BONOMI

    Abbiamo cercato in Dieci anni di politica italiana di I. Bonomi un libro originale di idee e di pratica, e invece dopo il titolo, copiato da Papafava, ci siamo trovati a rileggere vecchi discorsi, già pubblicati in tutti i quotidiani d'Italia e ritrovabili in tutte le bibloteche. E anche la prefazione, nuova, del Rubbiani, ci ha deluso.

    Il fatto é che il pensiero politico di Bonomi non è originale, e nella pratica non é uscito dai limiti angusti della vecchia mentalità democratica corrente in Italia.

    Bonomi socialista scrisse Le vie nuove del socialismo che volevano costituire la teorizzazione della prassi socialdemocratica per diretta ispirazione della critica di Jaurès, mentre, in realtà, le sue teorie auspicavano al trapiantamento fra noi dei sistemi del socialismo tedesco più corporativista che ideale e politico. Questa particolare concezione socialistica spiega due fenomeni: la predilezione di Bonomi per la democrazia, nel cui ampio ed equivoco seno avrebbe preferito che operasse il socialismo italiano, - proprio quando era facile intuire che ne sarebbe rimasto liquidato senza possibilità di risorse immediate e future; e la nascita e successiva affermazione della tendenza riformista di sinistra, capeggiata da Turati e da Treves. Il riformismo bonomiano con tale vizio di origine affogò sempre più nel mare democratico borghese nella stessa misura ed intensità con cui premuto dai fatti e dalle contraddizioni dottrinali, ripudiava il socialismo. Così avvenne che gli eresiarchi di Reggio Emilia (1912) non riuscirono ad avere alcuna risonanza nel Paese, e non convinsero alcuno che essi fossero i depositari del riformismo socialista. Questo esisteva sí:, ma in seno al Partito tradizionale in lotta con la maggioranza massimalista capitanata da Mussolini prima e da Serrati poi.

    Bonomi rimase attaccato, definitivamente, a una democrazia piccolo borghese, arieggiante un giolittismo non riuscito. Prodotto spurio, tipicamente italiano. Il Rubbiani lo spiega nella prefazione con argomentazione claudicante e non poco lacunosa: ma ciò dipende dal dover ricorrere ad acrobazie dialettiche tendenti a colmare le deficienze dell'attività governativa di Bonomi, le quali sono molte, ed alcune sostanziali. Certo il Rubbiani sarebbe stato più serio se avesse mostrato meno animosità e più rispetto della obbiettività storica, nella valutazione del movimento estremista dell'immediato dapoguerra. Egli é un democratico che trova comodo concedere alla moda corrente.

    Particolarmente audace e nient'affatto convincente é la tentata giustificazione della permanenza di Bonomi nel Gabinetto Orlando-Sonnino dopoché Leonida Bissolati si oppose fieramente alla politica estera delle sfere ufficiali, invasate a perseguire il sogno di un imperialismo irrealizzabile che si esauriva in una verbosità petulante, pericolosissima per le sorti nostre. Non può essere assolutamente passata per buona la affermazione del Rubbiani: "che gli on. Bonomi e Berenini erano rimasti nel Gabinetto Orlando a tutelarvi gli interessi democratici di una pace giusta". La pace giusta di Rubbiani fu Versailles! E Bonomi restava complice della canea reazionaria, feroce, contro Bissolati; intesa a ricattare trionfalmente il Governo inetto che accettava allegramente - con quali risultati si é visto - le direttive politiche dell'Idea Nazionale e del Giornale d'Italia.

    Da quest'episodio, la deviazione di Bonomi dalla democrazia si accentuò. Come ministro della Guerra egli fu il docile strumento delle mire della politica giolittiana. Fu accusato - attraverso un'abbondante documentazione, della stampa d'opposizione di avere favorito l'organizzazione armata del fascismo.

    Per il candido Rubbiani la diceria sarebbe dovuta "ad uno strano equivoco in cui era caduto un generale comandante in una zona dell'Italia Centrale, nell'interpretare la richiesta di informazioni sull'attività dei fasci di combattimento".

    Ma anche a voler accogliere come valida questa difesa - e ci vuole molta buona volontà - restano inconfutate due altre constatazioni, e cioè: che non una ma parecchie furono le circolari rese di pubblico dominio dalla stampa, e che gli squadristi del fascismo venivano abbondantemente riforniti di armi, munizioni, elmetti, di proprietà specifica dell'esercito.

    Che in seguito come Capo del Governo - sfrenata la belva fascista - convenisse a Bonomi tendere alla restaurazione della legalità, divenuta ormai un mito, non saremo noi a negarlo. Ogni governo ha esigenze particolari per assicurarsi la stabilità. In queste esigenze particolari l'ex socialista Bonomi precorreva Mussolini! Ma sia per il passato di complicità, sia per la debolezza instaurata a sistema di governo - dietro la quale si nascondeva una malcelata simpatia per il fascismo - la situazione interna anziché migliorare peggiorò, e l'azione di Bonomi si esaurì nelle circolari e nelle ordinanze che pei dipendenti di polizia ebbero il valore delle grida di manzoniana memoria. L'atteso colpo di arresto alla marcia violenta del fascismo non venne; e la cronaca per converso registrò il primo tentativo di distruzione della sede centrale delle fiorenti cooperative del Ravennate, la definitiva conquista manu militari della regione romagnola; l'assassinio del deputato socialista di Vagno ed il tremendo eccidio di Roccastrada.

    È dunque buffo che il Rubbiani si meravigli perché la politica interna di Bonomi, rivelatasi la quintessenza della impotenza equilibrista con un sempre accentuato filofascismo scontentasse a sinistra ed a destra e terminasse in un fallimento.

    E non ci resta che sorridere quando ci si dice che in politica estera Bonomi agì tenendo di mira i principi bissolatiani di "conciliazione fra i popoli nella giustizia e nel diritto". Della Torretta wilsoniano e democratico!

    Voler scoprire un fondo rettilineamente democratico nell'attività di Bonomi é un voler frodare la verità e la giustizia.

    Non riusciamo a comprendere per quali virtù taumaturgiche non ancora rivelate, I. Bonomi dovrebbe aspirare al titolo di rigeneratore della vita politica italiana.

    È ormai acquisito alla storia nostra che egli fu un pessimo socialista, un democratico delle coulisses parlamentari ed un men che mediocre uomo di governo. Come, dunque, concedergli ancora credito? Noi pensiamo - al disopra di ogni possibile valutazione del momento presente - che la dura prova che ci impone il fascismo - epilogo tragico della corruzione dall'alto instaurata da Depretis e culminata nel giolittismo - valga a proporci la necessità e l'obbligo morale di un rinnovamento spirituale ab imis, contro tutte le false soluzioni dei falsi democratici.

    Per quest'opera Bonomi non serve.

COSIMO GIOVANNUCCI.