Note sulla burocrazia

III.

IL GOVERNO DELLA BUROCRAZIA

Il Governo della burocrazia e i vecchi partiti.

    La responsabilità della creazione di una burocrazia con virtuali funzioni di governo risale, come abbiamo detto, alla Destra storica; la quale però ha di ciò moltissime attenuanti.

    La Destra nel fare, anzi, nell'unificare l'Italia, compiva una rivoluzione; rivoluzione vuol dire dittatura, una dittatura non si esercita se non con un esercito e con una burocrazia civile e (negli stati moderni) parlamentare.

    Già il Cavour aveva avuto, per suoi strumenti di governo, il prefetto, il questore e il deputato di maggioranza. Le condizioni rivoluzionarie e, quindi, la necessità della dittatura, durarono in Italia anche morto il Cavour, anche, in parte, dopo il '70; era naturale che i successori del Cavour seguitassero a premunir sé ed il regime con l'accrescere e rafforzare la burocrazia. Al che ancora li incoraggiava, come s'è già detto, la poca o nessuna fede che gli uomini della destra avevano nella fatale unità d'Italia, l'eccessiva paura degli elementi rivoluzionari e antinazionali, e, nel campo teorico, la concessione dello Stato Civile, dello Stato di diritto, propria, specialmente, di alcuni moderati meridionali.

    Ma la Destra, finchè rimase se stessa, cioè finché fu liberale e fu ricca di uomini di governo, trattò la burocrazia come mero strumento, e mantenne per sé gelosamente, l'iniziativa di governo, mostrandosi rispettosissima dei diritti del parlamento: governò, insomma, costituzionalmente. E dopo tutto, attenuante massima, secondo me, quando cadde, riconobbe onestamente, per bocca di uno de' suoi uomini migliori, di aver, in questo campo, molto e gravemente mancato. "A noi non deva pesare di confessare - diceva S. Spaventa nel '79 - che il partito moderato mancò al compito di dare all'Italia un'amministrazione che rispondesse perfettamente a tutti i bisogni e interessi suoi". La Sinistra, finché fu minoranza, oppugnò il violento accentramento burocratico operato dalla Destra; ma questo faceva, come già l'Oriani acutamente notò, "Per ragioni di opposizione", perché, per convinzioni, la Sinistra, in quanto aveva convinzioni, doveva essere, quasi tutta, più ferocemente unitaria della Destra.

    Sta difatto ad ogni modo che la Sinistra, quando ebbe il governo, sebbene fossero intanto venute meno parecchie delle ragioni d'essere della burocrazia pletorica e sopraffatrice, nulla fece per correggere gli errori degli antecessori, e molto fece, al contrario, per aggravarli: la Sinistra compì il processo di demoralizzazione dell'amministrazione centrale e provinciale con l'asservire l'una e l'altra al parlamento, e tristemente perfezionò i sistemi di persecuzione contro le amministrazioni locali, che purtroppo eran già stati inventati dalla Destra decaduta in consorteria.

    Ma il fenomeno più grave che, in questo campo, accadde in Italia sotto il governo (sebbene non solo per il governo) della Sinistra, da Depretis a Giolitti, fu quello del progressivo ed accelerato scadimento della cosidetta classe dirigente, avvenuto per l'allargamento del suffragio, per l'eliminazione dell'opposizione costituzionale, per la distrazione dalla politica attiva dei migliori elementi borghesi, volti ai commerci e alle industrie. La conseguenza di ciò sappiamo quale fosse: la burocrazia, in questa eclissi di una libera classe dirigente, dovette essa prendere iniziative e funzioni di governo e il governo d'Italia fu davvero e solo "governo della burocrazia".





    Adesso, dal '98 in qua, si può dire che fra Destra e Sinistra ogni differenza sia scomparsa. Di fronte al problema della burocrazia, eccezion fatta di qualche solitario dell'una o dell'altra parte, destri e sinistri non han fatto e non fanno che baloccarsi con disquisizioni e progetti, ma, restano più ridevoli dell' alta burocrazia romana. Con le elezioni del '21 gli avanzi dei due partiti, galvanizzati dal fascismo e da Giolitti, tentarono l'ultimo sforzo per tornar maggioranza e continuar a governare con le sanzioni costituzionali; furono sonoramente battuti; invece di rassegnarsi alla realtà costituzionale, traendo profitto della indecisione dei due partiti vincitori, iniziarono con Bonomi la reazione e seguitarono a governare, i demoliberali laici e clericali, contro il suffragio universale, senza più neanche salvar le apparenze, con la burocrazia, le questure, i tribunali, e le squadre d'azione.

