NOTIZIE SUGLI STUDI STORICI

II

SALVEMINI

    Dei caratteri, dei pregi e dei limiti della scuola economico-giuridica, e del posto che essa ebbe ed ha nel quadro generale degli studi storici contemporanei ha già parlato, come si doveva, il Croce; e non è certo mia intenzione riassumere qui malamente, la sua analisi e i suoi giudizi. Il mio compito, in questa rassegna, è del resto non tanto di definire le caratteristiche fondamentali e le tendenze più significative dell'indagine storiografica, quanto piuttosto di rilevare le qualità e le attitudini dei singoli studiosi, al di fuori della corrente o del gruppo, a cui ciascuno di essi appartiene. Accettando come punto di partenza la base ideologica comune a parecchi storici, utile sopratutto in quanto fornisce gli schemi generici per la classificazione dei vari indirizzi culturali, il mio scopo è di porre in luce quelle particolari divergenze che costituiscono la speciale fisionomia di ciascun individuo.

    E quando l'opera storica del Salvemini sia esaminata da questo punto di vista, difficilmente e solo in certi limiti si potranno ancora attribuire ad essi giudizi che il Croce dedica alla scuola economico-giuridica presa nel suo complesso, ma in compenso si riveleranno forse qualità singolari e riposte, che non potevano essere considerate in uno studio più comprensivo e generico.

    Non è opportuno, per esempio, guardar troppo da vicino il marxismo del Salvemini, che forse tuttavia sarà considerato da taluni il centro e la base delle sue ricerche; perché ci accadrebbe molto probabilmente di trovare un insieme di concetti vaghi e non sempre coordinati, anzi talora persino apertamente contradditori, assai più simili alle ideologie democratiche diffuse tra i socialisti riformisti e complicate dai contatti col positivismo, che non al materalismo storico originario. Ché se anzi cerchiamo nei suoi libri un metodo generale e un criterio superiore di valutazione dei fatti storici, cioè in qualche modo - una filosofia direttiva ed implicita, ci troveremo di fronte a un nucleo di idee, che si potrebbero agevolmente riattaccare ai dogmi fondamentali dell'illuminismo, e ai principi politici della rivoluzione francese. Per questo lato anche la sua partecipazione al movimento socialista fu per lui, come del resto per moltissimi altri fra i più noti uomini del partito proletario italiano, più che l'accettazione di una teoria filosofica, l'adesione sentimentale a un ideale di giustizia e di libertà. Con ciò non s'intende affatto di negare ogni possibile influsso su di lui del materialismo storico, in quanto questo contribuì certamente a dargli quella percezione realistica e spregiudicata degli avvenimenti, e ad indirizzare le sue ricerche, almeno in un primo tempo, in un campo prevalentemente economico. E mantenendo ben fermi i limiti che abbiamo esposti, potremo notare in lui anche altre minori influenze - come quella del positivismo, a cui abbiamo già accennato, e che si rivela ad esempio nel suo modo di definire il concetto di storia; e financo quella dell'idealismo, che traspare nelle sue discussioni sul problema scolastico. Allo nello stesso tempo ci sarà facile scorgere che ciascuna di queste ideologie riesce solo a colorire variamente le sue particolari manifestazioni, senza che mai nessuna di esse rivolga, né tanto meno penetri a fondo tramutandosi in criterio direttivo, unico o principale, di ogni suo pensiero ed azione.





    E se vogliamo trovare una base dottrinale salda e costante che possa veramente giustificare, così come la sua attività politica, i suoi interessi storici; dovremo ancora riconoscerla, come abbiamo detto, in quella parte del pensiero illuministico, che diventò, dopo la rivoluzione francese, patrimonio comune e fondamento primo delle ideologie liberali e socialistiche più diffuse. Le sue molte e diverse esperienze, pratiche e colturali, non riuscirono a cancellare, e neppure ad arricchire quella sua fede originaria e popolare. Come si può vedere anche esaminando le qualità esteriori ed appariscenti del suo temperamento di studioso, le quali di solito devono essere assunte come simbolo e parvenza di quelle intime e più difficilmente riconoscibili. La maggiore di queste qualità è l'aspirazione alla chiarezza e precisione dei concetti, dote che si direbbe quasi prettamente francese e che mentre giustifica il singolare valore scientifico dei suoi studi, d'altra parte spiega l'astrattezza e quasi aridità di taluni dei suoi procedimenti.

