POSTILLE

Il Fascismo e il Nazionalismo francese.

    Leone Daudet, il bollente alfiere dei nazionalisti monarchici francesi, ha scoperto - beato lui! - quale è il supremo scopo e significato del fascismo nostrano. Udite, udite. Secondo la caratteristica mentalità dei Francesi anche colti ed intelligenti, l'orientamento sottinteso di ogni apprezzamento storico e politico è questo:

    La Francia e i suoi destini costituiscono l'apice degli eventi umani (gesta Dei per Francos); in particolare, la lotta tra Cisrenani e Transrenani è, con le sue secolari alternative, come il pendolo che scandisce il ritmo della vita europea: il resto è un di più, è letteratura.

    Premesso, dunque, che l'Italia è una grande nazione e che il nostro popolo ha il senso innato della politica, lodate anche le doti di condottiero di Mussolini, Daudet, avvertendo di porsi dal punto di vista "non del polemista, ma dello storico", argomenta press'a poco così (Action Française, 12 sett.): il trattato russo-tedesco di Rapallo non è tanto un colpo diretto contro la Francia, quanto contro l'Italia. Cicerin ha la nostalgia del bel cielo d'Italia, e i prussiani hanno sempre avuto l'ossessione di Roma. "Nel 1922... l'idea di conquistare Roma, in mancanza di Parigi, è di nuovo l'ossessione degli avidi Germani. Soltanto, se ne parla poco, se non nei cenacoli d'ufficiali intorno ai Dioscuri Hindenburg e Ludendorff... l'Italia ha congedata la maggior parte del suo esercito... Insomma, qualora si giocasse di nuovo la gran carta, la direzione n. l sarebbe, stavolta, Roma, piuttosto che di nuovo Parigi, e Von Seeckt ci penserebbe attivamente, d'accordo con Trotzky". Conclusione: "il fascismo non è soltanto una reazione contro lo spirito di snazionalizzazione rivoluzionaria; è forse, anche a sua insaputa, un mettere in guardia il popolo più politico per natura dell'orbe terracqueo contro una prossima invasione germano-russa".





    Proprio così. Se c'è un popolo che non è fatto per comprendere gli altri popoli, con tutto che non abbia la goffa pesantezza che dimostrano in generale i tedeschi, è proprio il popolo francese. Ciò che il Leopardi con insistenza osservava a proposito dell'incapacità, dei francesi ad avere un'intima conoscenza della lingua e della letteratura d'altre nazioni, e segnatamente dell'inettitudine a fornire traduzioni stilisticamente buone, vale per ogni specie di interpretazioni psicologiche, delle quali la letteraria è semplicemente un caso tipico ed insigne. Quella squisitezza di senso politico che il Daudet si compiace di riconoscerci, che altro è se non un fiuto, una sensibilità speciale a certi "imponderabili", che si ha nel sangue, si sugge col latte e si respira all'ombra delle nostre vecchie mura - frutto di un'esperienza storica secolare, la più ricca del mondo? Proprio a un campione di qual nazionalismo francese che ha tra i suoi fondatori Maurizio Barrès - l'assertore della ascosa, impareggiabile potenza primaria della eredità della Terra e dei Morti cui egli vota quasi un culto naturalistico - dovremmo ricordare tutto ciò? Figurarsi dunque se la mentalità francese, intellettualisticamente lucida, esatta, giuridica, è fatta per capire un confuso movimento quale è il fascismo? Come far capire a un Francese, per esempio, che, al di sotto di un'unica vernice di partito, c'è in concreto un fascismo romagnolo diverso da un fascismo lombardo, un fascismo genovese diverso da un fascismo toscano, e cento altre cose di questa fatta?

    A queste realtà "contingenti", cioè storiche, vive, attuali, il buon Daudet sostituisce uno schema intellettualistico, una formula semplicista ed astratta: fascismo nazionalista, dunque anti-tedesco, dunque alleato della Francia.

    "Je me place ici au point de vue non du polémiste, ma de l'historien". Historien, benissimo.

    Chi furono infatti gl'inventori della tanto graziosa formula; "ad usum Delphini", se non, in altri tempi, i buoni servitori del Re di Francia?

    Dunque il monarchico francese Daudet ha ben ragione di far secondo tradizione l'ufficio suo.

    E anche noi, di ridere discretamente, da popolo "qui a le sens inné de la politique".


L. Emery.