L'AGRICOLTURA PIEMONTESE

II.

Dal 1780 all'epoca dell'inchiesta agraria.

     1. - Sulle condizioni dell'agricoltura in Piemonte alla metà del secolo XVIII ampiamente fu scritto, ed il risultato delle indagini fatte e riesumate per quell'epoca costituisce un ottimo punto di partenza per lo studio di epoche successive. Tuttavia, per queste, molti elementi, soprattutto statistici, mancano o sono difettosi, dimodoché gli studi relativi, per quanto diligentemente condotti, non potrebbero essere esaurienti se non per qualche località.

     Con tutto ciò si può ritenere che i dati di cui disponiamo ci consentono di farci un'idea abbastanza chiara dello svolgimento dell'agricoltura piemontese durante il periodo indicato, almeno nelle sue massime linee.

     È noto che intorno al 1750 l'agricoltura nei varii paesi si trovava in condizioni non molto progredite rispetto a quelle di parecchi secoli innanzi. Gli strumenti erano rudimentali, mille pregiudizi, le traccie dei quali sono tuttora numerose, erano le sole regole che presiedevano alle colture: le scarse comunicazioni non potevano lasciar lungo ad un commercio molto attivo e quindi l'agricoltura, volta esclusivamente a soddisfare le esigenze del consumo familiare e locale, non poteva indirizzarsi a nessuna ben netta specializzazione. Solo nella viticoltura un certo progresso era avvenuto; e, nella zootecnica, solo l'allevamento dei cavalli, per le necessità belliche, era molto curato.

     Assai misere erano in generale le condizioni della popolazione rurale. Venendo in particolare ad esaminare lo stato dell'agricoltura piemontese troviamo che la produttività media delle terre adibite alla cultura dei cereali è piuttosto bassa, raggiungendo soltanto nei luoghi più favoriti il sestuplo della semente, ma rimanendo abitualmente ad un livello assai inferiore; che la viticoltura, notevolmente estesa anche in pianura nella forma di alleni, era ancora, nel suo complesso, in uno stadio piuttosto empirico, lontana dalla perfezione mirabile raggiunta nel secolo successivo; che la cultura dei prati non si presentava neppure essa molto più progredita delle altre culture, salvo nei luoghi favoriti dall'irrigazione, specialmente nel territorio fra Torino e Cuneo; che l'allevamento del bestiame, non sufficientemente proporzionato alle necessità della coltivazione, e soggetto all'influenza della guerra, e di frequenti epizoozie, era principalmente basato sul pascolo e sull'alimentazione con foraggi inferiori. A questo punto giova ricordare che allora era diffusissima l'idea della necessità di conservare accanto ai terreni coltivi in ogni territorio una conveniente estensione di terre lasciate a gerbido per il vago pascolo.

     Fra quindi grande la superficie non sottoposta a cultura.

     Tenendo conto di tutte queste circostanze sapremo meglio valutare l'asserzione del Baretti che affermava non esservi in Europa tranne in qualcuna delle migliori provincie Inglesi, terre più fertili e meglio coltivate delle Piemontesi. Diremo cioè che, date le condizioni in cui si trovava l'agricoltura in Europa, il Piemonte pur nelle sue forme arretrate di coltivazione, si trovava tra i primi paesi. Si sa, del resto che "l'irrigazione del territorio era in ogni sua parte assai estesa, e, fatta la ragione dei tempi, appariva tra le più perfezionate del continente" (Prato)





     E poi afferma il Balbo che le terre del Piemonte non erano cosi fertili come si veniva dicendo, e che l'altezza del quantitativo di frutti ottenuti si doveva al notevole impiego di capitali, alla buona qualità di strumenti che si usavano, alle buone attitudini del bestiame al lavoro, se non ad altri prodotti, al conveniente frazionamento delle proprietà a seconda delle necessità delle culture, non essere quindi impiegati il maggior prodotto e le migliori condizioni della nostra agricoltura.