    E veniamo al partito socialista. Il quale, veramente, sarebbe per definizione "il partito della burocrazia universale" e, come tale, non parrebbe quindi il più indicato per osteggiare quello che noi chiamiamo "il governo della burocrazia". Però in Italia, al suo primo apparire, in quanto fu movimento di minoranze rivoluzionarie, fu anche, per necessità, un movimento liberale (l'osservazione mi è suggerita dal Formentini), e quindi reagì anch'esso vigorosamente, alla dittatura burocratica, divulgò, con la propaganda de' primi tempi, i dati del problema, e fece anche una buona azione pratica di opposizione alla burocrazia centrale, sia col dare alla classe degli impiegati la coscienza del conflitto che vi era fra gl'interessi suoi e quelli dell'alta burocrazia, sia con l'immettere nella vita politica elementi nuovi, fervidi e attivi.

    Ma ben presto le organizzazioni professionali "solidarizzarono" effettivamente con la burocrazia centrale, e perdettero ogni vigore di opposizione. Il partito socialista poi, divenuto, nella pratica, riformista, ebbe tosto bisogno della burocrazia; mentre cercava di conquistarla ne era conquistato; e si trasformava intanto esso medésimo, con le cooperative e le leghe, in una macchinosa burocrazia, fatta a immagine e simiglianza di quella statale. D'altra parte il partito socialista, rimasto rivoluzionario e intransigente a parole, non volle mai, come pure aveva governato nelle provincie e nei comuni, assumersi responsabilità di governo nello stato, e rinunziò così a porre direttamente alla direzione della cosa pubblica uomini suoi, e a colmare utilmente, per tal modo, i vuoti, che il suffragio allargato apriva, sempre più vasti, nelle file della classe di governo.

    Adesso ci sono in Italia almeno tre partiti socialisti: dei quali il comunista, in quanto tornava ad essere nel dopo-guerra, in parte, quello che era il partito socialista ne' suoi primordi, era il solo che avesse capita e proclamata la necessità immediata d'una rivoluzione burocratica; gli altri due partiti socialisti, l'unitario e il massimalista, per ora, non sono che due poveri mendicanti, in questua dell'elemosina della Confederazione Generale del Lavoro; che per ora, non avendo lardo da dare ai gatti, tien chiusa la porta a tutti, e... attende gli eventi.





Il governo della Burocrazia e i partiti nuovi

    Un partito che pareva fatto apposta per la lotta antiburocratica era il Partito Popolare Italiano.

    Come movimento nuovo, il P. P. I. appariva non compromesso con la grande corruttrice; come movimento meno recente esso ereditava dal neoguelfismo, dal clericalismo intransigente e dalla democrazia cristiana tutte le loro avversioni allo stato laico burocratico e accentratore, e tutte le loro aspirazioni alle autonomie locali, unico rimedio contro la dittatura burocratica.

    Ma anche e specialmente per un'altra ragione, il P. P. I. appariva come l'ideale combattente della crociata che noi diciamo. La questione del governo della burocrazia è insomma la questione dell'alta burocrazia centrale, e la questione dell'alta burocrazia centrale è la questione della massoneria. Questo è del problema un altro punto assai delicato; forse il più delicato di tutti. Ora, come le democrazie riformiste, impeciate di massoneria e di mentalità massonica sono le fiancheggiatrici più valide e sicure della burocrazia governante, così il P.P.I., antimassone per definizione, era, o doveva essere, il più animoso, e il più interessato, oppositore della combutta burocratico-massonica di Roma. Difatto, nelle carte di fondazione, nei congressi, nei discorsi e, anche, nella stampa popolare, la nota antiburocratica è dominante; come pure uno dei problemi più vivacemente dibattuti dal P. P. I. è quello delle autonomie locali, unico antidoto, come oramai è banale, contro l'onnipotenza dei direttori generali.

