POSTILLE

    Più leggo, caro Gobetti, e più mi viene orrore di scrivere: la carta stampata compie il suo ufficio di vaccino contro l'imbrattamento di altra carta.

    Intravedo, come limite di perfezione, un'arte poetica dove, soli arnesi del mestiere, figurerebbero le forbici e la colla. Forse Benedetto Croce non avrebbe scritte così severe parole contro il giornalismo e la... corruzione intellettuale che intacca chi lo pratica se avesse considerato a quali ascetiche disposizioni d'intelletto può condurre il sereno esercizio di questa professione tanto calunniata. Non è vero, doctor Seraphice Missiroli, mio iniziatore a quest'arte forbicicollesca, al quale il giornalismo non ha tolto il gusto della amara verità dell'Ecclesiaste?

    Si stampa tanta roba, oggigiorno, che non c'è più bisogno d'inventar nulla; e, se un bambino coi cento legnetti della sua scatola di costruzioni innalza edifici senza fine, che cosa non si può ricavare dagli infiniti fogli stampati (che minacciamo di sommergere il moderno uomo alfabeta? Balena agli affaticati occhi di questo il miraggio d'un nuovo Nirvana, fatto della contemplazione della tavola alfabetica (il velo di Maia !), nel pensiero che lì è già tutto dato.

    Ma io mi proponevo - dopo quanto si è detto nei numeri scorsi a proposito del Fascismo - di soggiungere qualche osservazione intorno al contegno di questo partito, e specialmente del suo capo, l'on. Mussolini, in occasione della crisi. E, in omaggio alle mie confessioni di poco sopra, lo farò con due o tre citazioni. je prends mon bien où je le trouve.





    Scriveva il Corriere della Sera: "L'On. Mussolini... è il solo che l'altro giorno, a Montecitorio, abbia parlato senza ipocrita confusione. Ma la sua chiarezza è scoraggiante. Quando, dopo due anni quasi di vita del fascismo e dopo la trasformazione - pur troppo soltanto esteriore - di quello che era un movimento in un partito e in un partito antagonistico dei partiti sovversivi, il capo più autorevole dichiara che "il fascismo risolverà prossimamente il suo intimo tormento e dirà se vuol essere un partito legalitario o un partito insurrezionale"; quando personalmente si augura che il fascismo "arrivi a partecipare alla vita dello Stato attraverso una maturazione", riconosce che in due anni la maturazione non è avvenuta e commette insieme l'errore di pensare o di far pensare che questo processo di maturazione dipenda soltanto dalla condotta degli avversari e non anche dalla volontà dall'intelligenza, dall'amor patrio e dalla coscienza delle relatività politiche di coloro che nel fascismo esercitano un maggior potere intellettuale e sentimentale".

    A questa critica è da contrapporre ciò che Romolo Murri, con intenzione apologetica del fascismo, osserva nel Resto del Carlino:

    "È ingiusto chiedersi... perché il fascismo, se sorse come reazione contro il pericolo bolscevico, continua ancora a battagliare e gridare quando quel pericolo non c'è più da un pezzo; il fascismo fu antibolscevismo ed è oggi antisocialismo e può domani essere antipopolarismo solo occasionalmente, per esercitare i muscoli e crescere; esso fu innanzitutto crisi e rifacimento dello Stato nella società italiana... ".

    Romolo Murri ha il solo torto - secondo me - di non andare abbastanza in là e di non affermare che il fascismo ha o può avere ragione in politica, contro i suoi critici più sagaci, per tutto il lievito sentimentale, irrazionale che porta seco: perché, politicamente ed almeno a corta scadenza, e in regime di suffragio universale, posson valere di più le reboanti frasi Gorgoliniane, che le più meditate e penetranti critiche degli studiosi, lavoratori quasi irremissibilmente marginali e sotterranei, veri lombrichi del terreno politico.

    "Il popolo - diceva Proudhon, in una lettera del 1860, citata dal Sorel - può stare con un partito Blanqui, Mazzini o Garibaldi, cioè con un partito nel quale si crede, si cospira, si combatte; non apparterrà mai ad un partito nel quale si ragioni e si pensi".


L. Emery