LETTURE POLITICHE

    Mentre l'Inghilterra e l'Italia, per ragioni economiche diversissime ma per ragioni geografiche simili possono opporsi ad ogni egemonia territoriale, la Francia in tutta la sua storia presenta lo spettacolo d'una nazione che addossata territorialmente ad altre miranti a svolgere un loro programma e compito imperialistico, non ha per questa stessa sua contiguità, altro mezzo di difendersi che cercare di sostituire la sua alle altrui egemonie. Questa è, ridotta un po' semplicisticamente, una delle più profonde ragioni della tradizionale politica francese, ed è, bisogna rilevarlo, in questa politica e soltanto in essa che la Francia trova le ragioni della sua esistenza; senza una posizione di predominio cadrebbe essa stessa sotto un'egemonia e, per un paese come quello, che, per la sua conformazione economica, diverrebbe campo di sfruttamento per l'egemone, una tale situazione significherebbe un disastroso abbassamento della sua situazione anche, e sopratutto, economica.

    Questa era la politica tradizionale della Francia, e, diciamolo subito, lo é ancora e lo sarà finché possibile; ma tuttavia i negoziatori francesi che presero parte alla redazione del trattato di Versailles si trovavano in una situazione particolarmente difficile: tutti ricordano come, vinta la guerra coll'aiuto, se non per l'aiuto, degli anglo-sassoni ed americani, la Francia si presentasse alla conferenza in pericolo di perdere la sua indipendenza di fronte ai suoi alleati di guerra. L'aiuto necessariamente accettato poteva costarle l'indipendenza, o quantomeno poteva costringerla a rinunziare alla sua posizione storica per farla divenire un satellite dell'impero britannico; d'altra parte rifiutare la posizione creatasi e romperla cogli alleati poteva significare, al tappeto verde, una tardiva vittoria della Germania. In questa situazione la politica di Clemenceau lungi dall'essere in qualunque modo sbagliata, era l'unica politica che permettesse alla Francia di conservare il suo posto nel mondo: politica di distruzione, ebbe a definirla il Nitti nella sua "Europa senza pace" e quindi, come tale, politica che avrebbe dovuto essere combattuta ben decisamente dalla nostra delegazione, una politica coerente al programma egemonistico che sempre si impone alla Francia. Infatti la Francia imponendo alla Germania delle inverosimili indennità, delle indennità così gravi da obbligarla a lavorare per più decenni per i vincitori, mutilandola nelle sue provincie più importanti, limitandole ed anzi annullandole gli armamenti, realizzando infine la "pace Cartaginese" riusciva a dover chiedere ai suoi alleati soltanto la solidarietà necessaria per l'esecuzione del trattato, ma poi, creandosi un sistema di piccoli Stati militari suoi alleati (Belgio - Polonia e, benché meno decisamente, tutta la Piccola Intesa o parte di essa), ed essendo lei stessa la prima potenza militare d'Europa avrebbe potuto agevolmente costituirsi una nuova egemonia territoriale come coronamento della vittoria. Un formidabile protezionismo la difendeva dall'invasione dei prodotti tedeschi con cui ci sarebbe dovuto provvedere al pagamento delle indennità e li avrebbe riversati su altri paesi economicamente impossibilitati a difendersene, come l'Italia; il sistema politico che così si impiantava avrebbe durato quanto avrebbe potuto, ma doveva importare sopratutto l'impiantarlo, poiché non era tanto facile prevedere cosa avrebbe seguito a questo predominio Francese.





    Questo era il piano di Clemeneceau, e questo piano, lo sappiamo tutti, fu realizzato in massima parte, e tenacemente difeso, nelle sue linee sostanziali da tutti i posteriori Governi francesi: oggi Poincaré, che minaccia l'azione militare francese, anche isolata, per la realizzazione e il mantenimento del trattato di Versailles è perfettamente coerente alla politica tradizionale francese, politica che porta come conseguenza che oggi la Francia preferisce la rottura dell'alleanza inglese alla revisione del trattato di Versailles, e cammina incontro alla rottura coscientemente, in base alla sua convinzione che è meglio per lei contare soltanto sulla sua potenza militare e su quella dei suoi minori alleati o Stati vassalli, anziché continuare ad attendere l'ipotetico od impossibile aiuto inglese. Impossibile poiché l'Inghilterra, che pure per varie note ragioni aderì al trattato di Versailles, oggi, minacciata, fra l'altro, dalla eccessiva concorrenza commerciale dei tedeschi, costretti ad un enorme sforzo di produzione per pagare le indennità, e timorosa della creazione di pericolosi monopoli industriali francesi sul continente, non può più assolutamente continuare ad appoggiare la Francia, come del resto, per le stesse ragioni, dobbiamo far noi italiani.

