UOMINI E IDEE

    La polemica (il trafiletto, il pamphet) invece dell'elaborazione di pensiero, la spedizione punitiva al posto della lotta politica, il duello come esaltazione ultima e perfetta dell'attività individuale: ecco le basi e i metodi "nuovi" dell'educazione politica instaurata dai fascisti. Il nuovo sta tutto nell'ottusa disinvoltura con cui si professa l'anacronismo.

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    Esiste una letteratura fascista? Quale ne è l'originalità, il pensiero animatore? Il movimento ha raccolto tutti gli "sbandati": i reduci della canagliesca esperienza futurista, gli esasperati di una biliosa impotenza, gli esuberanti dell'ottimismo: potevano costoro essere dei capi dei pensatori? Anche come gregari tutta la loro originalità si esauriva in un impulso meramente iniziale. La realizzazione perfetta, fotografica di questa mentalità è Il Popolo d'Italia: un diario di lotte, una serie di notazioni di stati d'animo. Il teorico Mussolini non ha mai scritto un libro, le sue geniali intuizioni non hanno mai preso corpo in un'espressione che fosse più che contingente. Il solo a darsi ragione di ciò che fa pare voglia essere Dino Grandi. Il titolo unico a cui i più vivaci aspirano è la fama di forti e paradossali polemisti (Belli, Gorgolini, Carli, Settimelli, ecc.).

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    Le dottrine, o meglio, gli stati d'animo di molti fascisti coincidono con psicologie e dottrine caratteristicamente proprie degli anarchici. C'è nella ribellione una differenza di misura: e sottintesa in quelli l'adesione all'aforisma di Soffici: "Tutta la mia politica: Mi volete per tiranno? Accetto".

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    Pare che Benito Mussolini si stia ingegnando di diventare il Macola della nuova politica Italiana. Ma B. Mussolini è la sintesi di tutte le versatilità e sarà insieme Macola e Cavallotti, ossia il conte di Culagua della reazione.

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    Non si può rimproverare ai fascisti l'uso della violenza se non si vuole ricadere nelle aberrazioni di idillio e di astrattismo degli utopisti e dei democratici. Ma dopo Marx, Sorel, Treitschke e Pareto quale può dirsi in sede ideale la novità di questa che si proclama essenza della teoria fascista?





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    Io non riesco ad immaginarmi Mussolini altrimenti che sotto le spoglie del più audace e torbido condottiero di compagnie di ventura; o talora meglio come il capo primitivo di una selvaggia banda posseduta da un dogmatico terrore che non consente riflessioni. La sua più caratteristica figura si riassume in un anacronismo.

    Gli manca il senso squisitamente moderno dell'ironia, non arriva alla comprensione della storia se non per miti, gli sfugge la finezza critica dell'attività creativa che è dote centrale del grande politico. La sua professione di relativismo non riuscì neppure a sembrare un'agile mistificazione: troppo dominante vi avvertì ognuno la sconcertata ricerca ingenua di un riparo che eludesse l'infantile incertezza e coprisse le malefatte. Coerenza e contraddizioni sono in Mussolini due diversi aspetti di una mentalità politica che non può liberarsi dai vecchi schemi di un moralismo troppo disprezzato per poter essere veramente sostituito. Egli rimane perciò diviso e indeciso tra momenti di una coerenza troppo dogmatica per non riuscire goffa e sfoghi di esuberanza anarchicamente ingiustificati. Ha bisogno di un mondo in cui al condottiero non si chieda di essere un politico. Lottare per una idea, elaborare nella lotta un pensiero, è un.lusso e una seccatura: Mussolini è abbastanza intelligente per piegarvisi, ma gli basterebbe la lotta pura e semplice senza i tormenti della critica moderna. Solo gli ingenui si sono potuti stupire dei suoi recenti amori con la Chiesa cattolica. Nessuno più lontano di Mussolini dallo spirito dello Stato laico e dalla vecchia Destra degli Spaventa. Egli non ha nulla di religioso, sdegna il problema come tale, non sopporta la lotta col dubbio: ha bisogno di una fede per non doverci più pensare, per essere il braccio temporale di una idea trascendente. Avrebbe potuto essere il duce di una Compagnia di Gesù, l'arma di un Pontefice persecutore di eretici, con una sola idea in testa da ripetere e da far entrare "a suon di randellate" nei "crani refrattari". Gli articoli del Popolo d'Italia sono così: ripetizioni di un ordine, dogmi e spesso stereotipie di un monotono disegno: letterariamente hanno qualcosa di militare e molto del catechismo - anche qui si deduce l'opera del boia (o la pugnalata) dalle verità assolute, trascendenti, e cristallizzate. Infatti i tre momenti centrali della vita di Mussolini hanno coinciso con tre momenti risolutivi, entusiastici, dogmatici della storia italiana: il messianismo socialista, l'apocalissi anti-tedesca, la palingenesi fascista: chi vorrà essere così ottuso da ricercare in questi episodi uno sviluppo, e delle ragioni ideali di progresso? Perché vedere un problema politico dove si tratta di un fenomeno di psicologia del successo e di una nuova arte economica delle idee? Sarà legittimo studiare la filosofia politica di Corrado Wolfort, di Giovanni Hawkwood o di Francesco Bussone?





    La storia giudicherà con indulgenza l'anacronismo di Mussolini che nonostante il suo orgoglio chiuso di signorotto incompiuto è stato tanto umile da inchinarlesi: garibaldino in ritardo come Crispi, ma forse meno cocciuto di lui e per il suo convinto arrivismo più duttile: rozzo, povero di idee è riuscito talvolta, per la robustezza e la disinvoltura, l'ostetrico della storia.

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    Il fascismo non può diventare partito di governo per le stesse ragioni, per cui non ha potuto diventarlo il "garibaldinismo". La tormentosa crisi presente di Mussolini si riassume, in un problema personale: distruggere l'eredità fascista per diventare Uomo di Stato; si tratta dello stesso processo e della stessa crisi che han fatto di Crispi il tribuno fallito della Monarchia Sabauda.

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    Si comprende benissimo come l'aristocratica finezza di Soffici, la dignitosa misura spirituale che lo fa aperto a tutti i problemi di libertà e di creazione lo conducano a una violenta posizione polemica contro la grettezza del nostro socialismo riformista e utilitario, meschino e parassita. Ma non si capisce come possa aderire al fascismo chi ha scritto: "solo allorquando un pensiero politico profondo sarà espresso e bandito, il quale corrisponda al carattere vero essenziale della nostra razza, sarà possibile incamminarci verso una mèta con fede di raggiungerla. Ora, questo corpo d'idee, questa dottrina indispensabile; questa raffigurazione ideale, in altri termini, di un'Italia come la vuole il destino, non è forse così inimmaginabile come parrebbe di dover credere. Sol che si voglia esser seri e sinceri, e ce la troveremo forse davanti, almeno sbozzata nei suoi elementi tradizionali. Io per me la vedo che sorge dal pensiero di Dante, di Machiavelli, del Mazzini, di Oriani anche...." (Rete Mediterranea, pag. 174).

    Ma forse il fascismo di Soffici, dopo Le Moine Bourreau è semplicemente il nuovo sfogo romantico di Don Chisciotte in Toscana. E allora per il nostro amato Soffici bisognerà ripetere con gioia, non il processo di Boine, ma l'apologia di Papini o l'elogio di Prezzolini; non si tratta di relativismo o di atteggiamenti mussoliniani, ma di una franca cinica raffinatezza politica del vecchio e amabile Sacchetti.


Il critico.