in gran parte perduta, avvicinava i grandi ai piccoli e li legava reciprocamente con un sistema di clientele allora quasi generale. "Tutti questi pensieri rimarrebbero anacronistici e nulla sarebbe intravvisto dell'Italia futura, Italia democratica e liberale, in cui la lotta politica sarà diventata questione di responsabilità, di intransigenza, di serietà calvinista, Mosca insomma sarebbe soltanto il galantuomo lealista della terza Italia invece del cafone borbonico, se a questo punto non balenasse la scoperta geniale del concetto di élite politica. La teoria di Mosca della classe dirigente è veramente una li quelle idee che aprono distese infinite di terre alla ricerca degli uomini.





    Dalla presente corruzione del regime parlamentare Mosca si sollevava a pensare la via della salvezza, a porre il problema centrale della vita italiana come di ogni società storica, nel problema di creare una classe dirigente che con la sua formula politica, coi suoi miti, come dirà Sorel, interpreti le aspirazioni diffuse e organizzi le energie più mature. Questo concetto sembrò in un primo tempo al Mosca la rovina di ogni concetto democratico e di ogni sistema parlamentare. L'interpretazione che egli ne diede, appena lo trovò, fu aristocratica. Ma si era in regime di Depretis, e non era ancora sorto il movimento socialista destinato nei decenni seguenti a dare una prima coscienza elementare alle plebi italiane.

    Oggi, nel 1924, mentre tutti proclamano la fine del parlamento e vantano i beni delle dittatura, Mosca si accorge che il sistema parlamentare è ancora il miglior strumento perché si formi, si raffini, si differenzi, si esprima la minoranza direttrice provando attraverso il lungo noviziato della libera lotta e della critica aperta le sue attitudini.

    Il compito della speculazione politica che proseguirà l'opera del Mosca è di accentuare questa interpretazione democratica e liberale, di mettere audacemente d'accordo i due concetti di élite e di lotta politica.

    Élite infatti è scelta, che deve intendersi non nel senso che ci sia chi scelga, ma nel senso di un processo storico attraverso cui si rivelano i migliori. L'esservi i scelti implica che vi siano i non scelti, che non sono condannati per natura, ma partecipano al processo, si preparano, si provano ogni giorno, si migliorano. In questo senso quasi fisiologico i governanti devono rappresentare i governati. Non c'è aristocrazia dove la democrazia è esclusa.

    Mosca conservatore e manzoniano non poteva affacciarsi queste conclusioni. Ma la prova della sua attualità è che noi riusciamo a giungervi con la sua scorta.

p. g.