    Colla politica di Clemenceau e colla continuazione d'essa che dobbiamo oggi al Poincaré la Francia, combattendo la possibilità d'un risveglio tedesco sia per forze proprie della Germania, sia per l'alleanza con la Russia rinascente, è riuscita ad ottenere di non passare nella condizione, per lei più che per ogni altra rovinosa, di Stato vassallo dell'Inghilterra, e nello stesso tempo, di evitare che la Germania uscisse tanto in buone condizioni dalla guerra da doverla di nuovo temere domani. Tutti i nostri interessi ci consigliano, anzi ci impongono di opporci con ogni mezzo alla politica egemonistica della Francia: è però necessario che in Italia si finisca di fraintendere le ragioni dell'atteggiamento della nostra vicina e di attribuirlo alla cecità di alcuni uomini od alla prepotenza di alcuni gruppi. Bisogna che in Italia si capisca che se gli scopi di guerra francesi hanno potuto coincidere con quelli italiani, la politica di pace di due paesi è antitetica; ma bisogna pure che si veda come le direttive del Clemenceau e del Poincaré si imponevano e si impongono tutt'ora alla Francia se essa non vuol decadere al livello di Stato vassallo degli inglesi o si vuol evitare di trovarsi di nuovo di fronte al pericolo tedesco fra un certo numero di anni: tutte cose che, naturalmente, non rendono meno necessaria una recisa opposizione italiana al tentativo egemonistico francese (capire non vuol dire difendere).

    Ma fra la deminutio capitis e la politica clemencista della plutocrazia e del militarismo non v'era, per avventura, un'altra via per la Francia? Una via che, pur rispettando la necessità francese d'una politica egemonistica, partendo insomma dallo stesso punto di partenza di Clemenceau giungesse a conclusioni opposte alle sue? A. J. Caillaux sembra vi sia, e tenta indicarla in un suo recentissimo libro (J. Caillaux, Où va la France? Où va l'Europe?, Paris, Editions de la Sirene, 1922).





    Caillaux, il cui pensiero politico ha subito, nella segregazione cui é condannato, gli effetti d'una troppo prolungata lontananza dalla vita politica e l'influenza del pubblicismo inglese, caratterizzato principalmente dal noto libro di J. M. Keines: The economic consequences of the peace, osserva come la finanza e tutta la politica Francese del dopo guerra sia basata sul principio "L'Allemagne paiera tout"; come nelle messianiche attese di indennità la Francia non lavori sufficientemente, paghi imposte irragionevoli o troppo lievi, si chiuda in una barriera protezionista che ne soffoca le energie produttive; come, prigionieri delle promesse fatte, i governanti francesi abbiano imposto alla Germania più di quanto potesse pagare di modo che la Francia, per aver caricate al vinto anche le spese delle pensioni sue e dei suoi alleati, rischierà di perdere una parte delle somme necessarie alla ricostruzione di paesi invasi.

    Tutte constatazioni queste la cui origine è facile riconoscere nella meditazione di quanto si scrisse dal pubblicismo britannico: accanto ad alcune di esse si potrebbe scrivere il nome del Keynes ed il Caillaux infatti talvolta lo scrive. Ma non si limita egli però a diffondere quel pensiero in Francia, coprendolo della notorietà del suo nome, come fece, date anche le condizioni diverse, troppo spesso il nostro Nitti: il Caillaux, per ciò che riguarda la politica estera del suo paese, ritiene che esso avrebbe dovuto farsi iniziatore d'una proposta di sistemazione finanziaria siffatta: "reclamare l'estesione ai vincitori di una clausola di cui i vinti erano autorizzati a valersi ", cioè non indennità di guerra di sorta, e dato che Francia, Italia, Russia, Belgio, Serbia sono debitrici fra loro e rispetto all'Inghilterra e Stati Uniti d'America, tutte queste nazioni dovrebbero poter cedere, agli alleati loro creditori, le loro ragioni di credito verso la Germania sino alla concorrenza del loro debito: per es., l'Italia che deve 875 milioni-oro alla Francia dovrebbe cederle ragioni di credito-indennità tedesche equivalenti, annullando così il suo debito. A questo modo, osserva il Caillaux, anche la Germania ne avrebbe giovamento poiché "i popoli come gli uomini hanno un vantaggio nel sostituire a creditori poveri dei creditori ricchi che possono concedere rinvii o riduzioni"; ma in definitiva si otterrebbe che la Francia si libererebbe dai pesanti debiti cogli anglosassoni ed americani, senza diminuire poi di tanto le sue ragioni di credito verso la Germania, poiché con nuovi titoli verso di essa sostituirebbe i titoli che aveva, di qualità spesso assai peggiore, verso i suoi alleati di guerra. Ma non solo. Siccome crede che degli 80-85 miliardi oro che la Germania dovrebbe pagare alla Francia questa non potrà ottenerne che 30 o 40, una parte del soprappiù dovrebbe essere impiegata non solo a liberarsi, come si disse, dai crediti inglesi ed americani, ma a fornire ad altri popoli europei mezzi di rimborsi per gli stessi crediti. Così l'Italia o la Serbia potrebbero pagare l'America con obbligazioni tedesche verso la Francia che questa cederebbe, trasformandosi così da debitori dell'America in debitori della Francia: avrebbero allora un creditore sul nostro continente - la Francia - invece dì averlo al di là dei mari.