     La piccola proprietà allora già largamente diffusa, la pratica generale della mezzadria tradizionalmente conservata nella maggior parte delle antiche provincie, la non grave pressione tributaria e degli oneri ecclesiastici e feudali concorrevano a far sì che il tenor medio di esistenza dei contadini piemontesi non era, rispetto ai generi di prima necessità, di molto inferiore all'attuale, e in generale poteva considerarsi se non agiato, almeno assai diverso dal grado di miseria che alcuni autori si compiacquero di descrivere.

     Ma nella seconda metà del secolo XVIII una grande trasformazione, che troviamo già iniziata nel 1750, doveva aver luogo nei sistemi di coltivazione in Piemonte. "L'ascendere continuo dei prezzi dei principali prodotti dovuti non meno al moltiplicarsi della popolazione che a cause monetarie generali, unitamente agli innegabili progressi realizzati, dall'industria agraria, erano a poco a poco venuti elevando la rendita media dei fondi, che, mantenendo a base di calcolo la metà del valore dei prodotti, ammontava ora a lire italiane 17,58 per giornata di terreno, se allodiale, 12,48 se ecclesiastico, 9,79 se feudale" (Prato) mentre agli inizii del secolo ammontava a 10,05 per i terreni allodiali e 8,48 per i feudali. Ora l'aumentato rendimento delle intraprese agrarie da un lato e il ribassato saggio dell'interesse medio nel paese dall'altro, affrettarono "la formazione di una numerosa classe di speculatori intermedi, forniti di sufficienti capitali e disposti a farsi attivi strumenti di una totale rivoluzione nei metodi dell'agricoltura tradizionale assumendone a gara l'iniziativa ed i rischi" (Prato).

     In queste condizioni e circostanze, la vecchia aristocrazia piemontese già usa a vivere molto in contatto dei coltivatori delle sue terre, ai quali si associava con sistemi fondati sulla mezzadria, attratta dalla aspettativa di cariche ed onori nella capitale, alla Corte del nuovo Re Vittorio Amedeo III, e spinta dall'esempio della fastosa aristocrazia lombarda proprietaria delle terre recentemente aggregate allo Stato, nella parte orientale del regno, e che lasciava in affitto per vistosi canoni fissi a conduttori imprenditori, si lasciò in breve trarre a forme di conduzione meno patriarcale ma molto più proficue: all'affittamento delle terre. "S'infrange da allora irrimediabilmente la stabilità di equilibrio sociale che le vecchie forme di ripartizione assicuravano. La concorrenza accanita dei conduttori di fondi spinge ben presto la rendita al suo estremo limite commerciale, ma si ripercuote inesorabilmente sulle sorti dei coltivatori spogliati a poco a poco dei contratti di partecipanza e trasformati in salariati, le cui mercedi nominali duramente risentono l'influenza del progressivo rincaro dei prodotti" (Prato).

     Il movimento indicato non era una particolare manifestazione della regione subalpina, ne troviamo di analoghe in altre regioni italiane e in gran parte dei paesi di Europa; ciascuno adattato alle forme dell'ambiente in cui avviene, e tutti rispondono a quel vento di innovazione e di riforma che in ogni aspetto dell'attività umana spira durante il secolo XVIII.

     Il sistema degli affittamenti, interessando potentemente il conduttore a trarre il massimo utile dall'impresa agricola, rese dure le condizioni della popolazione rurale trasformando i mezzadri in salariati, sfruttando più profondamente la mano d'opera impiegata, passando dal salario in natura al salario in denaro, dati i prezzi sempre crescenti dei prodotti, distruggendo le piccole proprietà di quei coloni che sperarono di reggere alle nuove condizioni, e furono poi costretti a vendere i loro terreni per disfarsi dei debiti contratti a causa delle onerose imposizioni.





     Tutto ciò diede luogo alla formazione di una classe di avventizi sempre più numerosa e sempre più misera il cui flutto andò in gran parte riversandosi nelle città a costituire spesso un ceto di mendicanti e di infima plebe.

     Della realtà di così tristi conseguenze sociali del nuovo sistema non c'è da dubitare.

