LA VITA INTERNAZIONALE

La crisi del fascismo belga

    Le due recenti crisi ministeriali, manifestatesi su questioni di dettaglio, senza che dai contrasti parlamentari uscisse una chiarificazione e senza che si venisse alla discussione dei problemi essenziali, riescono tuttavia il segno di una situazione assai più profondamente grave, nella quale tutti i vizi storici del Belgio sono impegnati.

    Di questa crisi interiore si ha in parlamento un'immagine falsa perché la lotta politica che fu sempre addomesticata e attenuata a vantaggio della Monarchia e dei poteri costituiti già a partire dal 1830, fu praticamente nel dopoguerra soppressa.

    Trent'anni di governo clericale amministrativamente proficui, valsero come una educazione all'ipocrisia politica. Le questioni essenziali furono nascoste. Il problema dell'unità, il pericolo del separatismo restarono l'incubo e l'impedimento decisivo di ogni chiarificazione spirituale. La esasperazione nazionalista del dopo-guerra fece il resto. Il dogma della patria soffocava la libera discussione e persino l'ipotesi degli altri problemi più vitali. È inevitabile che in tutti gli Stati il nazionalismo sia sempre fenomeno di oscurantismo e di ignoranza.

    Si ebbe quella che Picard chiamò la frénésie de la répression. I partiti giocavano all'internazionalismo, e dimenticavano le idee e gli interessi che avrebbero potuto distinguerli e caratterizzarli. Durante la guerra il Belgio non aveva potuto sfrenarsi nella politica delle leghe di azione antitedesca. Destrée, il più bell'esemplare del socialismo fascista, aveva dovuto fare in Italia i suoi discorsi e articoli tipo Victoire o Mussolini! Il popolo belga nella sua maggioranza (85 %) non ha preso alcuna parte alla guerra. La reazione, auspice la politica di Clemenceau, volle pagarsi la rivincita con l'ubriacatura della vittoria. Il C. P. N, (Comité de Politique Nationale) fu un anticipato esperimento di fascismo. Tenne il Belgio sotto un patriottico tenore, s'impose con sistemi totalitari. Le arti e le psicologie della reazione demagogica si assomigliano. Mussolini ebbe dei precursori.

    Il giuoco dell'apoliticità fu il più accetto ed il più infallibile. S'incominciò a predicare l'orrore per i settarismi, la necessità dell'unione, dell'azione nazionale.





    La verità del vecchio assioma che la politica nazionalista è sempre la più antinazionale si verificò matematicamente. Già la sola idea di una politica nazionalista in un paese che non é una nazione appariva assolutamente ridicola. Si accentuò il dissenso tra valloni e fiamminghi: un dissenso esasperato che può finire in guerra civile. L'economia belga non era stata mortalmente colpita dalla guerra. Anzi la si poteva facilmente rimettere in attività (le miniere di carbone furono lasciate dai tedeschi in ottime condizioni, se non altro perché durante tutta la guerra se ne era curato lo sfruttamento). La reazione, costretta dalla sua logica internazionale al fronte unico con la Francia, si imbarcò nell'esperimento protezionista che non poteva non riuscire fatale per un paese di grande produzione ed esportazione, che limita le importazioni ai viveri. Anche la politica fiscale nazionalista fu la più allegra che si potesse immaginare: esitante a introdurre imposte il governo tentava con due prestiti di provvedere non già alle necessità più eccezionali, ma al bilancio ordinario. E quando i prestiti non riusciranno più, si ricorse al torchio. Non la guerra, ma il protezionismo, i prestiti e l'immissione cartacea rovinarono l'economia belga. I più furbi intanto contavano di vivere con le riparazioni e con le colonie. Il paese era in mano ai procuratori dell'alleanza francese. Nuovo terreno e ugualmente fruttuoso per nuovi Barrère. La reazione si serve di rinnegati: il socialista Destrée, il clerico-moderato Neuray.

    È inutile accentuare l'interpretazione del fenomeno, perché tutte le nazioni hanno il loro esempio di ex-direttori di giornali sovversivi diventati capi di governo, teneri per la dittatura; tutti hanno un Cavazzoni converso.

    Il capolavoro della reazione fu la politica estera. Con le rivendicazioni sul Lussemburgo e sul Limburgo olandese il Belgio si screditò e non ottenne nulla. A Versailles non ebbe iniziative: fu vassallo della Francia. Ora la situazione interna in Belgio é così delicata che basta uno spostamento dell'equilibrio internazionale per compromettere l'unità. All'equilibrio tra valloni e fiamminghi non può che corrispondere una politica di pace. Invece le aspirazioni sulla Renania facevano pesare la bilancia tutta da una parte. Battendosi per l'accordo tra Francia e Germania il Belgio avrebbe salvato, oltreché i suoi commerci, la sua unità; e si faceva autore di una politica autonoma e dignitosa. Invece con il dogma della patria e con un esperimento fascista sta compromettendo la sua unità statale.