    Ma anche qui, se si bada ai risultati, è accaduto, per il problema della burocrazia, quello che è accaduto per il problema della libertà della scuola, che è uno dei lati del problema antiburocratico e antimassonico, anzi di esso problema è il centro e la sintesi. Là, come qui, l'opera del P.P.I. si è ridotta, in definitiva, ad un'opera di propaganda e di divulgazione, utilissima non c'è che dire, ma infeconda di risultati immediati. E, peggio ancora, là come qui, i realizzatori del P.P.I. (clericali, trust giornalistico, banche), han lasciato che Don Sturzo e gli altri ingenui predicassero, ma essi, per loro conto, han continuato a razzolare come ai tempi dell'ante-pipì, cioè han continuato a rodere dal didentro la famosa "forma di cacio" e, nel fattispecie, a deporre nella carogna dello stato burocratico le loro ova feconde di pezzi grossi della burocrazia. Certo che, in teoria, per noi, nemici di ogni monopolio, è sempre meglio che a Roma, nei Ministeri, accanto ai burocratici massoni ci siano, a far la concorrenza, dei burocratici clericali, ma, nei fatti, io ho gran paura che, pure con l'iniezione popolo-clericale, quel monopolio sia più intatto che mai; perché non vi è nulla che rassomigli tanto a un massone quanto un clericale, specialmente quando il clericale ed il massone sono due alti burocratici.





    Ma via, non diamo troppi dispiaceri al povero P.P.I., e terminiamo di parlar di lui, riconoscendogli, in fatto di problema burocratico, almeno una insigne benemerenza: quella di aver dato ad ognuno la dimostrazione palmare che in Italia, oramai, come nessuno dei problemi essenziali, così neanche questo essenzialissimo del "governo burocratico" si può risolvere per via legalitaria e costituzionale.

    E, a proposito di illegalità e di anticostituzionalismo, cioè di rivoluzione, mi vien in mente che c'è in Italia un'altra specie di partito, il quale parla spesso e volentieri di burocratismo, di sfollamento, di uffici, di distruzione di stato burocratico, e che si dà l'aria di esser l'unico partito capace di risolvere, come tutti gli altri problemi della vita italiana, cosi anche questo di cui stiamo discorrendo: voglio dire, come ognuno ha già inteso, il Partito Nazionale Fascista.

    Ma i fascisti m'insegnano che programmi, discorsi, articoli sono una cosa, e i fatti sono un'altra, e che il P.N.F., se fa anche lui, com'è la moda e la necessità, delle parole, vuole però essere soprattutto giudicato dai fatti. Ora, quando io bado, per la questione nostra, ai fatti compiuti fino ad oggi dal fascismo, e vedo che il P.N.F. si è subito organizzato in una grandiosa gerarchia civile e militare, con segretari, vice-segretari, ispettori, consoli, centurioni, ecc., ecc., tutta gente stipendiata, irresponsabile e oziosamente faticante, come dei veri e proprie impiegati; quando vedo che questi flagellatori inesorabili dello stato burocratico italiano menano così grave vanto per avere in un giorno solo trasformato due circoscrizioni autonome delle terre redente in due prefetture del Regno d'Italia; quando vedo che questi sfollatori d'uffici son sempre pronti ad occupar qualunque ufficio per reintegrar nel "posto" qualunque avventizio licenziato, purché fascista; e quando vedo il fascismo reclutar fior di gregari, e di capi, fra gli impiegati, alti e bassi, delle amministrazioni civili e militari romane e provinciali; quando odo i neo-ragionieri o gli studenti di legge del P.N.F, trattare con tanta sufficienza e leggerezza dei più gravi problemi tecnici del paese e penso che questa è insomma la classe dirigente che il fascismo porterà domani al governo, cioè alle prese con le vecchie volpi dei Ministeri; quando ricordo che i padrini... politici del fascismo della seconda maniera sono stati Corradini, che è un ex-direttore generale, e Giolitti, che è... Giolitti, allora io mi domando, inquieto, se codesto fascismo non sia per avventura una macchina, davvero infernale, messa su dai più interessati con l'aiuto dei più ingenui, non già per distruggere, ma invece per rinsaldare la baracca burocratico-plutocratico-militaristica attualmente sgovernante in Italia.