    Questa è la "grande politique nationale" che vorrebbe Caillaux: all'egemonia militare e territoriale del Clemenceau e del Poincaré, alla tradizionale politica imperialistica, egli, imbevuto com'è, forse specialmente grazie alla segregazione degli ultimi anni, di pensiero politico anglosassone, oppone la concezione d'una Francia produttrice, avversaria dei trust che sono, in Europa, molto sovente forme di predominio economico tedesco sulle altre nazioni, creditrice tutte o quasi tutte le nazioni del nostro continente; concezione non meno nazionalistica dell'altra, radicalmente opposta ad ogni tentativo di fare della Francia stato vassallo dell'Inghilterra, ma che tende a crearle una egemonia economica continentale.





    Questa è, già lo si disse, una concezione di stampo britannico. Infatti l'Inghilterra, che compie la sua missione imperialistica in altri continenti e che in essi affonda le radici della sua vita, può svolgere un piano di lenta e progressiva conquista poiché il muro azzurro che la difende le permette di fronteggiare le aggressioni, e l'alleanza delle nazioni avversarie a questa o quella egemonia le permette di usufruire delle difese altrui, tutt'al più aiutandole. Ma può la Francia fare altrettanto?

    Caillaux forse non vede abbastanza come una egemonia economica francese ponga quel paese nel rischio continuo d'una rivolta delle nazioni che vi dovrebbe sottostare, rivolta di cui essa, se non avesse ottenuta una egemonia territoriale dovrebbe essere la vittima.

    La Francia del Caillaux, la Francia dell'egemonia economica artificiale, se forse potrebbe costituire una transitoria fonte di maggior benessere per l'Europa, sarebbe certamente più pericolosa per la pace, non essendo in grado di imporla colla spada ed essendo certamente non meno pesante, benché meno appariscente e meno difesa della Francia dell'egemonia territoriale.

    Questa è in fondo la sostanza della concezione di politica estera del Caillaux: concezione nazionalistica ma però antistorica e fuori della realtà: concezione che può essere simpatica come un serio tentativo di richiamare la Francia ad una maggior saviezza nella finanza e nell'economia, ad una minore megalomania; ma però astratta, incapace di comprendere la tragica contraddizione in cui si dibatte questo paese. Legata infatti da tradizioni, da interessi e da questioni sia di economia sia di prestigio a dover continuare a svolgere una politica di egemonia militare consuma e sciupa con prodigalità pazzesca le sue forze non più molto grandi e si isola, ormai, dai maggiori dei suoi alleati di guerra, America, Inghilterra ed Italia che le debbono essere ostili, e ciò perché fuori dall'egemonia territoriale, non essendo possibile il sistema specioso ma impossibile del Caillaux le sarebbe aperta altra via che di passare al rango di nazione di second'ordine, per cui essa non è ancora matura.

    La politica estera francese, malgrado i nobili sforzi di intelligenza come quelli del Caillaux, ha una sua logica ferrea che determina la politica

    Clemencista che si fa tutt'oggi e si continuerà a fare finché la Francia sarà in grado di tenere il rango di grande potenza che per lei porta come necessaria conseguenza quella disastrosa linea di azione a cui non può rinunziare.


MARIO ATTILIO LEVI