     Ed esse furono fatte presenti al re in una lamentazione popolana anonima che reca l'indirizzo del 22 dicembre 1792. Ne conseguì un'inchiesta ufficiale nelle varie provincie, da cui uscì precisata 1'importanza del fenomeno, e in cui i vari funzionari fra le altre, raccolsero 1'accusa di perniciosi effetti che esso avrebbe esercitati sull'agricoltura. In realtà il sistema degli affitti, ormai, salvo che in collina, generalmente esteso, assumeva, non di rado, la forma di un'intermediazione parassitaria eseguita da speculatori che pagavano un canone fisso ai proprietari e poi subaffittavano il terreno in piccoli lotti ai contadini a prezzi tirannici senza preoccuparsi della coltivazione. Ma più spesso i conduttori si occupavano direttamente della coltivazione dei fondi e si può ritenere che, intelligenti e forniti di capitali, non fossero restii alle utili innovazioni. Basterà notare che dal 1762 al 1792 la produzione del grano aumentò nella proporzione di 1 a 1 1/2 e 1a produzione agraria complessiva in quella di 1 a 1 8/4 il che è rilevante in un "paese da tanti secoli notissimo per buone pratiche di coltura, e per numerosa popolazione".

     Quanto alla crisi del bestiame che allora imperversava e di cui si accusava pure gli imprenditori agrari, che avrebbero fatta scomparire per i coltivatori la convenienza all'allevamento con troppo onerose imposizioni sul godimento dei prati, c'è da notare che, pur prescindendo dal maggiore consumo di foraggi che avrebbero fatto i più numerosi cavalli di lusso della nobiltà ormai definitivamente inurbata, non tale del resto, io credo, da determinare effetti rosi gravi quali sono quelli ad esso attribuiti da numerosi scrittori e funzionari contemporanei, alcune importanti circostanze erano sopravvenute; grande dissodamento di terreni, il che, se ricordiamo quanto il pascolo in ogni località contribuisse all'alimentazione del bestiame, deve avere momentaneamente, nel passaggio a più razionali forme di sfruttamento, contribuito alla crisi, il consumo notevolmente aumentato di carne bovina in quest'epoca, 1'epizoozia che scoppia e si diffonde a partire dal 1792.

     Che d'altra parte questi anni segnassero il periodo di un forte risveglio agricolo basterebbe a dimostrarlo la larga fioritura di memorie accademiche e di trattati sull'agricoltura e la traduzione di trattati esteri, che negli anni medesimi si ebbe, e non si può certo credere che nessuna favorevole eco dovesse questo fatto avere nelle campagne, pur senza ritenere che i consigli degli studiosi avessero largo seguito.

     Nota infatti il Gioberti, oltre il già citato abbandono della pratica dei riposi, il progresso nella coltura dei foraggi e quello grandissimo nella viticoltura, con rinnovamento dei vecchi vitigni e introduzione, per innesto, di vitigni nuovi e pregiati.





     Del resto il risveglio è potente in gran parte di Europa e il Piemonte non fa che partecipare ad un fenomeno che è generale. Siamo all'epoca in cui il nome Bakewell è già diventato illustre per i miglioramenti operati nei suoi greggi mediante la selezione; Colling inizia il miglioramento delle razze bovine inglesi, e Daubenton e Turgot promuovono l'introduzione di merinos dalla Spagna ed il perfezionamento delle razze francesi che doveva essere completo mezzo secolo dopo, mentre il grande Lavoisier pone le basi dello studio scientifico dell'agricoltura.

     Ritornando al nostro tema degli affittamenti diremo che il Governo, raccolte le lagnanze delle popolazioni, dopo l'ordinata inchiesta, colpì dapprima con speciale imposta le locazioni (ciò tuttavia, quasi esclusivamente in vista di scopi fiscali obbedendo alle necessità delle finanze ormai stremate della guerra) e poi, dato il grave periodo che il paese attraversava, e per assicurarsi ad ogni costo la fedeltà dei contadini, con l'editto 19 luglio 1797 pose limitazioni e moralità restrittive ai contratti d'affitto stabilendo non poter essi per ogni imprenditore eccedere la somma di L. 5000 e di L. 10000 per i terreni coltivati a riso. "L'invasione straniera, che pochi mesi dopo venne a privare il Piemonte della sua vita autonoma, ci toglie di constatare quali siano stati gli effetti pratici dell'editto, e fino a qual punto esso abbia avuto effettiva esecuzione.

