DELIZIE INDIGENE.

Prima della palingenesi.

    *Il segreto di tanta parte del successo di Mussolini é nella sua intuizione della teatralità italiana.

    Dalle cronache di Napoli: "Poco dopo gli squilli sono ripetuti e questa è la volta buona. Mussolini indossa la camicia nera e reca sulle maniche i distintivi del grado, simili a quelli di generale d'esercito. Egli attraversa il palcoscenico fra un scroscio di applausi e si avanza alla ribalta".

    Mussolini capisce che a Napoli Pulcinella non deve essere un anacronismo.

    * L'adunanza del Consiglio Nazionale a Napoli dimostra la temperatura della maturità politica fascista. Ci vuole proprio tutta l'ingenuità italica per impegnarsi a discutere se la stampa debba o non debba essere esclusa dalle sedute, e tutta l'astuzia di gente che crede di discendere da Machiavelli per mettere innanzi ogni volta che la discussione si fa lunga le necessità del segreto diplomatico!

    Ma pare che ai costumi e alla moralità dei cattolici del Popolo d'Italia il neo fascismo meridionale preferisca addirittura l'insegnamento e l'eredità del buon Campanella: sarebbe un'intenzione legalitaria e democratica da Città del Sole quella che suggerì ai delegati calabresi la reazione contro il mussolinismo per diritto divino. Il formidabile Farinacci resta invece un po' eroicomicamente la lancia spezzata della tradizione gesuitica: "Preferirei ritirare la mozione piuttosto che aprire una discussione sul pensiero di Mussolini. E chi poi si permetterebbe di farlo?".

    Che si debba finire col rimpiangere i loquaci congressi del socialismo ufficiale? Ma forse noi dimentichiamo che i fascisti non sono che una selezione a rovescio del Barnum riformista.

    * Il congresso fascista non ha discusso la reazione di Alberto De Stefani che conteneva affermazioni come queste: "Bisogna avere la forza di agire contro i Sindacati nazionali, quando non rispettino le condizioni da noi poste alla libertà di organizzazione, come si è agito contro i Sindacati russi o bianchi".

    "Desidero anche sentire qual'è il pensiero della direzione del Partito in merito alla questione della unità o della pluralità dei sindacati".

    Invece ha applaudito infantilmente i goffi propositi di Mussolini di educare e proteggere le masse! Chissà che il patriarcale condottiero non abbia creduto di riprendere e di continuare con queste scoperte il sindacalismo soreliano! O forse Agostino Lanzillo ha sciupato col suo direttore il ranno ed il sapone?





    *Chi ha negato che esista una nuova aristocrazia, una nuova cultura politica frutto del fascismo? Anzi si tratta di un movimento organico, complesso che ha le sue radici lontano, nell'ignoto. L'errore è di credere che a questa aristocrazia debbano appartenere uomini come Dino Grandi o Agostino Lanzillo. E' vero che questi ultimi sono solitari, ma non sono poi neanche fascisti sul serio. Roma futurista fu invero il germe da cui nacque la vera intellettualità fascista autentica, quella fu la fatica attraverso cui i cervelli e i muscoli si esercitarono.

    I tipi esemplari? Eccovi Piero Bolzon maestro alle turbe nella questione meridionale: "Il problema meridionale è un tutto sintetico, morale e tecnico. Manca una borghesia produttrice, ma il Mezzogiorno è ricco, non solo in natura ma in denari: solo che la ricchezza è mal distribuita"!

    Piero Bolzon sa anche farsi applaudire frasi come queste: "La Banca internazionale è contro il fascismo ed è contro i lavoratori italiani perché teme il loro meraviglioso avvenire. Ma il fascismo, forte della sua spiritualità, non teme nessuno".

    Che cosa ne dice il nostro amico Prato?

    *Il progettismo è una delle malattie d'infanzia politica. I fascisti risolvono con un ordine del giorno il problema meridionale. Austeramente ha parlato contro la demagogia fascista G. Amendola: "Credo che nessun'azione, per quanto rapida e intensiva, possa far germogliare i miliardi nelle casse dello Stato. Al fascismo non conviene seminare illusioni. Il problema meridionale è problema di miliardi da impiegare in opere pubbliche, ed in impianti sociali. Perciò, bando alle promesse vane, bando alle illusioni!".

    Il giovane ministro è il solo tra i personaggi ufficiali che abbia agito contro il fascismo con coraggio e lealtà. La linea della sua coerenza è impeccabile e vigorosa. G. Amendola rinuncerà al governo piuttosto di piegare come sta piegando Nitti. La sua figura resta incompromessa, solitaria. Crediamo che la sua rinuncia sia anche lungimirante come tutti gli atti di superiore dignità. Dopo la parentesi fascista si ricorderanno le sue qualità di realizzatore.

    *Alcuni elementi indispensabili per il giudizio del fascismo sono messi in luce da un giovane studioso, Mario Grieco: "Il mercato mondiale chiede effettive affermazioni di potestà economica, e reali manifestazioni di potere produttivo. In che modo il fascismo si è preparato a questa necessaria pratica economica, senza della quale, nel mondo contemporaneo e con la civiltà moderna, ogni manifestazione concettuale di prestigio e di orgoglio nazionale resta fatto retorico?