    E al pensiero mi sento, davvero, tutto orripilare.





Rivoluzione e federalismo.

    Ma tosto mi rassicuro e mi consolo pensando che, insomma, i fascisti vogliono soprattutto "fare la rivoluzione", anzi che codesta rivoluzione essi già da un pezzo la stanno facendo.

    Ora Gaetano Salvemini, fra le tante cose belle che mi ha insegnato, una me ne ha insegnata bellissima, ed è che la questione della burocrazia in Italia non si risolverà mai se non con una rivoluzione.

    Anch'io sono di questa cosa profondamente convinto: una rivoluzione ce l'ha data, una rivoluzione ce la toglierà. Una rivoluzione ha regalato all'Italia, con l'unità, anche la dittatura burocratica del Piemonte o della Francia Napoleonica, con appena un po' di correttivo parlamentare, per indulgenza alla "galleria"; e la cosa era, forse, fatale; ma la dittatura burocratica, che, come rivoluzionaria, doveva essere temporanea, si è, con una serie di atti che vanno dal seppellimento del progetto Parini-Minghetti sulla regione, all'occupazione fascistica del palazzo della Giunta di Trento, consolidata, per modo che il suo reggimento, prettamente eccezionale per ogni paese libero, par divenuto per il lungo uso, normale e costituzionale.

    Nessun rimpianto per quello che è stato: era necessario, era fatale, sarà stato, quindi, anche utile. Certo è che, pur sotto la catafratta burocratica, la vita spirituale ed economica d'Italia si è potuta svolgere per un pezzo senza soverchi e invincibili impedimenti. Ma con lo scoppio della guerra, con la guerra, e più con il dopo guerra, la pressura è divenuta intollerabile; potenze economiche parassitarie, in combutta con potenze politiche conservatrici, con il pretesto della difesa antibolscevica, accennano oramai a volersi risolutamente e violentemente opporre alle forze spirituali economiche e politiche, le quali, per vivere, hanno bisogno solamente di libertà: la lotta, apertamente o meno, consapevolmente o meno, è dichiarata, l'urto sarà formidabile; siamo al punto in cui compare il paradosso tipico degli attimi rivoluzionari, che lo stato apparentemente normale e costituzionale é lo stato anormale e anticostituzionale, e che ogni atto il quale tende a riportar le cose alla norma e alla libertà acquista un senso ed un aspetto rivoluzionario, e che l'unico modo di avverare l'ordine è il disordine.

    Ma Gaetano Salvemini, il nostro Carlo Cattaneo senza l'antistoricismo del primo, mi ha pure insegnato che, rivoluzione o no, l'unico rimedio vero al "governo burocratico" è in Italia, ora, il "federalismo". E anche di questo io sono profondissimamente convinto.





    La rivoluzione italiana, la prima, quella del Risorgimento, fu fatta per l'unità, per l'indipendenza e per la libertà, ma ci diede, con l'indipendenza, l'unità, a detrimento della libertà. Ora il processo deve continuare: raggiunta, completa, l'indipendenza, assicurata, stabilmente, l'unità, dobbiamo avere, finalmente, codesta libertà; e come, in un primo momento, l'unità non si può avere se non limitando le varie libertà, così ora le libertà vere non si potranno ottenere, se non allentando le strettoie dell'unità. Continua, anzi riprende, in Italia, e nel mondo, l'eterna lotta fra l'idea unitaria e l'idea federale; abbiamo avuto dal 1848 al 1918 il momento dell'unità; torna ora il momento della federazione.

    Il processo unitario oramai è compiuto. Spiritualmente s'era già compiuto da tempo, e documento più cospicuo ne era stata la letteratura cosidetta paesana: Verga, Deledda, Beltramelli, ecc. Era l'idea regionale, la quale, al punto di risolversi nell'idea nazionale, divenuta riflessa, si faceva estranea a sé, e mirava a sé stessa come a spettacolo artistico, come a soggetto di studi e di meditazioni. Letteratura paesana, studi regionali erano il testamento dell'idea regionale preunitaria. La guerra ha reso perfetto codesto procedimento, non solo coi fatti materiali del raggiungimento dei confini geografici e del superamento dei confini tenici (perché ce ne sia abbastanza bisogna che ne avanzi), ma più con la partecipazione effettiva di tutte le "masse" al travaglio di tutta la guerra (combattimenti, disagi, polemiche).