    Dopo il 1830 lo Stato si era consolidato per un finissimo gioco di equilibrio e con la sapiente utilizzazione delle simpatie europee. Il paese non era in condizioni favorevoli ad un movimento proletario, né ad una politica audace: ma l'attività economica valse a nascondere i più gravi difetti nazionali. Prosperità e pace furono le basi della tentennante nazionalità. Il sistema d'equilibrio si reggeva sui tre partiti: cattolico, liberale, socialista. Dove l'espressione della volontà popolare poteva suscitare qualche preoccupazione troppo forte riparavano agilmente le astuzie del sistema elettorale.

    Così trent'anni di governo cattolico furono possibili in virtù di una legge elettorale che a tutti gli ecclesiastici attribuiva tre voti. La prosperità generale inoltre favoriva una politica conservatrice. Bastò il suffragio universale perché nel novembre 1919 la maggioranza clericale cadesse. E già prima della guerra il partito aveva avuto un gran colpo dopo il ritiro del barone di Broqueville per la separazione tra Vecchia e Nuova Destra. Il partito cattolico si rivelava incapace di risolvere la questione fiamminga: su questa difficoltà i capi si dividevano; e fu specialmente l'eroismo declamatore del cardinale Mercier durante la guerra che salvò il partito con un equivoco da maggior rovina. Oggi il solo fronte unico del clericalismo si potrebbe ottenere sul problema del suffragio femminile: Il nucleo dei cattolici democratici (Poullet, Vouters Douplinter, ecc.) é tanto lontano dalla Vecchia e dalla Nuova Destra che accetterebbe una alleanza coi socialisti fiamminghi (Huysmans).





    Il socialismo avrebbe potuto sostituire i vecchi protagonisti se non avesse rinunciato alla intransigenza per il socialismo di Stato e non avesse tenuto fra i capi le figure più equivoche di traditori. I socialisti valloni, come Destrée e Pierard sono dei nazionalisti. Vandervelde un centrista, che ha la sua popolarità tra i borghesi e che gioca d'astuzia nel trasformismo e nelle transazioni. Questi uomini sono restati i capi del movimento proletario con lo spettro della patria in pericolo. Padroni delle posizioni di partito non fu possibile alle masse liquidarli perché col nuovo sistema di scrutinio di lista rigido la designazione dei deputati viene ad essere affidata alla direzione del partito. Una più viva partecipazione delle masse non potrà non sconvolgere l'equilibrio di Vandervelde. Perché le masse sono rimaste estranee ai casi psicologici dei capi e alla conversione fascista del loro socialismo.

    Il partito liberale perdette metà del suo contenuto quando si trovò i socialisti accanto a Destra. La guerra ha compromesso tutti i liberali progressisti e radicali. Il patriottismo fu il ponte attraverso a cui essi si ricongiunsero a poco a poco al fronte unico della reazione borghese. In questa situazione tutti e tre i partiti saranno scissi. L'equilibrio nel seno di ogni gruppo tra tendenza progressista e conservatrice non può più mantenersi a mano a mano che la crisi matura, e l'unanimità fascista viene sconfitta nel suo tentativo di monopolio del patriottismo.

    Oggi la preoccupazione più viva é il problema fiammingo. Il Frontparti che ha ripreso l'opera degli attivisti vuole la separazione amministrativa fra Fiandra e Vallonia. Sta per manifestarsi una vera e propria situazione irlandese, e se le fazioni democratiche dei tre partiti non saranno capaci di andare francamente incontro alle tendenze autonomiste l'unità belga sarà compromessa per sempre. Altroché la retorica nazionalista di Destrée! A questo si é giunti con la politica delle sacre unioni e con le pretese imperialistiche contro l'Olanda. Non si é compreso che il problema della consistenza del Belgio é un delicato problema di giustizia e di imparzialità verso oriente come verso occidente o settentrione. I piccoli stati vivono di disinteresse: il Belgio é una creazione artificiale utilissima, ma soltanto se i suoi governanti non siano pazzi testardi e presuntuosi.

    L'ultima crisi ministeriale indica che la Politique Nationale é definitivamente liquidata. Ma non é detto che la preparazione alla saggezza sia del tutto matura. La risposta verrà probabilmente dalle nuove elezioni.

    Bruxelles, 3 marzo.

MAURICE MASSON.