    Il fatto ch'egli poi riesca spesso a superare l'angustia primitiva dell'impostazione, ed ottenga così risultati insperati e notevolissimi, dimostra soltanto, più che una presunta influenza su di lui delle correnti di coltura contemporanee, la ricchezza imprevedibile delle sue facoltà naturali.

    È naturale però che le idee illuministiche, che formano ancora quasi immutata la filosofia vulgata delle maggioranze, risorgendo in un uomo di studio della fine del sec. XIX e dei primi del XX, assumano aspetti nuovi e caratteristici.

    Quali sono quelli che si possono studiare analiticamente in un suo articolo su La storia considerata come scienza (Rivista italaliana di Sociologia, VI, 1902, P. 17 e segg.). Prescindendo dalla forma delle argomentazioni improntata al positivismo corrente, e del resto puramente esteriore; è facile scoprire qua e là in queste pagine il fondo teorico del Salvemini. Vero è che vi si trova proclamato con eloquenza un concetto del progresso, che si direbbe quasi ispirato allo storicismo romantico: "Da questa convinzione, che il presente non è un sistema di forze recenti dannate a svanire di fronte alle nuovissime forze del futuro, ma in equilibrio instabilissimo, condizionato da tutte le passate evoluzioni psichiche e sociali del genere umano, e condizione alla sua volta di tutti gli svolgimenti futuri - da questa convinzione nasce il fatto che oramai qualunque conoscenza del presente astraesse dalla nozione del passato, riuscirebbe incompleta, deforme e inadeguata ai nostri più complessi bisogni intellettuali".





    Ma se si guarda un po' più a fondo, e si cerca una più concreta definizione di queste parole alquanto vaghe e illusorie; quello che ci appariva bisogno di determinare storicamente il momento presente, si rivelerà più propriamente "speranza di trovare con l'aiuto dei fatti passati la soluzione di acutissimi problemi pratici proiettanti la loro ombra sul futuro", e le ricerche storiche diventeranno "basi indispensabili alla sociologia". E se in questo concetto ritroviamo il criterio di glorificazione estrinseca della storia sussidio e fondamento alle conoscenze antropologiche, comune in tutto il Settecento; un'eco dei desideri d'erudizione di quel secolo si può agevolmente riconoscere nell'altro motivo che ci spinge, secondo il Salvemini, alle ricerche storiche: "la curiosità scientifica di apprendere attraverso la storia la nostra discendenza psichica e sociale". Altre prove, anche più evidenti della derivazione diretta del Salvemini dall'illuminismo popolare e dalle ideologie della rivoluzione francese, si scoprirebbero senza difficoltà, se fosse possibile di studiare anche le dottrine e l'attività politica di lui, indagine che ci è vietata dai limiti ideali e materiali del nostro lavoro. Del resto, nel campo nella storia, la fede illuminista si risolveva in un amore quasi religioso della scienza, in quanto è analisi, precisione, determinazione di concetti. Pare indubbio che oggi le opere di storia più preziose e durature non possano sorgere altrimenti che da un culto siffatto della scienza; almeno fino a quando non penetri nell'animo degli studiosi una diversa certezza dottrinale capace di prender il posto delle fedi, differenti ma tutte fortissime, di Cuoco e di Manzoni, di Colletta e di Balbo.