     "Durante questo travagliato periodo d'altronde l'instabilità degli ordinamenti pubblici, le continue minaccie alla proprietà ed alla sicurezza dei raccolti, le requisizioni, le carestie, gli aumenti di mercedi allontanarono dalla speculazione coloro che erano soliti a concorrere agli affittamenti, e per tal modo quasi tutti i proprietari, comprese le maggiori opere pie che erano state le prime a locare i loro stabili, dovettero acconciarsi nuovamente alla coltivazione diretta od alla mezzadria" (Prato).


     2. - Il quinquennio 1797-1801 fu un periodo tristissimo per l'agricoltura piemontese.

     L'irruzione francese, la successiva invasione austro - russa, la nuova calata dei francesi, tutte accompagnate da movimenti sovversivi di borghesia giacobina, e reazioni delle popolazioni rurali fedeli alla vecchia monarchia, 1e sommosse delle plebi esacerbate dalla miseria e dalla fame devono aver avuto una rovinosa ripercussione sull'agricoltura.

     "Tutti saccheggiavano, rubavano, imponevano contribuzioni, consumavano le risorse del paese" (Segre). A tutto ciò, alla fame che faceva vittime nelle terre più povere, si aggiunga la recrudescenza della epizoozia dopo l'invasione austro-russa, che faceva larga distruzione di bovini.

     "La pace di Lunéville mise termine a questo stato di cose e per circa tredici anni il Piemonte godette d'un'amministrazione regolare" (Segre). Le vie di comunicazione del Moncenisio, del Monginevro, del Colle di Tenda tra la Francia ed il Piemonte, favorirono la circolazione dei prodotti, e si può ritenere che i nuovi sbocchi agevolassero il progresso dell'agricoltura dandole modo di rimarginare le piaghe recenti, sebbene l'epidemia infuriasse sui bachi da seta e la già avviata distruzione del patrimonio forestale ricevesse nuovi e, più forti impulsi sotto la dominazione francese.





     3. - Scarsi dati abbiamo intorno all'agricoltura piemontese durante i regni di Vittorio Emanuele I e di Carlo Felice. Certo è che la pazza politica commerciale dei primi anni del restituito regno, e lo zelo reazionario degli ultra, i quali, qui come in Francia, soffocavano ogni buona disposizione del Re, contribuendo a richiamare in vigore istituzioni ormai sorpassate ed impedirne il sorgere di nuove più rispondenti ai nuovi bisogni, non devono essere state molto propizii. al progresso dell'agricoltura subalpina. Basti ricordare, pei primi tempi, il divieto di circolazione dei prodotti agricoli fra il Piemonte e la Savoia, e il mantenimento delle barriere doganali verso la Liguria; provvedimenti che danneggiavano i coltivatori da una parte e aggravavano gli effetti della carestia dall'altra. Fu pure richiamato a breve vita l'editto sugli affittamenti con disposizioni anche più vessatorie di quelle già emanate, giustificandone alcune applicazioni iniquissime colle più sofistiche argomentazioni. Valorosi tentativi si prepararono, con Prospero Balbo, per il paesaggio a forme più libere e più favorevoli al progresso economico del Paese, ma essi andarono falliti coi moti del 21, e la nuova reazione imperante sotto Carlo Felice ripiombò lo stato nella fissità dei primi anni della restaurazione. Si può nondimeno ritenere che il progressivo dissodamento di incolti privati fosse proseguito; e, quanto ad alcuni falliti tentativi in questa opera è da credere siano avvenuti nel Canavese e nel Biellese per terreni refrattari a proficua coltivazione. Ma l'annessione della Liguria, orientando i traffici verso Savona e Genova, anche mercè la costruzione di nuove e solide strade, aveva in provincia di Cuneo cagionato un rinvilimento dei prezzi delle derrate e dei bestiami, rendendo meno prospere le condizioni agrarie di quella località. Si imponeva quindi l'apertura di uno sbocco verso il mercato francese.