    Ora che il processo unitario è, insomma, finito, si può, si deve, riproporre il problema federale; non già l'Italia divisa per 16 o per 18, ma l'Italia moltiplicata per 16 o per 18; non l'Italia negata dalla regione o dal comune, ma l'Italia accolta su sintesi nel comune e nella regione. Il Mazzini, che del resto già nel 1861 parlava della "Regione, zona intermedia indispensabile fra la Nazione e il Comune, additata dai cantieri territoriali secondari, dai vialetti, e dal predominio delle attitudini agricole, industriali e marittime", sarebbe oggi, il più fervente dei federalisti. C'è, nella storia d'Italia, l'ora dell'unità e c'è quella della federazione; la lancetta, che ha segnata l'ora dell'unità, non si ferma qui, ma si avvia a segnare l'ora della federazione. Si sente dire da tante parti che noi viviamo in pieno medioevo ed è vero; ma è vero non solo per il lato pittoresco (Fiume, navi in corsa, tavole del Carnaro, fajde di comune il bel medio-evo di D'Annunzio), e neanche solamente per le conversioni dei nuovi Templari, per le invasioni barbariche, e neanche solamente per la crisi di autorità caratteristica di quell'altro medioevo, ma è vero specialmente per l'imponente moto di "individuazione" che si produce in tutto il mondo civile da un ventennio a questa parte, e di cui la guerra non fu che uno degli episodi. Sommerso e frantumato, a principio di quell'altro medioevo, l'impero di Roma, ne restavano a fiore, scogli, isole, piccoli mondi a sé; ritiratasi, all'inizio di questo altro medioevo, la massa positivistica-internazionalista, riemergono, per tutto il mondo moderno, i poggi, gli accidenti, le individualità etniche e territoriali.





    Come nel mondo, come in Europa, così anche in Italia: il flusso fu dal Comune all'Umanità, il riflusso è stato dall'Umanità allo Stato Nazionale, e sarà dallo Stato unitario all'Ente locale autonomo. Carlo Cattaneo torna al momento buono e si chiama Gaetano Salvemini; si forma e dura il partito autonomo Sardo, mentre l'offesa fascista riconcilia gli autonomisti trentini con quelli altoatesini; nel vecchio Piemonte si riorganizza un partito liberale che par si voglia mantenere regionale; in Lombardia e in Emilia rinasce un sindacalismo dichiaratamente federalista; il Mezzogiorno d'Italia con gli uomini dell'Associazione del Mezzogiorno e con Don Sturzo, e con la formazione di una sua borghesia, pare si avvii a fare, entro le possibilità storiche del momento presente, quei Comuni e quelle Signorie, che non fece nel tre e nel quattrocento. Quella tal lancetta avanza su quel tal quadrante. "L'Italia della burocrazia" è presso a finire; le darà il colpo di grazia la rivoluzione; la sostituirà "l'Italia delle autonomie locali ".

La vera rivoluzione.

    Ma Ubaldo Formentini, seriamente, mi avverte: "... per riformare la burocrazia non ci vorrebbe meno di una rivoluzione o di una reazione che dir si voglia. Ora, questa reazione non è affatto probabile, e quella che ora chiamasi la Rivoluzione sembra indirizzata a salvare piuttosto che a perdere la costituzione dello Stato" cioè, intendo io, a rafforzare piuttosto che ad abbattere il "governo della burocrazia".

    E qui sarà bene che ci si spieghi su questa benedetta faccenda della "rivoluzione". Quando qui, a proposito di dittatura centrale burocratica e di autonomie locali, si vien fuori con la parola "rivoluzione", non si vuol mica dire che in Italia si possa pensare ad una rivoluzione, la quale abbia per programma di marciar su Roma, occupare i Ministeri, mandar a spasso i direttori generali, e creare d'incanto sedici o diciotto cantoni italiani. Quelli che furono nella storia del Risorgimento nostro moti federali non fecero che accelerare il processo unitario. Non si è visto mai una rivoluzione attuare immediatamente e direttamente le idee dell'uomo o degli uomini che la promossero; si è visto spesso una rivoluzione sortire, o prima o poi, effetti opposti a quelli che i suoi attori se ne ripromettevano.

