LETTURE POLITICHE

    BENITO MUSSOLINI: Discorsi politici, Esercizio tipografico del "Popolo d'Italia" - Milano, 1921.

    Attraverso la palese incapacità rivoluzionaria delle masse, il socialismo italiano negli ultimi anni prima della crisi bellica - risoltosi, in un marxismo non inteso, ad una predicazione pseudoevangelica e ad un miraggio edonistico di benessere sociale - si limitava ad agitare una astratta ideologia rivoluzionaria, rinnegata nella pratica quotidiana dalla comune mentalità utilitaristicamente riformista. L'anti-intellettualismo, postosi con Sorel nel campo marxista, come distruzione di quello che era stato il fondamento filosofico positivista di quasi tutto il socialismo internazionale, degradatosi in Italia in demagogica banalità, era il sostrato della posizione di Benito Mussolini nel socialismo italiano; per cui egli si è posto come propugnatore di nuovo spirito socialista rinnegatore del compromesso parlamentare-giolittiano di Turati, che era stato per dieci anni l'unica ragione di vita del partito. Ma la sua posizione rimane isolata, ed in lui stesso non acquista la necessaria coscienza e coerenza intima. Egli ha inteso la deficienza del materialismo marxista e del socialismo scientifico e vi si è opposto, chiamandosi volontarista: ma la sua critica non ha saputo vedere il "mito eroico" (non "tragica follia", ma processo storico) che attraverso la concezione materialista, primo presupposto di una coscienza proletaria, si formava nelle masse, e il suo volontarismo è rimasto astratta affermazione, più ribellione di orgoglio personale che reale forza.

    Dal comune materialismo utilitarista esce la superficialità demagogica; il suo volontarismo non può rimanere che sterile opposizione: le formule volitive e pragmatiste non vengono convertite in pratica e rimangono formule astratte. Egli parve portare nel socialismo una nuova vita, ne è stato - in un'ascensione rapida, indizio del confuso bisogno nelle masse di un muovo principio saldamente rivoluzionario in una disciplina interna - per un momento la colonna centrale, forse vi ha lasciato qualche traccia di sé ("voi oggi mi odiate, perché mi amate ancora", ama ripetere Mussolini ai socialisti), ma è stato costretto ad uscirne: isolato. Con ben altra coerenza e coscienza intima i comunisti si rimetteranno sulla strada che egli è parso confusamente intuire. La rottura chiassosa per la guerra è stata la crisi risolutiva di una incomprensione e di un dissidio più profondo. Ma non esce dai limiti di una crisi di coscienza individuale. Mussolini ebbe l'intuito della guerra rivoluzionaria, non la comprensione: l'incapacità del socialismo non è vista che nelle particolarità contingenti: "il tradimento dei socialisti tedeschi ha costretto i socialisti degli altri paesi a rientrare sul terreno della nazione e della difesa nazionale": il suo interventismo patriottico si presenta come reazione sentimentale e non come sviluppo necessario.

    Uscito dal socialismo in nome di una vera rivoluzione che scaturirà dalla guerra e che "si chiamerà benessere, e si chiamerà libertà, e in sintesi, e sopratutto, si chiamerà Italia", la sua azione appare slegata e contraddittoria. Superficiale. Egli è, personalmente, coerente: ma è la sua falsa posizione intellettuale che, uscito dal socialismo, lo ha fatto creatore di un movimento di passioni e di "stati d'animo" che l'ha condotto lontano da dove era partito e in cui egli è stato piuttosto trascinato (sebbene di questo egli non ne sia forse cosciente) che trascinatore.





    Il suo pensiero, pur ristretto e schematico, parve per un momento acquistare intensità e la potenza necessaria per adunare a sé tutte quelle volontà e passioni che, poste dal tormento e dalla terribilità tragica della guerra fuori del loro centro primitivo e caoticamente turbinando nel dopo guerra travaglioso, si agitavano quasi in cerca di un Capo che li unisse nel comune interventismo e nel ricordo del comune dolore individuale: la visione ampia di Gabriele d'Annunzio, chiuso nel cerchio magico di Fiume, pareva perdersi nella irrealità di un sogno universale.

    La mente e la volontà di Mussolini parvero mantenersi fredde ed esatte nella confusione generale intorno a lui, la sua tempra ricordava i condottieri romani. Ma poi fu anch'egli travolto dalla sua stessa posizione. L'incertezza del movimento fascista ha collimato con l'incertezza personale di Mussolini. Le basi superficiali del fascismo trovarono rispondenza nelle posizioni incerte di Mussolini che non solo rimangono incapaci di ulteriore sviluppo teoretico, ma non riescono neppure ad ottenere l'intensità necessaria per cui questo sviluppo sia implicito nell'azione pratica.

    Il suo temperamento nasconde un'incapacità di visione per cui l'azione che diviene (nolente) fine, è destinata a perire in se stessa. Le fiere affermazioni di essere il "duce che precede e non segue" e le minaccie di uscire dal fascismo, nei due tentativi più coscienti (tendenzialità repubblicana e patto di pacificazione) di riorganizzare il movimento, sono la rivelazione di questo dissidio, intimo al fascismo non solo ma alla stessa persona di Mussolini. Egli non ne ha chiara e sicura coscienza: affermazioni e minacce sono potute apparire irascibilità di condottiero non ubbidito ed hanno attirato l'ironia degli avversari, ingiusta certamente ma rivelatrice della contraddizione ed incertezza, per cui Mussolini che ha veramente "anticipato" il fascismo, ne è stato travolto pur essendone il fondatore e rimanendone il capo. Il dissidio rimane alla superficie: non severità tragica, ma ironia. Mussolini non ha notato questa "falsificazione" di sè stesso, si è fermato a qualche gesto dittatoriale subito represso: riempiendo di se la vita politica della nazione e potendo per un momento mettersene a capo (e forse in avvenire), non ne è mai stato né il rappresentante né il trascinatore. Come il fascismo, che è rimasto superficiale ideologia in quelle stesse classi medie che vorrebbe rappresentare in una nuova assunzione politica, Mussolini è travagliato da incapacità di concreta realizzazione, che non sia pura apparenza o cronaca passeggera. Egli vuole essere l'eretico di tutte le chiese, ma questa sua posizione, che potrebbe essere comprensione realistica, rimane semplice opposizione, si ferma alle apparenze e non penetra la realtà che è sotto quelle vie profonde. Combatte l'astrattismo egualitario dei massimalisti, ma la sua "gerarchia" non deriva da intimo processo e pecca del medesimo astrattismo; irrigata pur dalle stesse premesse "individualiste" che non conducono a più alta e cosciente solidarietà, ma rimangono elemento di sdegnosità personale.

    Il suo mondo politico da intuizione rapida della realtà (e in questo è il nucleo vitale di Mussolini) e posizione sicura di fronte ad essa, si disperde e si frantuma nel particolare. La visione generale e vivificatrice scompare e non rimane che l'episodio momentaneo.

    Il suo stile di oratore e di articolista è tutto così. Le affermazioni secche e precise appaiono legate da una trama che è unitaria solo nella sua apparenza, sforzata in uno schematismo gretto; la concisione rapida e serrata, sotto cui pare vibrare e quasi sorgere commosso uno slancio vitale, si converte in morta elencazione, incerta nella sua voluta sicurezza e secchezza scarna.


MARIO LAMBERTI