     4. - Il periodo di feconda attività economica che caratterizza il regno di Carlo Alberto è stato recentemente illustrato con grande ampiezza dal Prato, ed io non farò altro che spigolare qua e là nell'opera altrui. Ricorderà l'importante sviluppo della viabilità, grandissimo fattore di progresso agricolo, le cure particolari che ricevette l'irrigazione della zona orientale dello Stato, dove in dieci anni ne fu raddoppiata l'intensità; i numerosi trattati di commercio conclusi; il passaggio ad una politica doganale liberale o almeno ad un sistema di protezione assai mite collo stesso consenso di non pochi grandi proprietari, che nessun timore avevano di esserne danneggiati: politica intesa ad aumentare le esportazioni e favorire in ogni modo il commercio coll'estero, perché "fra le cause che contribuivano a rallentare il progresso dell'agricoltura piemontese, stava certo in prima linea l'insufficienza delle esportazioni, che manteneva basso il prezzo dei migliori prodotti e particolarmente dei bestiami e del vino" (Prato).

     Quanto al vino il conflitto doganale coll'Austria che ne impedì l'entrata in Lombardia, principale mercato per il Piemonte, ben lungi dallo scoraggiare i produttori, assai danneggiati dall'improvvisa e forte elevazione dei dazi, fu di stimolo ad introdurre miglioramenti nella fabbricazione per aumentare la conservazione e facilitare il trasporto dei prodotto sui mari, e le più vive energie concorsero alla costituzione di una società enologica avente lo scopo di industrializzare la produzione e unificare il commercio dei vini, i quali erano scadenti, per la deficiente fabbricazione.

     Col progressivo e grandioso movimento innovatore si confonde l'opera vigile attiva e multiforme della Associazione Agraria Subalpina fondata nel 1842, sodalizio di cui ora conosciamo tutte le manifestazioni nel campo economico, politico, sociale ed intellettuale prima del 1848.

     Costituita da membri appartenenti a tutte le provincie della monarchia piemontese, e poi anche di stati della penisola, provenienti da quasi tutte le classi sociali, e fra i quali si notano molti dei più insigni uomini del tempo, e Cavour tra quelli maggiormente attivi, essa aveva ramificazioni in tutte le parti del regno e dappertutto esercitava la sua vigorosa propaganda tecnica e politica, promuovendo studii ed indagini, prestando aiuto, istruzione, soccorsi alle popolazioni rurali, e partecipando fecondamente alla discussione e alla soluzione dei più importanti problemi della vita piemontese. Se molti dei soci professavano un ottimismo eccessivo, caratteristico di quest'epoca; se non poche illusioni nutrivano sull'istruzione agraria e sull'introduzione di metodi recenti ed applicazioni nuove all'agricoltura piemontese, contro le quali reagiva quasi sempre il senso pratico di Cavour, non si può negare che l'azione complessiva del sodalizio sia stata molto benefica e non poco abbia contribuito, al progresso agricolo di quest'epoca quale appare dai dati della seguente tabella (1):

     A cui si può aggiungere che dal 1750 al 1850 la quantità di bestiame grosso era raddoppiata; e che l'area delle terre coltivate era passata da ha. 1.239.895 a ha.1.678.556 (Prato).





     Anche se tali dati non sono che molto approssimati segnano pur sempre l'importanza del progresso ottenuto. Tuttavia la quantità di bestiame era ancora molto inadeguata ai bisogni dell'agricoltura piemontese, a causa, in parte, della relativa insufficienza dei prati; e si invocava una maggiore irrigazione e lo spezzamento delle proprietà demaniali e comunali onde abolire il vago pascolo.

     Né la produzione del frumento bastava alle esigenze del consumo interno, poiché nel 1851 se ne importava ben 738.865 quintali in tutto il regno.

     E se non si può negare che la tecnica agraria fosse per ogni verso assai progredita rispetto a quella di sessant'anni innanzi, e che a ciò abbia contribuito assai l'azione della Associazione Agraria, è certo ch'essa rimaneva tuttavia molto arretrata, e che i contadini si mostravano ancora assai indifferenti ed apatici di fronte ai consigli che loro si davano.