    La demolizione del "governo burocratico" con l'instaurazione d'un radicale decentramento di tipo federale, e quindi col recupero di tutte le libertà recuperabili, avverrà in Italia, se avverrà, non già direttamente per una rivoluzione fatta da federalisti, ma, indirettamente, per una rivoluzione fatta da unitari. Come dalle reazioni delle parlate locali alla imposizione del latino castrense sono sorti nel mondo neolatino i dialetti locali e particolari, a un tentativo di rivoluzione nazionale unitaria, sorgeranno, e si stabiliranno, dei nuclei di forze locali e particolari, da cui avranno origine i futuri governi locali italiani.





    Se nel luglio del'19 o nel settembre del '20 fosse scoppiata in Italia la rivoluzione sowietista, ferocemente unitaria e accentratrice, il più sicuro risultato di essa sarebbe stata la costituzione in centri autonomi di quelle regioni, in cui più viva fosse stata la reazione al governo della falce e martello. La rivoluzione comunista fallì, per molte ragioni, e specialmente per l'errore commesso dai capi di ignorare il fatto "guerra" e di svalutare il mito "nazione"; appena dichiaratosi il fallimento di quella rivoluzione, immediatamente si rinfocolò quell'altra rivoluzione, la fascistica, a cui, circa quel tempo, venivano aggiungendo nuova esca i reduci da Fiume, ccmquistata da Giolitti. Da allora l'incendio s'è propagato; la rivoluzione s'è affermata; o prima o poi si avrà di essa la risoluzione finale.

    Quale sia per essere codesta risoluzione a noi, qui, ora, meno importa; quel che ci importa assodare è questo: che la rivoluzione fascista, unitaria nei propositi né più né meno di quella comunista, dovrà produrre gli stessi effetti che da quella noi attendevamo: cioè delle reazioni locali, particolari, centrifughe, su cui si inserirà la rivoluzione federalista. La quale sarà la vera rivoluzione, quella che definitivamente abbatterà il governo della burocrazia, a cui la rivoluzione unitaria fascista avrà inspirato un po' di ossigeno vitale. Quella sarà la nostra rivoluzione, 1a rivoluzione liberale.

    Intanto la nostra bisogna sappiamo bene quale sia. Mentre la rivoluzione unitaria è in atto, già si manifestano in atto le varie reazioni ad essa: le abbiamo elencate più sopra, liberalismo piemontese, a cui dovrà aderire quello lombardo, facente capo al Corriere, liberali autonomisti del Trentino riconciliabili con gli Alto-Atesini, neosindacalismo cosidetto d'Annunziano, popolari Sturziani, movimenti autonomi delle isole e del Mezzodì, ecc.; le ulteriori vicende della rivoluzione fascista non mancheranno di suscitarne altre, le quali, necessariamente, avranno in comune con le prime il carattere localistico e centrifugo, che è già bene visibile in quelle. Nostro còmpito sarà di riconoscere questi movimenti antiburocratici e autonomisti d'Italia, dare ad essi coscienza di sé, collegarli, e guidarli nella opposizione al fascismo dilagante e imperante. Nostro còmpito sarà quello di non permettere che la rivoluzione, una volta iniziata, si fermi a metà.

    Reazione del sindacalismo operaio intransigente al politicantismo dei partiti, accentratori e riformisti;

    opposizione del neoliberalismo al collaborazionismo demo-riformista-clerico-fascista;

    reazione della scuola libera tecnica interessata, alla scuola statale laico-retorica, ribattezzata in scuola nazionale;

    rinnovato interesse ai problemi locali, los von Rom politico-amministrativo;

    queste sono le forze che, solo saràn capaci di finire la rivoluzione avviata dal fascismo.

    Suscitar questo forze, infrenarle, coordinarle, guidarle, mentre aspettiamo, o mentre assistiamo alla rivoluzione è e sarà il compito nostro. Lavoro, come vedete, non ne manca.

    Dunque, incominciamo.

    Anzi, continuiamo.


AUGUSTO MONTI.