    E certamente, se dobbiamo credere alla nostra esperienza, tutti i contributi più notevoli della storiografia contemporanea son sorti su questo terreno di fiduciosa adesione e dedizione al sapere, che, attraverso le più dirette, sebbene quasi soltanto incidentali, influenze del positivismo, ritrova i suoi più veri e immediati progenitori nel settecento, secolo dei lumi. Poiché veramente nelle prime opere del Salvemini non sapremmo riconoscere alcun nesso con le vicende politiche presenti; e ci par altresì scarso e quasi soltanto iniziale l'influsso del materialismo storico: e l'interesse precipuo e costante vorremmo trovarlo piuttosto nella definizione esatta e limpida dei termini: volontà di chiarezza che si oppone alla fantasiosa oscurità di alcuni storici romantici: "Se noi cerchiamo di concretare le nostre azioni sulle lotte fra i partiti nei Comuni italiani, dobbiamo confessare che quasi sempre parliamo di Magnati e di Popolani come parleremmo di due quantità algebriche astratte; magnati e popolani sono parole, sotto le quali non vive nessuna idea determinata, concreta... Che cosa vogliono dire queste parole?". Desiderio di veder chiaro, dissipando ogni possibile confusione, coll'intento di raggiungere per quanto si può la certezza obbiettiva (onde la necessità per lo storico di "subordinare sempre le proprie idee ai fatti" e di ricordar " sempre che i suoi preconcetti sono delle semplici ipotesi provvisorie; che egli verso i fatti ha solo dei doveri e i fatti verso lui hanno solo dei diritti": questa è l'origine prima oltre che dello studio su La dignità cavalleresca, di quel bellissimo volume: Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295 che è ancor oggi l'opera a cui meglio può raccomandarsi la sua fama. La lotta politica vi è studiata nei suoi dati più semplici ed elementari -i contrasti economici - onde ne risulta una visione complessiva limpida, organica, aderente al processo dei fatti reali, e perciò stranamente in contrasto con le fantasie metafisiche dei romantici non solo, ma perfino con le indagini morali del suo maestro Villari.





    Questa sua tendenza a risolvere i conflitti storici nelle linee fondamentali, poiché l'aveva portato in questo caso a dare una particolare importanza ai dibattiti economici, fu confusa con un interesse marxistico, o peggio con un'applicazione alle idee e sentimenti e alle vicende sociali del tempo suo; mentre non era altro, nel suo fondamento, che un amore istintivo, e direi popolaresco entusiasmo, per la scienza, dal quale miracolosamente scaturiva una interpretazione.dei fenomeni storici assai più concreta e politica di quella a cui ci abituavano gli scrittori politici di allora.

    Perché quando veramente nei suoi studi storici penetrò un troppo appassionato interesse per le lotte politiche contemporanee, e quasi un'eco delle campagne e propagande agitate dal Salvemini in altra sede; e questo nuovo impulso contingente e qualche po' tendenzioso si sostituì a quello primitivo spregiudicato e scientifico, alla sua storia non ne venne nuova forza, bensì qualche fiacchezza e un reale decadimento. Come è facile vedere, per esempio, nello studio su La Politica estera di F. Crispi. Del resto anche negli altri libri, venuti dopo quelli primi e bellissimi che abbiamo ricordato più sopra, le qualità mentali del Salvemini lascian troppo spesso vedere le lacune e i difetti impliciti in esse: la passione per la chiarezza e la semplicità diventa troppo facile acquiescenza agli schemi, e trascuranza dei dati intuitivi e imprevedibili della storia, in favore di quelli strettamente logici e ragionativi. Abbiamo allora gli Studi storici, il Mazzini, e sopratutto La rivoluzione francese, dalla quale troppo evidentemente esulano la ricchezza fantastica e la complicazione e contraddizione degli avvenimenti, proprie di quei tempi fortunosi, in cui la grandezza della storia si rivela con caratteri di fatalità miracolosa difficile a ridurre in ordinamento logico e conseguente.

    Il che non toglie che anche in questi libri siano visibili i meriti grandi e diversi di Gaetano Salvemini, e sopratutto quella coscienza della verità e desiderio dell'obbiettività, più che rispettosi, entusiastici e ricchissimi di fiducia nelle proprie possibilità illimitate.

    E un omaggio a questo spirito di verità, che il Salvemini ci insegna doversi usare anche con i maestri, vogliono essere, con gli elogi, le limitazioni e le critiche contenute in questo articolo, le quali non valgono del resto in nessun modo a diminuire un'attività, che fu feconda e nobilissima, e che non è giunta ancora al suo termine.


NATALINO SAPEGNO.