     Ma è anche vero che proprio intorno a quest'epoca e prima e dopo il 1850, si cominciano ad applicare i concimi chimici e per iniziativa di Cavour ne sorge una fabbrica in Torino nel 1847: Cavour fu il primo ad introdurre nel Vercellese il guano del Perù; operandone presto larga diffusione. E le sue iniziative vigorose nel campo della concimazione dovevano, successivamente essere feconde di ottimi risultati.

     Assai si occupò il grande uomo del drenaggio e ne fece studi e riusciti tentativi che ebbero qualche isolata imitazione; nondimeno dopo la sua morte la pratica non ebbe più seguito.

     Ma il maggiore merito del Conte fu la costituzione dell'Associazione per la irrigazione vercellese costituita nel 1853 che ebbe tosto vita rigogliosa e grandi vantaggi recò all'agricoltura di quella regione.





     Per ciò che riguarda il patrimonio forestale piemontese, c'è da notare che la progressiva distruzione di esso era stata favorita, oltre che dall'irrazionale sfruttamento, dalla rigorosa protezione industriale all'ombra della quale le manifatture piemontesi si erano mantenute per molte produzioni con forme ormai sorpassate e con grande consumo di combustibili e segnatamente di legna.


     5. - Per rilevare il progresso avvenuto nel trentennio successivo basta che esaminiamo le numerose informazioni che l'Inchiesta Agraria ci fornisce.

     In generale la coltivazione dei cereali e specialmente del frumento si svolge in condizioni poco floride e dà risultati economici piuttosto scarsi, a causa della importazione di grano dall'estero, a prezzi bassi; del prezzo elevato della mano d'opera; dell'eccessiva pressione tributaria.

     Non si nega la possibilità di una maggiore produzione, ma essa trova un ostacolo negli irrazionali metodi di coltura tuttora prevalenti (pagg. 112 e segg ).

     Si nota un progresso nella produzione vinicola: e benché la maggior parte dei viticultori continui a seguire il più pernicioso empirismo nella fabbricazione del vino e la coltura della vite sia piuttosto deficiente, (pagg. 80, 142 e segg.) nondimeno l'enologia va migliorando: sia con una sempre maggiore autonomia dell'industria enologica; sia per l'accoglimento via via più favorevole delle norme razionali da parte soprattutto dei grandi proprietari; sia infine per la crescente specializzazione dei produttori nella coltura della vite in generale e nella coltura di tipi determinati di vitigni particolarmente adatti alle varie località, favorita questa specializzazione culturale, dalle migliorate comunicazioni per cui diventa possibile ai contadini di procacciarsi quei prodotti che prima erano invece costretti a produrre direttamente (pagg. 113, 106, 142 e seguenti).

     Benché progressi notevoli siano avvenuti nell'allevamento del bestiame, dovuti anche alle migliorate condizioni della coltura dei prati, si lamentano le tristi pratiche con cui è condotta questa industria, e la deficienza dei locali destinati al bestiame, nonché la nessuna osservanza di norme igieniche da parte dei contadini e la generale scarsezza di personale veterinario col conseguente abbandono delle bestie, ad una empirica zoojatria; tuttavia, sintomi confortanti di non piccoli progressi sono in più luoghi notati (pag. 168 e segg., 208 e segg.).





     L'industria del caseificio si svolge con norme e proporzioni affatto primitive (pag. 197) quantunque sia suscettibile di grandissimo e rigoglioso sviluppo, come dimostrano le varie latterie sociali esistenti nelle provincie di Torino, Novara e il cui numero stenta a diffondersi per la tenace diffidenza dei contadini (pag. 202).

     Son da notarsi infine le floride condizioni della frutticoltura, specialmente in provincia di Cuneo, alla quale peraltro si è ben lontani ancora dal tributare le cure dovute: e più ancora dell'orticultura nelle località di Bra (dove ha raggiunto la perfezione), Cherasco, Savigliano, nei dintorni di Torino e in molte località della provincia di Novara.