    "Rispondiamo subito: in nessun modo. Il fascismo non ha neppur l'ombra di un programma, o almeno di una veduta economica, nel senso anzidetto. E' il suo punto debole. Ha fatto finora delle affermazioni astratte d'imposizione della razza, di valorizzazione all'estero, ecc.; ma, nato come è per esplicare un'attività contingentemente domestica, anche se profondissima, è naturalmente inadatto, per la sua stessa destinazione storica, a proporsi un problema d'oltre patria; e meno che mai il problema dell'internazionalismo economico, che è fatale nel tempo nostro; nel senso che oggi non esistono mercati nè giri di ricchezze se non mondiali, nè soluzioni domestiche alla crisi economica internazionale".

    Le osservazioni del Grieco sono tanto più significative se si mettono in relazione con i grossi paroloni di Mussolini a proposito della Dalmazia. E non parrà avventata la previsione del Salvemini: che il fascismo è destinato ad aver spezzate le corna nelle questioni di politica estera.

    *Un'altra delizia indigena: del signor Rossoni, segretario delle corporazioni fasciste: "La lotta di classe è stupida nel senso assoluto, e nello stesso senso è stupida la collaborazione di classe: non sono che formule complementare irreali. Quella che è da farsi è la lotta delle capacità, che non è né borghese né proletaria, ma umana e civile".

Dopo la palingenesi.

    *Mussolini ha voluto che l'avvento al ministero coincidesse con il suo esame di cultura generale per l'ammissione agli studi universitari. E' commovente questo amore del "maestro" che sinora aveva visto l'Università solo attraverso i corsi pedagogici di perfezionamento. Mussolini prenderà la laurea coi pieni voti. Il suo ministero passerà alla storia come il ministero di professori di Università. La mentalità degli studentelli discoli del fascismo non esclude, dopo tutti i rumori, la venerazione per l'accademismo dilettantesco. Ma chi crederà alla malleveria prestata dai sigg. accademici Gentile, Tangorra, De Stefani, Rocco?

    *Si è voluto al ministero Thaon di Revel: questo è, per chi intenda, tutto un programma.

    *In certi gesti c'è più che in un trattato di sociologia. Il fascismo non si spiega senza l'amore tutto italiano per codeste esteriorità dilettantesche. Eccovi intanto due, Cincinnato in una sola volta: "Gentile attendeva quando fu chiamato al Governo, ad una voluminosa Storia della filosofia italiana" (dai giornalì).

    Mussolini ha ricevuto il telegramma del gen. Cittadini mentre stava sulle barricate del "Popolo" col fucile in mano: "Chiedo scusa a V. M. di presentarmi in camicia nera, reduce dalla battaglia fortunatamente incruenta che si è dovuta impegnare. Porto a V. M. l'Italia di Vittorio Veneto riconsacrata dalla nuova vittoria e sono il fedele servitore di V. M. ".





    *L'on. Mussolini, interrogato sulla scelta dell'uomo di pensiero che insegna Storia della filosofia all'Università di Roma, ha risposto: "Io sono un cattolico e un ammiratore della forza spirituale. Per questo ho voluto all'istruzione un uomo come Giovanni Gentile" (dai giornali).

    Questo motto spiritoso, questa bella canzonatura ha fatto nascere per un momento in noi la tentazione di riconciliarci con Mussolini.

    *Chi ha sperato in Giolitti ha avuto un'altra volta una delusione. Noi non abbiamo sperato. Giolitti è l'uomo dell'ordinaria amministrazione, è l'uomo delle situazioni parlamentari. Ebbe un solo momento geniale: dopo Pelloux nel '900. Non può essere un grande politico un uomo che resta assente nel 1915 e rinuncia nel 1922.

    *Ci ha amareggiato in questi giorni il vedere con quanta indifferenza siano considerate le libertà più elementari di stampa, di associazione, di parola. Il popolo nostro non le merita, non le sente, perché non le ha conquistate. E' disgustoso che si consideri senza turbamento le violenze fasciste contro il direttore del Lavoro, contro il Paese, il Mondo, e i giornali socialisti e comunisti. Si deve guardare dunque con molta ammirazione la ferma dirittura con cui Albertini ha resistito ad ogni imposizione.

    * Missiroli doveva ristampare domenica sul Secolo l'articolo sulla Monarchia oppure non uscire: così un direttore di giornale, così un uomo come Missiroli deve intendere il suo compito. Invece il Secolo è uscito in regime di censura fascista, proprio mentre Albertini si ribellava sdegnosamente. Devastando il Secolo i nazionalisti (ironia alla storia!) non hanno fatto che le vendette della tradita democrazia.

    * Da cinquant'anni tutti i ministeri sorgono con un programma antiburocratico. L'esempio teorico è stato seguito da Mussolini. Quale pratica seguirà? Dobbiamo aspettare o possiamo rispondere sin d'ora?

    Benito Mussolini ha indicato sin dal primo giorno il suo programma vero; ha distribuito ai suoi fidi i più lauti canonicati (Bianchi, C. Rossi, G. Polverelli, ecc.), ha creato per i sigg. Douhet e Mercanti due speciali commissariati.

    Le sue teorie sullo Stato lo indurranno in perfetta buona fede a fornire a tutto il suo esercito di mezzo milione di squadristi una decorosa sinecura! E questo sarà la palingenesi dell'unità e l'ideale della disciplina in regime fascista.


p. g.