     Immenso sviluppo fu dato durante questo periodo alla irrigazione, essenzialmente per l'apertura del canale Cavour avvenuta nel 1863.

     Basterà ricordare che prima di questa data e più precisamente intorno al 1860 il Piemonte contava all'incirca 200.000 ha, di terreno irrigato; mentre verso la fine del 1880 tale area si estendeva a 340.724 ha. E intanto la coltura del riso, diventata anche maggiormente intensiva, accresceva la sua produzione media da 14 hl. a 22 hl. per ha.; mentre si accresceva pure, in generale, la produzione foraggera, e 1a produzione del frumento (Inchiesta Agraria, pag. 118, v. pure nota 37).

     Scarso favore incontrano tuttora i concimi artificiali, da parte dei contadini, sia per le sofisticazioni a cui vanno soggetti da parte dei commercianti, sia per l'ignoranza ed i pregiudizi dei contadini stessi; tuttavia i fosfati cominciano ad essere notevolmente impiegati nelle pianure (pag. 263).

     E la stessa cosa si può dire quanto all'impiego di macchine: se le trebbiatrici sono già largamente impiegate, le altre macchine (seminatrici, mietitrici, voltafieni) non hanno ancora quasi impiego (pag. 264).





     Nondimeno si nota un crescente investimento di capitali circolanti e la buona volontà dei proprietari nei tentativi di orientarsi su vie migliori: ma trovano un grande ostacolo nella ristrettezza dei mezzi di cui dispongono e nella testardaggine dei contadini (pagg. 213 e segg.); e gravi difficoltà nella forte pressione tributaria.

     Durante il trentennio il frazionamento della proprietà ha avuto un leggero incremento nelle quattro provincie piemontesi; da 600.975 proprietarii nel 1862 si passa a 617.664 nel 1881; del resto il frazionamento era già ritenuto in talune località eccessivo alla metà del secolo.

     Ma a tutto il multiforme progresso segnalato fa un doloroso contrasto l'accelerata distruzione dei boschi (pag. 76 e Passim) a cui nessun rimedio ha posto 1a legge di recente emanata (1878).


     6. - Raccogliendo le file della mia rapida esposizione parmi di concludere che grandissimo è stato durante il secolo il progresso dell'agricoltura piemontese, tenuto conto delle varie e fortunose vicende attraversate dalla regione in cui si svolse, e dell'impulso venuto dai Governi assai minore che in altri paesi.

     Taluno vi potrà ravvisare un'eccessiva lentezza, un'eccessiva prudenza di fronte all'accoglimento di forme nuove.

     Gli si potrà rispondere col Valenti che "nell'agricoltura il progresso è necessariamente lento e 1'impiego di capitali vi si deve effettuare gradatamente con industre pazienza e solerzia" che non sempre e non dappertutto forme e metodi nuovi sono convenientemente applicabili, e che, in ogni caso, non è certo per maggior colpa delle classi agricole, che i progressi dell'agricoltura sono stati minori di quelli che avrebbero potuto essere.

BERNARDO GIOVENALE.



     N.B. - Circa la bibliografia dell'argomento mi limito a dire che mi son valso largamente delle opere di Giuseppe Prato sulla vita economica piemontese; che ho ricorso alle statistiche in queste opere riportate, o contenute in libri dell'epoca, specialmente dell'Heuzé e del Niel; che ho attinto molto all'Inchiesta Agraria e a quanti altri libri, giornali e documenti (che qui per ragioni tipografiche non cito) mi son venuti alla mano, o di cui ho avuto conoscenza.

B.G.




CEREALI (1)

Frumento Segala e
barbalato
Granturco   Riso   Vino     Foraggio
Statistica 1750-55.  hl. 2.131.025 2.291.652 1.164.987 299.014 2.885.980     1.197.457
Media del settennio 1759-65                 "

1.992.703

-

-

-

-

-

Media del settennio 1766-75                 "

2.213.426

-

-

-

-

-

Media 1830-35 .  .  "

            4.912.637

2.879.363

666.743

2.724.311

Media 1850-52 .  .  "

4.936.878

            7.121.863

637.680

12.696.421

  10.007.64

        (Prato)